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Metastasio Jazz 2019

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Metastasio Jazz 2019
Varie sedi
Prato
5-25.2.2018

Preceduto da un concerto del quartetto di Roberto Ottaviano in collaborazione con il Pinocchio di Firenze e da uno della New Talents Jazz Orchestra diretta da Mario Corvini, poi inaugurato ufficialmente da uno spettacolo teatral-musicale—Tempo di Chet, racconto della vita di Chet Baker coronato dalla musica del trio di Paolo Fresu—il festival Metastasio Jazz era quest'anno dedicato a "Storie e viaggi in jazz," filo conduttore che ha attraversato i suoi numerosi appuntamenti distribuiti su oltre due settimane.

Lunedì 11 febbraio, al Teatro Fabbricone, il doppio concerto all'insegna dei "Viaggi in trio" è stato aperto dall'omaggio tributato alla musica di Sun Ra da Antonino Siringo. Un progetto singolare, va detto, sia perché condotto appunto in trio—anche se atipico, con la tromba di Andrea Tofanelli e il contrabbasso di Ares Tavolazzi—sia perché concentrato su parti meno note della sua produzione invece che sulla musica dell'Arkestra.

Si sono infatti susseguiti brani al confine con la musica contemporanea (del resto Sun Ra era stato esplicitamente influenzato da Schoenberg e Shostakovich, oltre ad aver registrato con Cage), o attraversati da stride e blues, oppure ben immersi nel jazz della metà del Novecento. Un Sun Ra comunque sempre molto ordinato e misurato, ma anche assai complesso e articolato, aspetti che venivano enfatizzati dalle caratteristiche strumentali dei tre protagonisti. Se infatti Siringo—che in un paio di occasioni ha introdotto in solitudine i brani—ha esibito la propria abilità alla tastiera, frutto del suo studio della musica contemporanea e di pianisti come Cecil Taylor e Thelonious Monk, e Tavolazzi la sua ben nota, eclettica perizia al contrabbasso, sia nell'accompagnamento che nei personalissimi assoli, Tofanelli ha sorpreso per il modo davvero suggestivo di ricercare e modulare i suoni, secondo stilemi non strettamente jazzistici ma senza dubbio appropriati al progetto del trio. Un concerto di appeal, ma anche raffinato e interessantissimo filologicamente.

Ben diversa la seconda parte della serata, affidata al trio di Claudio Filippini, con Luca Bulgarelli al contrabbasso e Marcello Di Leonardo alla batteria, che festeggiava il quindicesimo anno di vita. Musica in linea con le attuali interpretazioni del piano trio, quelle in auge dal rinnovamento proposto negli ultimi due decenni dall'E.S.T. o da The Bad Plus: molta intensità dinamica e ritmica, poggiate su un moderato lirismo e avvalentesi del forte interplay tra i musicisti (menzione particolare per Bulgarelli, contrabbassista di gran classe). Musica accattivante e dal forte coinvolgimento, ravvivata anche dal rapporto diretto con il pubblico instaurato da Filippini tra brano e brano, ma che alla lunga dava anche un senso di ridondanza, forse a causa di una sua scarsa varietà e di pochi momenti di punta.

Domenica 17, presso la Scuola di Musica Verdi, stupefacente concerto in solitudine di Cristiano Calcagnile, impegnato a una moltitudine di oggetti percussivi, all'elettronica, ma anche a una kalimba elettrificata e a una artigianale drumtable guitar. Una performance rigorosa, si badi, nella quale l'improvvisazione faceva com'è ovvio la sua parte, ma che seguiva una ben precisa traccia, così da dare alla ricchissima varietà di suoni e di ritmi una coerenza stringente. Calcagnile ha attraversato passaggi schiettamente batteristici e altri tipicamente elettronici, momenti nei quali suoni diversi—gong, lastre metalliche, corde, percussioni—si addensavano e rarefacevano passando dall'eterea levità all'intensa matericità, costruendo un discorso sempre sorprendente e suggestivo. Un concerto piuttosto breve, proprio a causa della difficoltà di raccordare in modo rigoroso stimoli e suoni senza cadere in ridondanze, ma non per questo meno ricco. Bellissimo e apprezzatissimo dal pubblico, a dispetto della particolarità e anche della ovvia attenzione che richiedeva l'ascolto.

Il giorno successivo, lunedì 18, la musica ha raccontato antiche storie cinematografiche facendo a meno dell'apporto delle immagini: il settetto di Massimo Falascone ha infatti presentato un progetto dedicato all'illusionista, attore e regista parigino George Méliès, inventore riconosciuto degli effetti speciali e del cinema di fantascienza. Una performance molto singolare (l'avevamo apprezzata lo scorso anno al Fonterossa Day di Pisa ), che univa effetti scenici -surreali abbigliamenti dei musicisti, entrate e uscite, oggetti—e mimica—soprattutto da parte di Filippo Monico, che girava per il palco con una luna appesa a una canna o facendo bolle di sapone—a una musica capace di mescolare virtuosamente l'improvvisazione radicale alla composizione narrativa. Riuscendo con ciò a esaltare la meraviglia e gli stimoli della prima con la coerenza e la linearità della seconda. Anche grazie ai bravissimi musicisti (oltre ai già citati e allo stesso Calcagnile alla batteria, Giancarlo Nino Locatelli ai clarinetti, Alessandra Novaga alla chitarra elettrica, Alberto Tacchini a pianoforte, synth ed elettronica, Silvia Bolognesi al contrabbasso), abilissimi a tenere assieme le diverse componenti della musica e dello spettacolo in senso più ampio. Nell'occasione la formazione ha presentato anche il disco omonimo, appena uscito per l'etichetta Fonterossa.

Prima della conclusione della rassegna, affidata a Maria Pia De Vito impegnata a raccontare in napoletano le storie scritte da Chico Buarque, c'è stato il tempo per una conferenza del direttore artistico Stefano Zenni—come sempre interessantissima=-dedicata al modo in cui il cinema ha raccontato i musicisti di jazz, con particolare attenzione per le biografie non documentaristiche (quali quella di Bix Beiderbecke girata da Pupi Avati o quella di Charlie Parker diretta da Clint Eastwood). Un modo perfetto per trattare la tematica del festival, "Storie e viaggi in jazz."

Foto: Marco Benvenuti.

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