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Formed Records: la rivoluzione silenziosa

INTERVISTA CON WILLIAM BENTON

Tra le tante etichette che coraggiosamente documentano gli artisti e le proposte sonore meno facili da "classificare", la Formed Records si sta distinguendo, a nemmeno due anni dalla sua nascita, per uno spirito di grandissima libertà e curiosità.

Proponendo nel suo catalogo musicisti come Mattin, Jason Kahn, Kyle Bruckmann, Werner Dafeldecker, Radu Malfatti, ma anche il "nostro" Giuseppe Ielasi, la label californiana sta diventando un importante "luogo" sonoro in cui fare accadere l'inudibile, dare spazio alla ricerca nelle sue forme più estreme, permettere che le avventure meno prevedibili diventino un oggetto tangibile.

Tante le curiosità che abbiamo rivolto a William Benton, la persona senza cui questo "sogno silenzioso" non potrebbe avverarsi, tante le domande cui ci ha risposto con grande disponibilità.

All About Jazz: Com'è nata la Formed Records? Quali esperienze hanno portato a questa nascita?

William BentonL Erano anni che pensavo di fondare un'etichetta e alla fine, all'inizio del 2005, mi sono deciso a intraprendere i primi progetti.

Penso che etichette della stessa dimensione della Formed siano il frutto del lavoro di appassionati e questo è un principio d'ispirazione generale che ho sempre seguito. L'idea che la gente si rivolga a questa musica così lontana dalle traiettorie commerciali e decida che valga la pena ascoltarla è una grande cosa! Non avrei fondato la Formed senza questo tipo di mentalità.

Per quanto riguarda le esperienze, penso si debba partire dalla mia adolescenza, quando ho conosciuto dei tizi che producevano dischi di gruppi punk locali. Il seguire il modo in cui questi ragazzi sprovveduti affrontavano la produzione - prima dell'avvento di internet che ha democratizzato i processi di autoproduzione - mi ha mostrato che non è l'esperienza tecnica la chiave per affrontare queste avventure, ma lo è la passione.

Ecco perché domande come "perché l'etichetta", "perché questo tipo di musica" sono difficili da rispondere. Come ho detto, avevo da sempre voglia di gestire un'etichetta, ma è stato l'assistere ad alcuni concerti fantastici nella primavera del 2005 che mi ha dato lo spunto definito. Ricordo in particolare una performance di EKG all'Empty Bottle di Chicago e una di Mattin/Barnes in un bar fighetto nei dintorni la settimana successiva che mi ha fatto decidere.

AAJ: Il nome "Formed" da dove viene fuori? Mi sembra ricco di significati...

W.B.: Stavo cercando un nome che fosse sufficientemente facile da ricordare senza suonare forzato. Ho pensato inizialmente a un nome che giocasse un po' su un suono metallico, ma poi ho optato per tenere una linea più sottile. Nello specifico, ho pensato che la musica che mi piaceva poteva essere composta, poteva essere improvvisata, ma era sempre rifinita con la cura di uno scultore. Da questo tipo di riflessione è venuto il nome "Formed".

AAJ: Spesso si ha l'impressione che alcuni progetti "silenziosi" abbiano più bisogno di un'esperienza "live" - con una buona spazializzazione del suono e così via - che della resa su disco, che può rendere abbastanza insoddisfacente l'ascoltare "il nulla" in un impianto non adeguato. Che tipo di indicazioni puoi dare all'ascoltatore comune che si pone questo tipo di domande?

W.B.: Sono contento di avere un podio per rispondere a questa domanda. Ecco quello che penso della musica "quieta", "riduzionista" o "ultraminimale": non è quieta, non è lenta, è GRANDE! Si sviluppa su una scala assai più vasta di quella che le persone sono abituate ad ascoltare e offre all'ascoltatore pochi indizi sulla sua natura. Allo stesso tempo si nega meno di altre musiche, dal momento che quello che accade si muove con una sua andatura e lascia che tu rimanga affascinato. Riducendo la quantità di "segnali" crea qualcosa di meno di una narrazione superficialmente immersiva.

