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C’est ça…Joelle Léandre…

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Vous savez, prendre la parole est important. Les femmes ont peu de modèles, d’idoles. Nous avons par contre la lourdeur d’une histoire à porter où les femmes n’étaient que muses, murées en tableaux ou en poèmes.
Joelle Léandre è una delle più interessanti, problematiche e sensibili musiciste della musica contemporanea. Ha già lasciato un’indelebile traccia della sua personalità [nonostante sia ancora tutta da scrivere la storia della musica che compone, interpreta e suona, l’improvvisazione] avendo al suo attivo un centinaio di registrazioni con jazzisti quali Derek Bailey, Maggie Nicols, Lindsay Cooper, Irène Schweizer, Fred Frith, Evan Parker, Eric Watson, Lol Coxhill, Peter Kowald, William Parker, Barre Phillips, Lauren Newton, Carlos Zingaro, Steve Lacy e Paul Lovens - per citarne alcuni. La sua formazione è delle migliori per la musica contemporanea, avendo fatto parte dell’2E2M, dell’Itinéraire e dell’Ensemble Intercontemporain. È interprete ineguagliabile - voce e contrabbasso - di alcune delle più belle pagine di John Cage e Giacinto Scelsi. Eppure nel panorama del jazz la Léandre risulta un personaggio particolare e a suo modo atipico. Forse è soprattutto il suo modo di suonare ad essere particolare: molto fisico, prorompente, vulcanico, ma allo stesso tempo fragile, intenso e sensibile. Il suo contrabbasso fluttua tra l’adesione ad un’inevitabile fedeltà al testo scritto (nell’interpretazione), preso con più trasporto verso un totale, più naturale e congenito senso di eversione (nell’improvvisazione). Nell’intimo incarna due anime - in fondo così poco conciliabili e accordabili - che emergono con forza e intensità ogni qual volta suona. Tutto affascina in questa musicista, femminile nel midollo, il cui percorso di ricerca ha dato vita negli anni ad una poetica lancinante e ribelle, acuta e intimista nell’essenza, ma allo stesso tempo in continua tensione, critica e a suo modo irruenta.

L’incontro con la contrabbassista francese [per leggere l’intervista clicca qui] ci è parsa un’importante occasione per approfondire alcuni recenti lavori incisi tra il 2002 e il 2005. È presto evidente a chiunque abbia confidenza con la sua discografia che questi ultimi anni sono stati particolarmente intensi, sia per quanto riguarda i progetti in cui è stata coinvolta, sia per quanto riguarda il numero stesso delle registrazioni date alle stampe - considerando che dal 2000 ad oggi sono quasi trenta i CD incisi a suo nome, poco meno di un terzo della produzione totale. Si tratta di un’attività, per alcuni versi, frenetica che può certo esporre a rischi - poiché mette a nudo la meccanica di quanto succede nel contesto dell’improvvisazione e negli incontri con altri musicisti -, ma che mostra una evidente volontà di lasciare una traccia di sé, di una storia, in fondo, fatta di tante storie. In sostanza è rivendicare un’idea di jazz vecchia quanto e forse più del jazz, per la quale la musica deve essere testimoniata così come è stata vissuta, nella sua freschezza, estemporaneità e immediatezza.

Nel presentare i lavori, si è evitato l’ordine cronologico, privilegiando piuttosto quello della formazione nella quale di volta in volta la Léandre è stata membro: Quartetto, Trio, Duo e Solo. Il punto di arrivo del nostro ipotetico percorso è il suo ultimo CD, Concerto Grosso, un doppio, in solo, che rappresenta senza mezzi termini la summa delle ricerche della Léandre negli ultimi anni, laddove il punto di partenza ci sembra essere Lugano registrato con il Quartet Noir.

