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Dialoghi: jazz per due 2013

Chiesa Santa Maria Gualtieri - Pavia - 19.03-10.04.2013

Sotto il comune denominatore della performance in duo (con qualche deroga, una anche quest'anno), il direttore artistico di Dialoghi: jazz per due, Roberto Valentino, è riuscito a portare a Pavia una pluralità di artisti diversi tra loro, dando vita talvolta a progetti originali ed a veri e propri azzardi. Un'occhiata al curriculum della manifestazione dimostra la trasversalità delle proposte che si sono susseguite. I nomi del mainstream come Paolo Fresu, Omar Sosa, Fabrizio Bosso e Stefano Bollani si affiancano a quelli della musica di ricerca come Tim Berne, Stefano Battaglia o Michele Rabbia.

Quest'anno i concerti del festival si sono svolti tutti nella Chiesa di S. Maria Gualtieri, una sala dall'acustica suggestiva, ma anche insidiosa e dalle risonanze inattese: adatta per i sassofoni, soprattutto.

Protagonisti della prima serata, martedì 19 marzo, sono stati Giovanni Falzone e Francesco Bearzatti. Entrambi musicisti pluripremiati e molto apprezzati sia in Italia che all'estero, hanno scelto la rassegna pavese per presentare per la prima volta un nuovo progetto dal titolo più che ambizioso: "Invenzioni a due voci".

L'idea è stata di Falzone , che subito ha pensato di farsi affiancare dal sassofonista friulano, con cui condivide il palco da molto tempo, anche se il duo di sax e tromba è per entrambi un inedito. Di Falzone sono anche le composizioni, tutte originali e appositamente destinate a questa formazione. "K87" (dedicata a Domenico Scarlatti), "White Light," "Open Gate," "Freak Song" sono alcuni dei titoli di questi brani. Citando Gaslini, Falzone dice di aver voluto perseguire una musica totale. In effetti, il concerto si è mosso nei territori più vari: episodi swinganti; ballads lente, quasi ferme, secondo la lezione di Ornette; improvvisazioni basate su idee melodiche o timbriche.

In assenza della ritmica, il duo ha gestito tempo e dinamiche con grande libertà: Bearzatti ha svolto il ruolo di raffinato propulsore armonico delle composizioni, non facendo in nulla rimpiangere un contrabbasso. Anche l'amalgama del suono è stata curata nel dettaglio: le diverse sordine impiegate da Falzone, il suo muoversi per la sala (giusta la scelta di non microfonare gli strumenti) e l'alternarsi di Bearzatti tra tenore e clarinetto hanno prodotto ambientazioni variegate.

Martedì 26 marzo è stata la volta di un collaudatissimo duo: quello di Gianluca Petrella e Giovanni Guidi, entrambi già ospiti di Dialoghi, ma con formazioni diverse. Nota e duratura è la collaborazione tra i due musicisti, fianco a fianco in numerosi progetti: il quintetto Tribe di Enrico Rava o la Cosmic Band dello stesso Petrella, per fare qualche nome.

A Pavia, il trombonista pugliese ed il pianista umbro hanno proposto un concerto animato dalla volontà di sottrarsi alle griglie del chorus, pur senza prescindere dalla proposta di temi riconoscibili, in un misto di composizioni originali e brani pop. Così l'esposizione della melodia veniva dissolta in divagazioni timbriche o con semplici pedali e brevi giri armonici estranei alla composizione. Sia Petrella che Guidi si sono cimentati in lunghe introduzioni solitarie, tratto comune che caratterizza lo stile di entrambi. In particolare il trombonista si è servito di queste introduzioni per esplorare le possibilità espressive del suo strumento, producendosi in polifonie alla Paul Rutherford o in effetti percussivi di vario genere.

Nelle mani dei due musicisti le strutture del blues e della canzone, su cui si incardinava il repertorio proposto, si sono fuse in una musica che teneva ben presente le sperimentazioni degli improvvisatori (soprattutto europei, ma non solo) degli ultimi quarant'anni: dal già citato Rutherford a Misha Mengelberg, da Rava - mentore di entrambi - a D'Andrea. Quando le dinamiche si facevano più concitate, Guidi probabilmente peccava d'eccessiva irruenza, togliendo libertà di movimento al fraseggio di Petrella.

