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Ernest Dawkins & Chicago 12
ByTeatro Manzoni - Milano - 26.10.2008
"Power To The People". "You can kill the revolutionary, but you can't kill the revolution". Fa uno strano effetto ascoltare al teatro Manzoni, ovvero uno dei teatri di riferimento della buona borghesia milanese, gli slogan del black power, delle Pantere Nere, declamati dal rapper Khari B con tanto di pugno chiuso levato verso il cielo, come fecero Tommy Smith e John Carlos sul podio delle olimpiadi di Città del Messico.
Ma quando sul palco c'è Ernest Dawkins, ovvero il presidente dell'AACM, separare la musica dalle sue radici, e dunque anche da tutte le lotte della popolazione nera americana, diventa impossibile. In questa giornata milanese, anzi, il programma di sala era completamente imperniato su questi eventi. Una trilogia che ha preso il via con Misconception of a Delusion Shades of a Sharade, tratto dall'album omonimo (racconto del Chicago 7 Trials),
per proseguire con Tribute to Emmit Till (dedicato al giovane quattordicenne, la cui uccisione diede l'avvio "ufficiale" alle lotte degli africani-americani), e concludersi con A Black Op'Era (dedicated to Chairman Fred Hampton), in cui si ricorda l'uccisione da parte della polizia del leader delle Pantere Nere. Fatti drammatici, che però Dawkins non celebra in quanto tali, ma in quanto momenti di rottura e discontinuità. Punti di partenza verso eventi - e lotte - che hanno portato a migliori condizioni della popolazione nera americana. Non a caso, nell'introduzione al concerto il sassofonista ha ricordato come uno dei candidati alla presidenza degli Stati Uniti sia oggi un afro-americano, e come tale candidato sia politicamente cresciuto (non casualmente) a Chicago.
Musica dunque molto ben radicata nella tradizione black, ricca di elementi blues, soul, funk e rap. Con il jazz a fare da collante. Un jazz che spazia dalle origini al free, concentrandosi in modo particolare sugli anni '60 e John Coltrane (in alcuni frammenti abbiamo colto chiari riferimenti compositivi a My Favorite Things ed a Giant Steps).
Il vasto organico, dodici elementi, forte di una doppia sezione ritmica (Avreeayl Ra e Isaiah Spencer alla batteria, Harrison Bankhead e Josh Abrams al contrabbasso), pianoforte (Justin Dillard), cinque fiati (oltre al leader, quattro straordinari giovani come Corey Wilkes, Norman Palm III, Kevin Nabors, Aaron Getsug) e due voci (il rapper Khari B e la più "tradizionale" Dee Alexander), sviluppa una musica di forte impatto sonoro ed emotivo, capace di spaziare lungo tutto lo spettro espressivo. Dalla rabbia più dura ed esplosiva, alla catarsi, alla più sottile poesia. E' il jazz di Chicago. Un jazz certo meno modaiolo di quello newyorkese, (e infatti l'affluenza di pubblico - purtroppo - non è stata adeguata alla levatura del concerto) ma altrettanto interessante e per certi versi più autentico.
Foto di Roberto Cifarelli.
Ulteriori immagini di questo concerto sono disponibili nella galleria immagini.
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