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Ferdinando Romano 4tet al Pinocchio

Courtesy Annamaria Lucchetti
Pinocchio Live Jazz
Firenze
2.2.2024
Tagliato il traguardo del 2023 del Top Jazz di Musica Jazz un po' a sorpresa, ma con indubbio merito al secondo posto tra i musicisti italiani, al terzo tra i dischi e al quarto tra le formazioni, Ferdinando Romano ha portato il quartetto del suo ultimo album Invisible Painters sul palco fiorentino del Pinocchio, un locale che sia detto a suo merito è solito frequentare con regolarità da ascoltatore.
La musica ha ripreso dal vivo mood e composizioni del disco, mostrandone dal vivo tutta la complessità, non solo attraverso l'immersione nelle rarefatte atmosfere elettriche, ma facendo cogliere la difficoltà di dargli corpo, a fronte della frammentazione delle composizioni e della difficile gestione dei suoni. Quello di Invisible Painters è infatti un sofisticato esperimento di unificazione di raffinate sonorità acustiche e ricercati suoni elettronici, con le prime provenienti soprattutto dai clarinetti di Federico Calcagno e dalle sottili ricerche timbriche della batteria di Evita Polidoro, i secondi invece nelle mani del leader e del quarto elemento della formazione, l'austriaco Valentin Gerhardus che per l'occasione sostituiva Elias Stemeseder. Entrambi, infatti, alternavano il lavoro sugli strumenti acustici con quello su sintetizzatori e campionatori, cosa che da un lato permetteva loro di seguire passo passo il melange timbrico, dall'altro li costringeva a un continuo, faticoso cambio di approccio strumentale.
Gli esiti, al netto di qualche pausa troppo accentuata e (nella prima parte) una lieve sottovalorizzazione di Calcagno, sono stati come nel disco originali e interessanti: una musica riflessiva e a tratti onirica nella quale si innestavano gli interventi dei clarinetti ora lirici, ora elegantemente contemporanei e della batteria perlopiù sottili, con stridor di pelli, ma qua e là anche imperiosi e propulsivi, a dare consistenza materica ai sospesi suoni elettronici. Con un procedere che è cresciuto progressivamente in consistenza e trasporto, quasi che il discorso, reso complesso dalla varietà di timbri con cui operare, prendesse sempre più scioltezza via via che i quattro lo sviluppavano.
Tangibile dal vivo il modo in cui Romano dirigeva dal centro della scena una musica così articolata, ora dettandone i tempi dal contrabbasso, ora cambiando gli scenari effettuando scelte diverse all'elettronica. Non meno interessante l'apporto della Polidoro, quasi una variabile libera appostata ai margini e pronta ad aggiungere alla musica elementi giustamente dissonanti. Poliedrico ai suoi vari strumenti Gerhardus, mentre Calcagno come sempre brillantissimo nei suoi interventi è sembrato un po' troppo vincolato, laddove una maggiore libertà d'intervento avrebbe forse permesso di valorizzare maggiormente i bellissimi timbri dei clarinetti.
Immerso in questo singolare mix di suoni e di stili, oscillanti tra ambient e camerismo contemporaneo, jazz ed elettronica, il pubblico è parso felicemente affascinato e ha tributato alla formazione un caloroso successo.
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