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JazzMI - V Edizione

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JazzMI
Milano
22.10.2020 -01.11.2020

Avremmo voluto raccontarvi di un festival che aveva in programma oltre cento eventi, che aveva coinvolto la città di Milano ed il suo hinterland in undici intensi giorni di jazz.

Avremmo voluto raccontarvi del desiderio di cultura, di condivisione, di musica, che aveva avuto la meglio sul covid e sulla paura. Del resto, come diceva Nietzsche, Senza musica la vita sarebbe un errore.

Invece domenica 25 ottobre, dopo solo quattro giorni di festival, la doccia fredda. Un DPCM (acronimo ormai divenuto tristemente famoso) ha decretato lo stop per un mese ad ogni evento e manifestazione culturale.

Certo, viene da chiedersi se i teatri non potessero essere salvaguardati. Per quanto abbiamo avuto modo di verificare, in questi luoghi il rispetto del protocollo e delle distanze interpersonali è scrupoloso. Ma tant'è. Mentre i Ministri dello Sport, della Pubblica Istruzione, dei Trasporti, hanno quantomeno tentato una difesa d'ufficio del proprio ambito di competenza, dalle cronache politiche risulta che il Ministro della Cultura sia stato tra i più accesi sostenitori della chiusura totale.

Limiteremo dunque la nostra cronaca ai due soli concerti che abbiamo fin lì seguito. Pochi ma buoni, si sarebbe detto una volta. Casualmente, due trio di pianoforte. Meno casualmente, diretti da due tra i maggiori interpreti dello strumento a livello internazionale: Franco D'Andrea ed Enrico Pieranunzi. Musicisti molto vicini per età e per enciclopedica conoscenza della storia e dei linguaggi del jazz, molto distanti per estetica musicale ed orizzonti espressivi.

Il trio di Franco D'Andrea ha presentato musiche tratte dal suo ultimo lavoro «New Things». Temi che sono poco più di un pretesto, in realtà. Perché la musica di D'Andrea è aperta, fatta di accenni, cambi di direzione, spunti che riprendono frammenti di storia del jazz, da Coltrane a Gershwin passando per Monk (il maggior riferimento nell'estetica del pianista meranese). Piccole e grandi citazioni che non cadono mai nel citazionismo, ma sono piuttosto tessere di un mosaico che si sviluppa in corso d'opera. Un modo di procedere che richiama Wayne Shorter, senza rete e con poca pre-determinazione. Improvvisazione vera, totale, che richiede una grande intesa con gli altri musicisti sul palco: Enrico Terragnoli alla chitarra, maiuscolo nel creare atmosfere ed ambienti sonori attingendo ad ogni risorsa dello strumento (ma non sono mancati straordinari momenti solistici) e Mirko Cisilino alla tromba, eccellente nel delineare le melodie e nell'aggiungere toni increspati ad una musica intrinsecamente tormentata.

Completamente diverso, lo accennavamo poc'anzi, il concerto del trio di Pieranunzi, che ha presentato brani tratti dall'album «Fellini Jazz», pubblicato nel 2003 e quanto mai attuale, visto che quest'anno ricorre il centenario della nascita del grande regista. In scaletta le colonne sonore scritte da Nino Rota per film come «I Vitelloni» e «La Dolce Vita», passando per il fiasco de «Il Bidone» e la magia de «Le Notti di Cabiria». Brani caratterizzati da una struttura forte, che Pieranunzi ha scelto di assecondare. Un approccio più tradizionale, se vogliamo, che si riflette anche nella formazione (il classico trio, con Luca Bulgarelli al contrabbasso, Mauro Beggio alla batteria), ma non per questo meno interessante. La musica del trio si presta infatti a molteplici livelli di ascolto. Il primo, quello più evidente, è dato dal fascino di melodie immortali, dall'allegria delle scansioni ternarie. Ma la musica procede per sottili scomposizioni ritmiche e raffinate sostituzioni armoniche di cui Pieranunzi, forte anche di una voce strumentale impareggiabile, è maestro.

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