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Le musiche di Edgar Allan Poe / Zodiaco elettrico

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Teatro Bonci - Cesena - 23.10.2009

Gli Aidoru sono una rock band di Cesena, che però chiamare "rock band" è riduttivo. Dagli esordi negli anni '90 come band adolescenziale neo-punk in stile californiano (col nome di Konfettura), si sono poi evoluti in un ensemble rock più maturo (influenzati in primis dal clima del post-rock di fine anni '90, ma non solo). Hanno intrapreso una lunga collaborazione col teatro della Valdoca di Cesena, hanno fondato un'associazione che organizza un festival di musica, teatro e arte pensati nel contesto del territorio urbano (Itinerario Festival) e hanno realizzato (come band o come singoli musicisti) collaborazioni in diversi ambiti stilistici.

Un'altra particolarità del gruppo è che due dei suoi membri, il chitarrista- tastierista-cantante Dario Giovannini e il batterista Diego Sapignoli, hanno un background musicale accademico. E questo fa sì che la musica degli Aidoru presenti un'eleganza e lucidità armonica e di scrittura che spesso manca anche alle rock band con velleità più ambiziose e avanzate, compresi alcuni dei nomi più blasonati del post-rock.

Alla luce di tutto questo, non sembra così assurdo o pretenzioso che gli Aidoru si siano voluti lanciare in un'avventura come la rilettura (o per meglio dire: riscrittura) del Tierkreis di Stockhausen, considerato anche che riferimenti alla musica classica o contemporanea si trovano già nei loro dischi, e che un'incontro fra rock e musica contemporanea era un obiettivo dichiarato del gruppo già da alcuni anni.

La loro versione dell'opera, ribattezzata Zodiaco elettrico, è stata inserita nella cornice della stagione concertistica 2009-2010 del teatro Bonci di Cesena (dunque, un gesto di "legittimazione" del rock da parte di un'istituzione che ha una programmazione musicale normalmente riservata alla musica accademica e tutt'al più al jazz).

Il tema della serata era "Le musiche di Edgar Allan Poe," in occasione del bicentenario della nascita dello scrittore, e il programma ha cercato un percorso fra gli autori direttamente o indirettamente ispirati dalle suggestioni letterarie e dalle atmosfere di Poe. Zodiaco elettrico degli Aidoru ha occupato l'intera seconda parte della serata. Prima di parlare nel dettaglio di loro, è però doveroso dedicare alcune righe a quanto si è ascoltato e visto nella prima parte.

L'apertura è stata affidata ad un estratto (registrato) dal poema sinfonico op. 35 di Rachmaninoff ispirato alla poesia "The Bells" di Poe, accompagnato dalla lettura dal vivo della poesia e da un montaggio visivo d'illustrazioni alle opere dello scrittore. Ciò ha offerto il pretesto per una digressione con l'esecuzione dei 6 momenti musicali op. 16 di Rachmaninoff, interpretati dal pianista Davide Franceschetti.

La celebre composizione del 1896 è paradigmatica dello stile tardo-romantico del periodo, oltre a presentare aspetti tipici dello stile dell'autore. La musica è fortemente impregnata, a tratti grondante di pathos, spingendosi a volte al confine del melenso, ma più spesso tagliente come una lama nel penetrare l'emotività dell'ascoltatore. L'interpretazione di Franceschetti è stata superba: impeccabile, intensa e partecipata; tanto più apprezzabile in quanto i brani richiedevano un'estremo virtuosismo esecutivo e un forte impegno fisico, oltre che emotivo.

E' poi seguita la proiezione di un cortometraggio muto del 1934 di Mario Monicelli (la sua opera prima in assoluto) e Alberto Mondatori, la trasposizione cinematografica de Il cuore rivelatore, uno dei racconti più celebri di Poe. Il film è stato sonorizzato dal vivo con le musiche composte appositamente da Stefano Gatta, eseguite dall'Ensemble Euthymia.

