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Cosimo Boni Quintet al Brillante di Firenze

Cosimo Boni Quintet al Brillante di Firenze

Courtesy Giampaolo Becherini

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Cosimo Boni
Move On
Brillante—Nuovo Teatro Lippi
Firenze
25.2.2024

Trombettista toscano trentatreenne, a lungo negli U.S.A. per ragioni di studio e ritrovatosi di nuovo in patria a seguito della pandemia, Cosimo Boni è da poco uscito con il suo primo disco a proprio nome, May Be—Unable to Return, pensato a Boston, registrato a New York e presentato dal vivo a Firenze per il progetto Move On di Music Pool.

Sul palco fiorentino era in verità presente solo uno dei componenti il quintetto che ha registrato il disco, l'unico italiano, per quanto residente da dodici anni in America: l'altosassofonista Daniele Germani, che con Boni ha condiviso anni di studio oltreoceano, così come il pianista Justin Salisbury, anch'egli giunto in Italia per l'occasione, attirato anche dall'amore per la nostra lingua. A completare la formazione, due eccellenti musicisti nostrani: al contrabbasso Francesco Ponticelli, che con Boni collabora da tempo nel progetto Xenya, e alla batteria Andrea Beninati. In programma i brani del disco, tutti di Boni tranne una composizione di Germani.

Non sorprendentemente la musica ha svelato una cifra molto più classicamente "americana" di quanto si sia soliti ascoltare dai nostri gruppi: folgorato in giovanissima età dalla tromba di Miles Davis, formatosi prima con il trombettista fiorentino Franco Baggiani, poi alla Berklee con maestri come Danilo Pérez e Joe Lovano, Boni ha proposto composizioni di modern jazz che riecheggiavano il quintetto di Miles degli anni Sessanta, in modo tuttavia non calligrafico: se infatti il trombettista riprendeva alcuni tipici stilemi davisiani, ne aggiornava anche contorni e dettagli, spingendosi in assoli personali e attuali; al suo fianco Germani proponeva con il suo contralto un suono e un fraseggio decisamente originali, anch'essi in parte ripresi dalla tradizione —in questo caso quella del cool jazz e delle scuole di Lee Konitz e Warne Marsh —che tuttavia sono oggi assai raramente riproposti e comunque erano ben personalizzati dal giovane altosassofonista.

Non meno interessante lo stile pianistico mostrato da Salisbury, assai ben integrato con lo stile dei due compagni, ma anche in parziale e virtuoso contrasto, in quanto più astratto e luminoso. Più misurati e discreti i due italiani che completavano la ritmica, anche se non sono mancati neppure per loro, in particolare per il batterista, spazi in assolo.

Un concerto interessante, dunque, sia perché metteva in vetrina giovani musicisti ben poco noti —chi scrive aveva già avuto modo di apprezzare Boni, come ospite di altri progetti, sia dal vivo che su disco, ma non conosceva né Salisbury, né l'interessantissimo Germani —sia per come essi vi attingevano alla tradizione in modo tanto diretto, quanto originalmente rielaborato. Buona notizia, infine, che in uno spazio periferico, non vocato e in via di rivitalizzazione, il pubblico fosse tutt'altro che ridotto.

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