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Nucleus: Hemispheres

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Nucleus: Hemispheres
La pubblicazione di questi brani assolutamente inediti dei Nucleus, provenienti da due date europee del 1970 e del 1971, è davvero una delle più belle sorprese discografiche dell’anno. I Nucleus, guidati dal trombettista Ian Carr, sono stati l’equivalente europeo più agguerrito delle band di Miles Davis dell’epoca e hanno battuto con intelligenze le strade del primo jazz-rock, quello che aveva ancora dentro il sacro fuoco della voglia di innovare, di tentare sintesi inconsuete, di esplorare, con gli occhi spalancati e la mente sempre pronta, i territori paralleli a quelli convenzionali.

Tutte queste buone intenzioni sono andate perse per strada dalla metà degli anni settanta in poi, con le improvvide concessioni alle spinte del marketing discografico che offriva modelli sbagliati che apparentemente miglioravano le potenzialità commerciali e in realtà buttavano dalla finestra l’acqua col bambino dentro. Qui per fortuna le intenzioni sono ancora quelle giuste, quelle degli inizi, quelle che ci piace mettere in evidenza, come segnale per una lettura critica corretta e una ricostruzione puntuale di quel periodo così importante.

La formazione è quella dei primi due album con la presenza decisiva del chitarrista Chris Spedding a marcare in maniera nettissima la caduta di ogni spartiacque fra rock e jazz. Il suo modo di suonare la chitarra elettrica è assolutamente eccitante ed è un vero peccato che da lì a poco Spedding abbia poi deciso di mollare questa bella avventura per tentare la strada del rock con alterne fortune.

Questi dodici brani sono eseguiti in realtà come due lunghe suite dalle quali emergono temi noti e temi nuovi e non ci sono grandi differenze fra i primi sette brani che arrivano da un concerto del marzo 1970 e gli altri cinque che sono stati registrati undici mesi dopo, sempre in concerto in località europee che non vengono meglio dettagliate nelle note di copertina. I tre musicisti che si mettono più in evidenza sono il saxofonista Brian Smith, il batterista John Marshall e il chitarrista Chris Spedding di cui già si diceva.

Brian Smith è un musicista apparentemente schivo e sottovalutato che conferma invece di essere dotato di un fraseggio davvero interessante, con una voce strumentale prepotente che brucia di energia e di forza espressiva, specialmente quendo Smith è impegnato al tenore. A dire il vero queste sue doti erano già ben evidenti negli album in studio dei Nucleus ma stranamente sul suo nome non sono mai state spese grandi lodi.

John Marshall si conferma un campione della flessibilità ritmica, meravigliosamente sospeso fra le sottigliezze ritmiche del jazz e la forza propulsiva del rock. Il suo lavoro alla batteria è sempre perfettamente centrale, logico, solido e ben variegato al tempo stesso. Ancora oggi, con il gruppo Soft Machine Legacy, sa mettersi in mostra senza lasciare un’oncia alle ingiurie dell’età.

Chris Spedding è una vera forza della natura e in questi brani dal vivo il suo ruolo centrale nei Nucleus è assolutamente confermato. Lui è l’elemento propulsivo decisivo, il punto di raccordo nel quale l’attività del gruppo si rispecchia, il musicista capace di evitare le trappole nascoste che possono far diventare il tutto una banale sequela di assoli. Il suo modo di accompagnare è sempre intelligente, sempre inventivo. Gli assoli emergono da questa sua centralità e non sono mai uscite estemporanee malate di solipsismo.