Poi non c'è dubbio che ci sia bisogno dell'esperienza "live" per godere appieno di questa musica. Non sono certo un ascoltatore molto rigoroso, nel senso che non sono proprio un maniaco audiofilo, ma ascoltare dischi come Going Fragile o Futatsu su un vecchio impianto di media qualità è stato divertente e stimolante come l'esperienza dal vivo!

Non credo che sia di grande aiuto sapere in anticipo che un disco sarà quieto e lento, penso invece che la cosa importante sia rivolgersi a ciascun disco senza particolari aspettative.

AAJ: Come hai conosciuto Mattin?

W.B.: Il bello è che non lo conosco! Vive in Europa, io ho fondato l'etichetta a San Francisco e ora la gestisco da Beirut, in Libano. Ma ho lavorato con lui per alcuni dischi perché penso che la sua prospettiva musicale sia davvero forte e unica, sia dal punto di vista compositivo che da quello improvvisativo.

AAJ: Raccontaci qualcosa di più sul suo particolare modo di lavorare con il suono.

W.B.: Non sono del tutto certo che sia così particolare e forse non sono la persona più adatta a rispondere.

Quello che posso dire è che penso che sia ingiustamente ritenuto un estremista, che scorrazza allegramente tra suoni molto quieti e suoni molto forti. Può certamente essere che sia fortemente legato a uno spettro dinamico molto allargato, ma penso che ciò sia meno rilevante del suo incredibile talento come musicista collaborativo. Oltre ai suoi lavori per la Formed, ritengo che il suo duo con Margarida Garcia su L'Innomable, così come il suo contributo a Sakada, il progetto che ha con Eddie Prevost, mostrino chiaramente quanto sia in sintonia con il contesto specifico in cui si muove.

AAJ: Group è un lavoro che mette insieme EKG e il musicista italiano Giuseppe Ielasi.

W.B.: In realtà Giuseppe devo ancora incontrarlo, ma mi erano piaciuti molto alcuni suoi lavori precedenti e mi è capitato di sentire un demo del materiale dal suo tour con Ernst Karel e Kyle Bruckmann, gli EKG, che mi ha davvero impressionato. Al momento non ci sono in programma con la Formed nuovi dischi con artisti italiani, ma la soddisfazione che mi sta dando Group mi spingerà certamente a conoscere meglio la scena del vostro paese.

AAJ: Anche il packaging della Formed è particolare, con il suo look cartonato e sottile!

Volevo che la Formed avesse uno stile ben distinto, ma come ti ho detto per il nome, anche il packaging non volevo fosse troppo invadente. Mi piacciono i prodotti ispirati, come Sectors (for Constant) di Sean Meehan per la SOSEditions, ma non è mia intenzione che il packaging diventi il punto di forza del disco, oltre le idee grafiche che gli artisti ci forniscono per lavorare.

AAJ: Cosa bolle in pentola?

W.B.: Le prossime uscite della Formed saranno un nuovo disco del trio Mersault, formato da Tomas Korber, Christian Wolfarth e Christian Weber, seguito da un duo tra Lucio Capece e Toshimaru Nakamura.

AAJ: Quali sono le difficoltà nel portare avanti un'etichetta indipendente?

W.B.: Dovresti chiedermi quali NON sono le difficoltà! A parte gli scherzi, il punto cruciale è che quest'area musicale non ha alcuna possibilità di profitto, ma l'interesse sincero e l'investimento emozionale in quello che facciamo, da parte di altre etichette, dei distributori, ovviamente degli artisti e del pubblico è davvero speciale! Tanto che le frustrazioni sono poche e la ricompensa davvero grande!

AAJ: Con che criteri scegli gli artisti e i progetti per la Formed Records?