Il commento musicale di Gatta ha presentato una scrittura elegante e pulita, fondendo molto bene un impianto tradizionale con elementi contemporanei, per quanto nel solco consolidato della musica da film. A parte qualche momento, Gatta ha evitato di cadere nell'effettismo e si è concentrato nel creare, evocare o sottolineare l'atmosfera (cupa e claustrofobica) trasmessa dalle immagini.

L'ensemble ha offerto una buona interpretazione, anche se in alcuni momenti forse con qualche deficit di coinvolgimento.

E veniamo al Tierkreis degli Aidoru che, come detto, ha occupato interamente la seconda parte della serata.

Il legame dell'opera con Poe, di per sé mancante, è stato intelligentemente rinvenuto nell'ispirazione cosmica e nelle componenti mistiche del Tierkreis (tipiche della produzione di Stockhausen dopo la metà degli anni '60), che trovano una corrispondenza nei temi di Eureka, poema in prosa di Poe del 1848, l'ultima opera da lui pubblicata, che lo scrittore considerava di gran lunga la sua più importante (a dispetto della costernazione e anche del sarcasmo con cui venne ricevuta dai suoi contemporanei).

Tierkreis significa "zodiaco" ed è un ciclo di dodici brani, ciascuno ispirato e dedicato a un segno zodiacale. E' presente in quest'opera l'intenzione di cogliere ed esprimere la corrispondenza fra sé e universo, fra microcosmo e macrocosmo; e su questo piano avviene l'incontro col poema di Poe in cui l'autore, partendo dal desiderio di raggiungere la verità sul Tutto, si lancia in speculazioni (pseudo)scientifiche, metafisiche e teologiche assai ardite e provocatorie per il suo tempo, ma che hanno poi in parte trovato nel Novecento insospettate conferme scientifiche, oltre a suonare sorprendentemente affini alle concezioni metafisiche indiane. La lettura di passi del poema (dalla voce dell'attore e regista Gabriele Marchesini) è stata dunque inserita dagli Aidoru all'interno del Tierkreis, come trait d'union fra i dodici brani del ciclo.

Il Tierkreis di per sé è un'opera che contempla un ampio margine d'indeterminazione e quindi di potenzialità nell'arrangiamento e nella strumentazione (la partitura originale specificava semplicemente "per strumenti melodici e/o accordali" e fu realizzata dallo stesso Stockhausen per carillon) e concede un ampio margine di libertà agli interpreti; e questa è una delle ragioni per cui gli Aidoru l'hanno scelta. Lo stesso Stockhausen in seguito la concretizzò in diverse forme determinate (per ensemble vocali, strumentali, misti e con strumentazione varia). Nel corso dei trent'anni intercorsi dalla sua scrittura (1974-75) se ne conta una lunga serie di versioni e interpretazioni, e non mancano le incarnazioni più bizzarre (ad esempio, una per basso elettrico e ghironda). Ma si può presumere che, fra tutte le possibilità, Stockhausen non avesse messo in conto una versione per classica rock band con chitarre-basso-batteria, e di sicuro finora nessuno ci aveva provato.

Al contrario di quanto avviene normalmente in un concerto rock, il gruppo ha scelto di suonare senza l'amplificazione generale, nonostante l'uso di strumenti elettrici sul palco. Il risultato è stato che il suono aveva una maggiore naturalezza, un elemento di nitidezza sicuramente enfatizzato dall'acustica del teatro; ne veniva valorizzata ed esaltata la grana timbrica e, insomma, ne risaltava la bellezza.

Questa scelta ha anche enfatizzato le dinamiche fra i piano e i forte, valorizzando soprattutto i passaggi più quieti. Il gioco delle dinamiche è stato un importante elemento espressivo in questa interpretazione; il contrasto fra momenti più delicati e intimisti ed esplosioni di energia con tutto l'impatto ruvido della rock band è stato giocato con sapienza, sicurezza ed equilibrio, ottenendo un effetto di grande potenza.

