Dijkstra, Bishop, Karayorgis, McBride & Gray: Cut Out

Sei tracce per dieci temi complessivi, quattro di Pandelis Karayorgis, greco, due di Nate McBride, americano di Chicago, e Jeb Bishop, lui di Raleigh, North Carolina, e uno a testa di Jorrit Dijkstra, olandese, e Luther Gray, di New Orleans, compongono questo bell'album, ricco, solido, a tratti persino rutilante, in cui i due fiati si danno battaglia indomiti e attorno a loro macinano piano, basso e batteria.

Non si pensi con questo che di trovarsi di fronte a un'incisione meramente "ginnica," di quelle che ingolfano fin troppo diffusamente l'attuale discografia jazzistica, perché qui c'è musica ottimamente costruita, oltre che suonata, però, appunto, con un corporalità, una pienezza, indiscutibili.

Magari non si va troppo per il sottile, ma non c'è mai neppure occasione o tempo per annoiarsi, benché i momenti di riflessione e ripiegamento non manchino (per esempio in Tenet, di Bishop, che chiude la terza traccia del disco, ma anche altrove), oasi quasi agognate entro un itinerario collettivo (come la firma stessa dell'album, rigorosamente "democratica") che privilegia il canto aperto, l'interscambio fitto, la rigogliosità. Che alla fine non generano peraltro saturazione, quanto piuttosto sano appagamento. Senza troppi problemi ma con la certezza di esser stati spettatori di una performance a cinque voci di sicuro spessore, defaticante (per noi, comodamente seduti in poltrona) e liberatoria.

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