W.B.: Mi piacerebbe avere una lunga lista di caratteristiche, ma non ce l'ho. Se un artista mi piace, cerco di produrre il meglio di quello su cui sta lavorando. Niente di più, niente di meno. Ho solitamente bisogno di sentire almeno un po' di concerti o dischi prima di convincermi, ma una volta che qualcuno mi ha colpito, voglio lavorare con lui!

AAJ: Commissioni direttamente dei lavori agli artisti?

W.B.: Non l'ho ancora fatto, anche se è una direzione che mi interesserebbe percorrere. Ho sempre visto la Formed come una risorsa dedicata alla documentazione della attuale creatività della comunità di compositori e improvvisatori contemporanei e sono pertanto contento di lavorare con quello che gli artisti decidono di produrre. Forse nei prossimi anni questa prospettiva cambierà, ma per ora sono soddisfatto di questo rapporto con la tanta ottima musica che mi viene proposta.

AAJ: Quali ritieni essere gli ambienti più adatti per questo tipo di musica? Le gallerie d'arte? I festival dedicati?

W.B.: Non sono certo che ci sia un ambiente "ideale" per questa musica. Mentre festival come Erstquake ne offrono una dose massiccia e concentrata agli appassionati, penso che sarebbe bello che anche "l'uomo della strada" si potesse misurare con queste sonorità, così credo che anche gli eventi meno specializzati siano utilissimi!

AAJ: Qual è il tuo rapporto con il silenzio e con i suoni?

W.B.: Li amo molto entrambi. E non riuscirei a prefigurarmi il mio mondo senza di essi, cosìcchè una risposta significativa diventa quasi impossibile!

AAJ: Che musicisti vorresti produrre? E quali altri etichette ti piacciono?

W.B.: Sto già lavorando coi musicisti che voglio produrre! Ma volendo essere serio, ce ne sono talmente tanti che è difficile starci dietro. Fosse per me, la Formed sfornerebbe un disco alla settimana e mi spiace di non riuscire a produrne più di quanto faccia ora. Penso infatti che stiamo attraversando uno dei periodi migliori per la musica improvvisata, ne sono certo.

L'esplosione di metodologie, concetti e progetti realizzati è stupefacente e sono felicissimo di contribuire a questa piccola nicchia con quello che realizza la Formed. Sono anche contento che ci siano altre etichette che lavorano sulle medesime coordinate e con la stessa dedizione, labels come L'Innomable, Cathnor, Esquilo e molte altre che sono gestite da persone che come me sono passate da essere dei grandi fan a diventare degli operatori con l'obbiettivo di fornire al pubblico un quadro sempre aggiornato di quello che accade in questo settore.

AAJ: Cosa sta ascoltando Will Benton in questo periodo?

W.B.: Oh, Will Benton sta ascoltando tante cose!

Fages/Berberian/Costa Montiero [hanno decisamente bisogno di un nome più corto!] su Esquilo, Semisferi è uno di quelli che preferisco, così come Pech, il disco di Friedl e Vorfeld per la Room40. Oltre a questo, nell'ultimo anno ho ascoltato abbastanza l'opera di Helmut Lachenmann e rimango sempre un fan dei Weavers e dei Beach Boys!

LE PRIME CINQUE USCITE

Dion Workman - Mattin

S3

Formed Records

(2007)

Il primo disco della Formed è S3, lavoro del duo Dion Workman - Mattin, che già aveva pubblicato per Antifrost. S3 è certamente uno di quei lavori che mette a dura prova la pazienza dell'ascoltatore meno "attrezzato", ma che suscita spesso le perplessità anche di chi ha familiarità con le musiche più inconsuete.

Richiede infatti - o meglio richiederebbe - delle condizioni di ascolto difficilmente ottenibili negli scenari urbani nei quali ci muoviamo: una sola lunga traccia, il silenzio increspato da onde appena impercettibili [il ronzio di un qualsiasi computer le sovrasta impietosamente], la fruizione diventa così un'operazione di tipo "fideistico", all'ascoltatore è richiesto quasi di "entrare" dentro il suono, di abbandonare ogni riferimento. Pur intuendo - nei rari momenti in cui è concesso - che il lavoro svolto dai due è di grande raffinatezza, è davvero difficile trovare altre chiavi di accesso a questo inframondo sonoro.

