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Cuba Island of Music

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Gary Keys

Cuba Island of Music

MVD Visual

Valutazione: 4 stelle

"Può darsi che la ricerca di autenticità culturale nella musica popolare sia sempre una ricerca per qualcosa che appare più profondo della realtà che viviamo. Nell'esotico, il nostalgico, lo straniero o il primitivo, possiamo sperare di percepire verità eterne che sembravano venir meno nella confusione della vita moderna. Ma inseguire l'autenticità in altre culture o in tempi passati è improbabile che curi una percepita mancanza di autenticità in casa. Perché ovunque si vada, ci si porta sempre dietro se stessi".

Queste parole concludevano il pezzo che Hugh Barker e Yuval Taylor dedicavano all'album Buena Vista Social Club nel saggio "Musica di plastica. La ricerca dell'autenticità nella musica pop". Oggetto della loro opinione era tutta l'attività etnomusicologia condotta da Ry Cooder per la pubblicazione, poi risultata un successo planetario, del disco che avrebbe fatto conoscere al mondo Ibrahim Ferrer & Co.

I due autori gettavano ombre sulla capacità di chiunque di avvicinarsi alle culture musicali altre senza per questo corromperle con una visione occidentale, da industria culturale per intenderci, che spesso "rovina" l'autenticità di quelle espressioni.

Seguì poi il film di Wenders e tournèe in tutto il mondo dell'ensemble del Buena Vista. Ha ancora senso parlare di Cuba e della sua inestimabile ricchezza musicale dopo i fasti gestiti dal chitarrista Cooder?

Probabilmente sì, anche perché questo film diretto da Gary Keys, concert producer ma anche film maker, parte proprio, inconsapevolmente o meno, da quei dubbi che l'operazione Buena Vista aveva un po' avanzato.

Ecco perché la sua telecamera gira in tondo e in largo per le vie dell'Havana. Non ci sono celebrità che vengono riprese, ma miriadi di artisti che vivono letteralmente per la musica ad ogni angolo della città. Era importante fare della macchina da presa un osservatore imparziale che più che giudicare o selezionare facesse la parte dell'occhio indiscreto e "spione," riuscisse cioè a raccontare la musica senza mediazioni di specie o filtri interessati.

Ci sono le testimonianze di leggende jazz (Billy Taylor, Candido Camero, Chico O'Farril), ma l'intensità della musica on the road, la felicità inarrestabile, rendono questi 72 minuti irresistibili.

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