Tra questi due “punti focali”, in cui la Léandre si approccia in modo diverso all’improvvisazione, spiccano le registrazioni in Trio - Tempted to Smile (Léandre/Frith/Segel), No Day Rising (Léandre/Larner/Uchihashi) e Flowers of Peace del Ramon Lopez Flowers Trio - e una serie piuttosto folta di incisioni in Duo. Tra le numerosissime da sempre effettuate dalla Léandre vale la pena segnalare ancora quella con il compianto sassofonista Steve Lacy, One More Time [per leggere la recensione clicca qui], e quelle con il sassofonista ungherese Akosh Szelevényi, Gyor, con il pianista Gianni Lenoci, Sur une balançoire, con la violinista americana India Cooke, Firedance e, infine, la più recente con la vocalist Lauren Newton Face it!.

Prima di vedere i singoli lavori, alcune osservazioni. In generale, salta all’occhio una spiccata preferenza nel presentare registrazioni live, da sempre fertile humus sonoro nel quale la Léandre realizza al meglio la propria personale filosofia e pratica d’improvvisazione. Inevitabile constatare poi quanti siano gli incontri e le collaborazioni con improvvisatrici donne. Senza altro è azzardato parlare di “musica di genere”, ma, probabilmente, non è casuale che sia proprio l’improvvisazione [ambito tanto attento alle marginalità di genere, e non solo musicali] a favorire così interessanti e feconde opportunità d’incontro e riservare tanto spazio alle donne. Nelle collaborazioni, ma anche nella scelta delle etichette per cui incidere si delinea un percorso geograficamente trasversale: Europa, Giappone, Stati Uniti ma, soprattutto, Canada, risultano, infatti, essere i punti cardinali di un più lungo viaggio, di cui le registrazioni appaiono come evidenti testimonianze delle tappe intermedie.

Più nel dettaglio, si fa sempre più strada una chiara predilezione per l’evento-improvvisazione. Segno evidente è il fatto che i titoli dei singoli brani risultano essere una semplice riproduzione numerata del titolo dell’intero CD, soprattutto nelle registrazioni in Duo. Ciò che conta è il quadro generale dentro il quale iscrivere l’evento, l’improvvisazione, l’esecuzione, piuttosto che l’attenzione riservata al singolo atto. Il pezzo, il brano, la track diventano quindi assolutamente inscindibili dal tutto e non possono vivere di natura propria. L’improvvisazione è un flusso, che può avere pause e interruzioni, ma che resta di fondo un dialogo, con i suoi tempi, le sua modalità di conduzione, le sue strategie di relazione.

Sul piano strumentale è evidente che l’utilizzo della voce per accompagnare l’esecuzione al contrabbasso entri sempre più prepotentemente in gioco, tanto che in Concerto Grosso la voce - che è parola, quasi vocalizzo (astratto), rumore, ma anche solo afflato - diventa addirittura strumento con il quale dialogare. È quella parte d’interiorità che preme per emergere (informe e intrinseca qual è), è espressione di piacere e di dolore, è grido, è ansia, è tensione. Non può sfuggire la lezione di Giacinto Scelsi, interiorizzata all’essenza.

In quasi tutte il contrabbasso della Léandre è essenziale nell’amalgamare i suoni degli strumenti acuti, ponendo le basi, più di ogni altro strumento, da cui partono tracce e improvvisazioni. Mani e archetto si scambiano di continuo funzione e parti, in un gioco di combinazioni e sovrapposizioni che si sviluppa senza soluzione di continuità. Il pizzicato della Léandre è elastico, mai duro, al contrario modulare e versatile nelle diverse situazioni sonore e con i musicisti che accompagna. Il suo tocco lascia spazio ad echi e rimbombi gravi, ma non indugia nell’avventurarsi anche sui registri alti, così poco indagati in fondo. L’archetto strofina, frega, friziona, pizzica anche, se necessario percuote le corde perché nulla deve mancare in una ricerca a tutto tondo. Anche il lavoro sui legni, cassa e tastiera, è totale. Manca forse un’indagine all’interno della cassa - con laptop o microfoni a contatto o sperimentazioni con l’elettronica -, ma si rischierebbe il superamento dei limiti e, in fondo, sono già così tante le vie aperte dalla Léandre che la non si può rimproverare di questa mancanza.

