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Franco D'Andrea - Dave Douglas - Han Bennink Trio all'Auditorium, Roma

Roma
24.03.2014
Secondo appuntamento di un ciclo di tre concerti affidati a Franco D'Andrea con la formula della Carta bianca, l'incontro sul palco del pianista con Dave Douglas e Han Bennink rappresentava la ghiotta occasione di ascoltare per la prima volta il trio all'opera.
L'avvicinamento dei tre musicisti non è casuale ed è frutto di fasi graduali e successive. Il primo contatto tra D'Andrea e Dave Douglas risale al Festival di Merano del 2009: ricordiamo l'attenzione concentrata del trombettista che ascolta il lavoro di D'Andrea durante una jam session. L'incontro del pianista con Bennink risale invece a un concerto del 2011 a Trento, documentato nel disco Traditions and Clusters in cui il vulcanico batterista olandese si unì al trio con Daniele D'Agaro e Mauro Ottolini. In quell'occasione era significativo notare l'entusiasmo irrefrenabile di un veterano (molto passionale) come Bennink nel contatto con D'Andrea e la sua musica. A loro volta Douglas e Bennink hanno dei trascorsi musicali, documentati per esempio nell'ottimo Serpentine (Songlines1996).
Successivi incontri hanno portato in modo quasi naturale a questo trio, il cui risultato conduce subito alla constatazione che il sistema di forze in gioco permette alle personalità coinvolte (e che personalità!) di esprimersi in modo paritario, mettendo in relazione e reazione idee e dimensioni anche molto diverse, ma ricche di stimoli.
Qui la personalità di Bennink si esprime in tutta la sua ruvida giovialità, fatta di un'incredibile spinta ritmica ed emotiva, di continue trovate che giocano nella musica come battute di spirito in un dialogo, in un costante vortice dialettico tra pensiero volto alla tradizione e concreta utopia verso il futuro. Un solo rullante diventa per Bennink motivo di infinite variazioni ritmiche, timbriche ed espressive. La dimensione di Douglas è quella dell'attento cesellatore di arcate tematiche anche molto ampie e avventurose, del musicista che usa la propria capacità analitica per penetrare nel mondo degli altri musicisti (in particolare in quello di D'Andrea) e per valorizzarlo senza accantonare o sacrificare la propria personalità.
L'atteggiamento di D'Andrea è quello più versato all'esplorazione totale, all'affermazione del pensiero complesso che diventa sintetico in un processo di sfrondamento e illuminazione focalizzata. Nel contempo D'Andrea sviluppa il modello del nucleo semplice (un riff, un motivo) che si fa analitico per sviscerare dettagli, per creare motivi ritmici e narrativi, cellule dal segno schietto e ben definito. Oseremmo dire definitivo, se tale termine non contrastasse poi con il mondo di D'Andrea, in costante sviluppo e metamorfosi.
Tra i brani presentati al concerto di Roma, nell'affiorare di molti motivi ricorrenti di D'Andrea, elaborati con geniale sensibilità dai musicisti, segnaliamo la splendida rilettura di uno standard poco frequentato: "Goodbye," di Gordon Jenkins. Una chicca che ha permesso alla tromba di Douglas di esprimersi nel proprio disincantato lirismo.
Il concerto alla Sala Sinopoli ha rappresentato un momento embrionale già ben delineato, che merita di essere condotto in ulteriori avventure.
Foto
Riccardo Musacchio e Flavio Ianniello.
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