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Cinematic Orchestra

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Auditorium - Roma - 10.06.2010

Nei suoi dieci anni e poco più di attività (il primo CD risale al 1999) non sono state molto frequenti le apparizioni nel nostro paese della Cinematic Orchestra, una delle formazioni più popolari in ambito nu jazz; era quindi molta l'attesa per questo ritorno, tanto da riempire quasi completamente la sala Sinopoli dell'Auditorium romano. Iniziato con quasi un'ora di ritardo per problemi con i voli aerei (che hanno costretto il gruppo a iniziare senza il chitarrista, arrivato sul palco solo durante il secondo brano), il concerto ha comunque soddisfatto il numeroso pubblico (che invano ha lungamente invocato il ritorno sul palco dei musicisti per un secondo bis) fornendo in una sorta di "Best of .. Live" una rappresentazione abbastanza completa della produzione del gruppo.

La loro musica fonde jazz, elettronica, lounge, groove, hip hop e minimalismo, interpretati da un collettivo di musicisti facente capo al loro fondatore e leader Jason Swinscoe, polistrumentista e compositore legato all'etichetta Ninja Tune. I musicisti variano spesso (anche per il concerto romano c'erano un nuovo pianista e un nuovo batterista), ma senza alterare le caratteristiche musicali, dirette con mano ferma da Swinscoe. E' proprio lui a dare sempre il via ad ogni brano facendo partire un loop predefinito su cui poi viene costruito il pezzo. Oltre al leader (che si limita a controllare i loop e qualche intervento elettronico) il gruppo è completato da un quintetto classico nella strumentazione (tastiere-basso-batteria-chitarra-sassofoni) con una cantante di estrazione soul, Heidi Vogel, utilizzata prevalentemente in modo timbrico (la struttura dei brani è sostanzialmente strumentale). Alla lunga, però, la eccessiva ripetitività dello schema della costruzione musicale, non sostenuta da un adeguato supporto compositivo (tutti i brani sono costituiti da sovrapposizioni di loop strumentali, senza un vero sviluppo armonico), viene presto a noia, e non bastano gli sporadici interventi solistici degli strumentisti (in particolare del bravo sassofonista Tom Chant, mentre troppo in disparte è rimasto il chitarrista Stuart McCallum) a mantenere alta la tensione narrativa, quasi del tutto assente.

Complessivamente un set gradevole, a patto di non scostarsi dalla superficie per scendere più in profondità; l'impressione finale è quella di un'operazione più furba che sinceramente ispirata, e rimane il rammarico per alcune buone intuizioni musicali non sfruttate completamente.=


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