Radu Malfatti - Mattin

Going Fragile

Formed Records

(2007)

L'artista basco è protagonista di un altro duo, questa volta con l'esperto trombonista austriaco Radu Malfatti: anche nel caso di Going Fragile la tessitura sonora è giocata su sbuffi di polvere, su un richiamo lontano, sullo scricchiolare di qualche congegno del cuore del silenzio. Un fischio acuto si solleva dal nulla, un borbottio inquieto si stacca come sul fondo di un abisso marino.

Due le tracce, registrate la prima in studio a Vienna e la seconda dal vivo a Tarcento [Ud]: è proprio questa seconda - più breve - quella che riserva la maggiore varietà sonora, svelando da subito una natura vibrante e sottesa che lascia intuire anche all'ascoltatore oramai scoraggiato dall'attesa, che quello che si muove nell'ombra è minaccioso e stimolante.

Jon Mueller - Jason Khan

Supershells

Formed Records

(2007)

Due sono le tracce che compongono questo disco - registrato dal vivo a Milwaukee nel 2005 - del duo formato da Jon Mueller [percussioni e cassette analogiche] e Jason Khan [che alle percussioni affianca il sintetizzatore analogico]. Un dialogo tra percussionisti in cui la componente ritmica è però ridotta all'osso, preferendo i due giocare su sottigliezze legate più allo sfregamento e alla produzione di suoni lunghi, assecondati dall'apparecchiatura analogica.

Quello che ne esce è intrigante e fortemente onirico e se ne apprezza la costruzione [parola che apparentemente non sembrerebbe la migliore per musiche in cui la componente statica è molto forte, ma che in realtà bene si attaglia all'evolversi lento degli accadimenti sonori] e la stratificazione. Sottotraccia e sottopelle.

EKG - Giuseppe Ielasi

Group

Formed Records

(2007)

Colpisce anche l'incontro tra gli EKG - dietro questa sigla si nasconde il duo di Ernst Karel [tromba e elettronica analogica] e del più celebre Kyle Bruckmann, oboista e musicista elettronico tra i più interessanti in circolazione - e il "nostro" Giuseppe Ielasi. Partendo da materiale registrato dal vivo e lavorandoci separatamente poi in studio, i tre esplorano con grande sincerità e efficacia le profondità del suono.

Le relazioni, spesso impercettibili, il piacere di costruire textures subliminali, facendo risuonare frammenti minuscoli di materia sonora in un continuo gioco di perdita e disvelamento dell'identità, attraversando il silenzio con i sobbalzi elettrici di una manopola, soffiando braci mutanti dentro le fessure: Group è un piccolo scrigno da accostare all'orecchio nelle notti senza luna e lasciare crepitare in una stordente necessità di senso. Molto bello.

Bruckmann/Dafeldecker/Hauf

Wane

Formed Records

(2007)

Ritroviamo Kyle Bruckmann [questa volta solo a oboe e corno] in compagnia di due tra gli artisti austriaci più avventurosi, il contrabbassista Werner Dafeldecker - che però qui si dedica a chitarra e percussioni - e il sassofonista Boris Hauf, qui al baritono e al sintetizzatore.

Quattro momenti scandiscono le triangolazioni dei musicisti, in un conturbante rimbalzarsi di suoni e rumori in cui si rischia di smarrirsi, ma che tengono desta l'attenzione perché l'inaspettato è sempre all'erta: gli strumenti a ancia diventano così macchine del respiro, prolungamento dell'anima, lamento, graffio, sospiro, a volte poco rassicurante, ma non è questo forse che ci svela ogni sincera esplorazione di cosa c'è dietro i suoni?

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