Chi esce invece un pochino ridimensionato da queste registrazioni live è il trombettista Ian Carr, che si dimostra non particolarmente coraggioso nel suoi assoli che sembrano ancora legati al jazz modale e che ancora sembra dover prendere la piena consapevolezza della rivoluzione che sta avvenendo attorno a lui. Allo stesso modo ancora in divenire appare il ruolo di Karl Jenkins, un musicista dai contorni un po’ sfumati, con buone idee compositive, che poi diventerà l’uomo della restaurazione nei Soft Machine, quando entrerà per prendere il posto di Elton Dean nel 1972. Qui lo ascoltiamo al piano elettrico e all’oboe, uno strumento che caratterizzò col suo timbro nasale molte delle sequenze morbidamente pastorali dei Nucleus. Il bassista Jeff Clyne si conferma perfettamente affiatato con John Marshall ma non ha occasioni di mettersi particolarmente in luce e il suo ruolo, pure ricoperto molto bene, non appare così decisivo, come risulta essere invece quello del batterista, nella rottura degli schemi dei due mondi contrapposti (il rock e il jazz, ovviamente).

Anche in presenza di queste contraddizioni che vedono il leader organizzativo del gruppo (Ian Carr) sospeso in una posizione leggermente arretrata rispetto alla carica innovativa che sprigiona principalmente da Spedding, Marshall e Smith, questi sessanta minuti sono davvero significativi per aggiungere un tassello decisivo per la buona comprensione delle origini del jazz-rock in Europa. E non solo, visto che questa musica se la gioca tranquillamente anche con quello che stava avvenendo, negli stessi mesi, oltre l’oceano. In questo confronto ovviamente Miles va considerato fuori categoria.

Va segnalato che i musicisti dei Nucleus, a differenza di quello che era avvenuto con altre formazioni inglesi dell’area di Canterbury, a cominciare dai Soft Machine, arrivavano fondamentalmente dal jazz e dimostravano di essere perfettamente in grado di muoversi in questo limbo che profumava di jazz e si vestiva coi colori del rock. In questa area molte cose si trovarono inevitabilmente a convergere, come dimostra il fatto che nel giro di un paio d’anni da queste registrazioni possiamo ritrovare John Marshall e Karl Jenkins stabilmente insediati come membri dei Soft Machine. Ma molta acqua era passato sotto ai ponti e la musica nel frattempo si era bloccata su una formula apparentemente inesauribile, quella del jazz-rock pesantemente riff-oriented che poi porterà sia i Nucleus, sia i Soft Machine ad una lunga parabola discendente che si concluderà senza troppa gloria negli anni ottanta.

Fino ad oggi non esistevano registrazioni dal vivo della formazione originale dei Nucleus tratte dal periodo 1970/71, anche se l’album The Pretty Redhead della Hux aveva già portato all’attenzione dei collezionisti le bellissime registrazioni, fatte dagli stessi musicisti che compaiono qui, presso gli studi della BBC, ai primi di marzo del 1971 (quindi pochi giorni dopo rispetto agli ultimi cinque brani di Hemisphere). E la Cuneiform aveva pubblicato su doppio CD il concerto per Radio Bremen del maggio 1971, dove però al posto di Chris Spedding troviamo il chitarrista Ray Russell, in una delle sue rare uscite coi Nucleus. Con questo Hemispheres abbiamo la conferma che tutto il buono che era presente nei loro primi bellissimi due dischi (Elastic Rock del 1970 e We’ll Talk About It Later del 1971) è assolutamente confermato anche da quello che sapevano combinare dal vivo. Rimane semmai il rammarico per avere perso per strada un chitarrista formidabile come Chris Spedding, il vero dominatore di questo ottimo album dal vivo.

Track Listing

Cosa Nostra; Elastic Rock; Stonescape; Single Line; Twisted Track; 1916; Persephone's Jive (Live in Europe, March 1970); Song For The Bearded Lady; Tangent; We'll Talk About It Later; Snakehips Dream; Hemisphere (Live in Europe, February 1971).

Personnel

Ian Carr
trumpet

Ian Carr: trumpet, flugelhorn, percussion; Jeff Clyne: bass, electric bass; Karl Jenkins: Hohner electric piano, oboe; John Marshall: drums; Brian Smith: tenor and soprano saxophones; Chris Spedding: guitar.

Album information

Title: Hemispheres | Year Released: 2006 | Record Label: Hux Records


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