Ultimo aspetto. La voluminosità del suo strumento non imbarazza minimamente la Léandre che suona il proprio contrabbasso cingendolo fisicamente e idealmente. Qui non sfugge la lezione di un Mingus, anch’egli interiorizzato all’essenza. È questo un approccio particolare, che caratterizza la Léandre, molto intrigante, emblema di una ricerca, corporea, sensoriale, musicale e spirituale che nulla risparmia nel lasciare una traccia di e del sé. C’est ça... Joelle Léandre...

Quartetto

Quartet Noir Lugano Victo (2005) Valutazione: 4,5 stelle

Tra le diverse formazioni a cui negli ultimi tempi ha preso parte la Léandre il Quartet Noir può essere considerata una delle più stabili, non tanto perché ha al suo attivo un precedente CD, Quartet Noir, ma perché i suoi membri [il sassofonista (tenore e soprano) Urs Leimgruber, la pianista Marilyn Crispell, il batterista Fritz Hauser, oltre alla Léandre] portano da tempo avanti stabili e durature collaborazioni. Questo comune back-ground di esperienze e scambi si riflette nella musica di Lugano, uscito per l’etichetta canadese Victo, che ripropone una registrazione live effettuata presso la Radio Svizzera-Rete Due, a Lugano, nell’29 ottobre 2004. Le tre parti di cui si compone presentano una lunga improvvisazione in quartetto tutt’altro che semplice. La prima parte, ampia, propone un caleidoscopio di colori musicali, intrecci, reciproche perdite di contatto con inevitabili derive, che danno vita ad un flusso sonoro di oltre mezz’ora di grande intrigo. Le ultime due parti - la seconda in più evidente continuità con la prima, la terza quasi rapsodica e decisamente frammentaria - danno corpo ad un’insieme che risulta al tempo stesso amalgamare e disgregare le varie voci.

Nelle cavità e nelle insenature lasciate libere da questa sorta di centrifuga di pieni e vuoti creata da membri del Quartetto, il contrabbasso della Léandre si inserisce con una fluidità a dir poco meravigliosa. Bellissimi gli effetti “goccia” che aprono in crescendo l’ultimo pezzo - a cui forse si ispirano le gocce di rugiada sulla foglia della cover? -, creati da pizzicati, staccati, sincopi realizzate da voci, piano, contrabbasso, percussioni e sassofoni. Finale tangibilmente noir, un po’ sospeso...

Trio

Il Trio di strumenti a corda è una formazione che veicola in genere esperienze poliedriche e versatili nel campo dell’improvvisazione. Grazie alla ricchezza di suoni, alla versatilità e alla flessibilità dei cordofoni, si possono infatti proporre approcci e combinazioni che aprono a campi di esplorazione davvero sconfinati. I lavori in Trio della Léandre incisi per Line nella serie “improvisers” dell’etichetta canadese Spool, sono rappresentativi in questo senso, anche se si tratta di due esperienze diverse tra loro. Tempted to Smile, con Fred Frith alla chitarra e Jonathan Segel alla chitarra e violino, è orientato verso sperimentazioni tipiche della scena down-town di cui i due sono importanti rappresentanti. No Day Rising, con Brett Larner al koto (classico, basso e preparato) e Kazuhisa Uchihashi alla chitarra elettrica e daxophone, è invece orientato verso sonorità vicine all’Oriente (e alla West Coast), tanto per gli strumenti (tradizionali) utilizzati che per il back-ground degli stessi musicisti.