Venerdì 5 aprile è andato in scena, a detta degli stessi musicisti, uno di quegli azzardi di Roberto Valentino a cui si accennava più sopra. Il direttore artistico di Dialoghi ha voluto dar vita ad un quartetto di sassofoni del tutto eccentrico: senza sax contralto, con baritono, tenori e soprani a contendersi il campo. A realizzare "l'azzardo" sono stati Massimiliano Milesi, Tino Tracanna, Claudio Fasoli e Gianni Mimmo, che giocava in casa, dato che a Pavia vive e lavora. Il concerto è stato suddiviso tra momenti in quartetto ed episodi in solo, duo o trio. Gianni Mimmo ha organizzato i momenti collettivi (quasi sempre improvvisazioni, fatta eccezione per un tema scritto, che ha aperto la serata) attorno a semplici linee di sviluppo ritmico e soprattutto dinamico. Anche i brani in solo sono stati quasi sempre improvvisazioni, a parte uno studio su Monk eseguito dallo Stesso Mimmo.

Qualitativamente, i solo ed i gruppi ristretti hanno superato i quartetti. Il motivo è da ricercarsi probabilmente nel fatto che i quattro non hanno la medesima frequentazione con l'improvvisazione libera, che è proprio la cifra di Gianni Mimmo: Claudio Fasoli, ad esempio, non ha mai fatto mistero di preferire forme interamente composte. Questa disomogeneità di percorsi ha tolto lucidità ad alcuni passaggi, in cui la tendenza ad imitare le idee proposte dagli altri prendeva il sopravvento sulla ricerca di ulteriori spunti compositivi. Efficacie è stata la scelta dei musicisti di disporsi, in alcuni momenti del concerto, ai quattro angoli della sala, producendo uno spiazzamento acustico apprezzabile. Sono stati questi, per altro, i frangenti in cui le dinamiche sono apparse meglio bilanciate.

La chiusura dell'edizione 2013, nella serata di mercoledì 10 aprile, è stata affidata a due maestri della scena avant newyorkese come Tim Berne e Mary Halvorson. Anche quella del sassofonista e della chitarrista è una collaborazione duratura, maturata in progetti a nome di Berne e nei gruppi con Ches Smith. I due sono in Europa appunto per suonare con il batterista, che l'11 aprile ha inaugurato un lungo tour, attraverso Danimarca, Germania, Austria, Italia e Francia, con il suo progetto Ches Smith and These Arches. Il concerto in duo del 10 ne è stato una sorta di preludio.

Berne e Halvorson hanno improvvisato tre suites della durata all'incirca di un quarto d'ora (e due brani più brevi come bis, richiestissimi), giustapponendo contesti espressivi diversi, secondo quel modo di procedere che è proprio anche del Berne compositore. L'attenzione al timbro e alla melodia, oltre ad una spiccata complementarietà nelle dinamiche, hanno caratterizzato le improvvisazioni. Una complementarietà che si traduce anche in una maggiore propensione di Halvorson per il fraseggio articolato, mentre Berne predilige gli ostinato e le elaborate curve melodiche.

L'inesausta immaginazione tematica di Berne non smette di sorprendere, nemmeno nell'estemporaneità della composizione. Così come non cessa la sua volontà di portare il contralto verso limiti espressivi sempre più arditi, senza mai perdere di vista la coerenza formale dell'esecuzione. Chi ha amato Snakeoil (il sottoscritto non nasconde di essere tra quelli) non è rimasto deluso dal concerto.

Anche quest'anno, quindi, si è confermata l'attitudine degli organizzatori della rassegna a diversificare la proposta artistica, mantenendo alta la qualità della musica e riuscendo a raggruppare in cartellone nomi di sicuro impatto. Chi abbia dimestichezza con il mondo dei festival sa quanto sia difficile, nel periodo che stiamo attraversando, mantenere questa fondamentale coerenza di intenti. Forse sarà opportuno, in vista delle prossime edizioni, interrogarsi sulla possibilità di differenziare anche le location, in base al tipo di concerto in programma. S. Maria Gualtieri si è dimostrata una sala accogliente ed ha esaltato il suono delle ance, che del resto erano di gran lunga gli strumenti più presenti nelle varie serate. Si è rivelata un poco penalizzante per gli strumenti armonici. È evidente, comunque, che si tratta di considerazioni marginali rispetto all'ottima riuscita dell'evento.

Foto, di repertorio, di Luca D'Agostino (Bearzatti-Falzone) e Michael Parque (Halvorson-Berne).

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