La band ha dato sicuramente a questa interpretazione una tonalità emotiva propria e non "neutrale"; sono prevalse le tinte crepuscolari, autunnali e con una decisa vena malinconica (a meno che la percezione non sia stata influenzata dalla serata fredda e piovosa...). I temi erano appoggiati su pedali armonici ipnotici, squarciati di tanto in tanto da assalti elettrici e improvvise impennate ritmiche dal retrogusto punk, od alternati a momenti di granitica compattezza e solennità. In generale l'impressione che è emersa è quella di una grande sicurezza e di una mano ferma nell'orchestrare, condurre e interpretare questa incarnazione dell'opera: gli Aidoru sanno veramente farsi interpreti e produttori di bellezza, e anche quando questa è carica di tonalità oscure o lacerata da sonorità corrosive, mantiene sempre in trasparenza una natura pura e limpida.

I passi di Eureka venivano letti fra un brano e l'altro del ciclo, appoggiati su tenui tappeti elettronici che fungevano da raccordo sonoro.

Diciamo allora a chiare lettere che questo incontro fra rock e musica contemporanea è riuscito. Le melodie di Stockhausen, nella veste cucita dagli Aidoru, hanno funzionato eccome; l'impressione è stata davvero quella di una fusione, e non di un incastro di elementi eterogenei appiccicati a forza. Le linee melodiche suonavano bene vestite di sonorità e stilemi rock, e il rock suonava niente affatto snaturato, ma anzi arricchito, da queste note.

Si può certo discutere su quanto di Stockhausen sia rimasto in questa lettura, su quanto ne sia stato rispettato o tradito lo spirito insieme alla forma. Certamente, nella loro operazione, gli Aidoru sono andati oltre i limiti pur ampi di autonomia formale concessi dal compositore agli interpreti e hanno violato anche le indicazioni e prescrizioni puntuali dettate dalla partitura, per esempio gli elementi ritmici e armonici, per cui alla fine, dell'opera originaria, quello che è restato sono essenzialmente le melodie.

Forse, a dire il vero, qui in realtà non si è trattato della musica di Stockhausen a cui è stato messo un vestito rock, ma piuttosto del rock che ha reinterpretato secondo la sua prospettiva e le sue proprie peculiarità questa musica e se n'è quindi rivestito. Ma forse proprio questo inglobamento e fagocitamento delle melodie di Stockhausen da parte dell'anima rock degli Aidoru è un segnale dell'autentica riuscita del progetto, in quanto implica un'assimilazione e dunque una sintesi, e non appunto un superficiale incastro di un corpo estraneo a mo' di appendice. D'altronde, forse che le riletture degli autori classici fatte ad esempio da Uri Caine sono sempre fedeli alla lettera e allo spirito originario delle opere? E nonostante questo, non offrono spesso una rivitalizzazione di quel materiale, quando non sono esse stesse dei capolavori?

Forse l'abbinamento del testo di Poe alla musica è l'unico elemento che non ha funzionato del tutto nel progetto. Lo stile del linguaggio oscillava fra il profetico e il dottrinale, con una netta inclinazione verso quest'ultimo; questo, insieme agli accenti retorici e declamatori, finiva spesso per interrompere il flusso emotivo della musica, anziché sostenerlo, producendo quindi frammentazione anziché unità. Forse l'unico incontro veramente felice fra musica e parole si è realizzato nel finale, in cui la conclusione del poema (dove viene proclamata l'identità fra uomo e Dio, in piena assonanza con la concezione indiana dell'advaita ) è stata suggellata dal brano posto in apertura e chiusura del ciclo, saturo di elettricità, con la potenza di un'energia compressa e poi rilasciata, scolpito da un ritmo roccioso e con una solennità davvero epica e definitiva.

Col buon esito di questa prova gli Aidoru confermano di possedere una solida personalità musicale e dimostrano di essere una realtà importante per il panorama italiano, in quanto si fanno portatori di una volontà e di una pratica di avvicinamento e fusione fra mondi diversi che, se in altri paesi (Stati Uniti, Olanda ecc.) sono ormai all'ordine del giorno, in Italia non sono ancora così scontate.

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