Fred Frith - Jonathan Segel - Joelle Léandre Tempted to Smile Spool (2003) Valutazione: 3,5 stelle

Tempted to Smile snocciola undici pezzi di varia natura sonora che, non a caso, hanno ciascuno un proprio titolo. Chitarra, contrabbasso e violino offrono, infatti, brevi “sketch” che nel simpatico “La Valise” si trasformano in vero e proprio dialogo che coniuga, in forma surreale e ironica, voci e strumenti. Sul piano sonoro, ai tre canali sinistro, centrale e destro, sui quali sono rispettivamente posizionati la Frith, Léandre e Segel, fanno da contro altare tre diversi orientamenti nel modo di suonare una “comune cassa armonica in legno dotata di corde”. Il contrabbasso della Léandre sa tenere gravemente testa prima alla chitarra di Frith, sempre incline a situazioni (sonore) decisamente limite, poi al violino di Segel, incline a sfumature più armoniose ma molto penetranti. I suoni sono realizzati a tutto campo: dentro, sopra, sulla cassa, nelle corde, strusciate, fregate, tirate e quasi consumate dalle mani, con l’archetto che batte, frega, struscia, colpisce, graffia. In questi aspetti di tecnica talmente assorbita da essere abbandonata e ripresa come nuovo terreno di ricerca sui suoni, diventando quindi sperimentazione pura, Tempted to Smile mostra la sua vena creativa più spiccatamente di ricerca.

Brett Larner - Kazuhisa Uchihashi - Joelle Léandre No Day Rising Spool (2003) Valutazione: 4 stelle

La la situazione di No Day Rising descritta nelle note di copertina è differente da quella di Tempted to Smile: tre musicisti, stranieri, si trovano temporaneamente e contemporaneamente nello stesso luogo (Mills College, Oakland) e danno vita ad una lunga improvvisazione che vuole evocare in tutto e per tutto l’incontro fortuito. Ne esce un “set” di tredici pezzi brevi, presentati con ora e minuto del momento in cui sono stati registrati, un album di improvvisazioni quasi pop, per come è nato, è stato realizzato, è concepito. Qui la Léandre si muove rapida, destreggiandosi verso armonie a lei inconsuete, ma straordinariamente seducenti, tra passaggi in punta di polpastrello e parossistici sfregamenti con l’archetto. Dell’album è davvero degno di attenzione l’uso degli strumenti con una mescolanza, a tratti spiazzante, tra tradizione orientale e pura improvvisazione “verticale” occidentale, l’effetto dell’amplificazione applicata esclusivamente al koto con microfono a contatto [chissà cosa sarebbe venuto fuori se fosse stato applicato anche al contrabbasso] e, infine, un utilizzo al limite dell’onirico dei registri alti. Bellissimo il “5:31 a.m.” finale, dolce, che pare un romantico e lancinante addio... e lo è davvero.

Ramon Lopez Flowers Trio featuring Sophia Domancich & Joelle Leandre Flowers of Peace Leo Records (2005) Valutazione: 4 stelle

Per il suo ultimo lavoro inciso dalla Leo Records il batterista Ramon Lopez ha reclutato nel suo Trio due delle più famose signore del nuovo jazz in Francia, la pianista Sophia Domancich e la contrabbassista Joelle Léandre. L’incontro/concerto - registrato live a Radio France, nell’ambito del programma “A l’improviste - France Musiques”, il 23 maggio 2004 - costituisce Flowers of Peace, un lavoro che, pur rimanendo nel quadro dell’improvvisazione, risulta meno sperimentale di quanto non siano i precedenti (sia per Lopez che per la Léandre). Le sei tracce, composizioni istantanee, custodiscono freschissima l’impronta della Domancich e della Léandre, così incisive nel loro potente vibrare attraverso gli strumenti. La sensazione generale è che l’astrazione, così peculiare di molte registrazioni che coinvolgono la Léandre, qui sia sapientemente guidata e accompagnata da Lopez. Bellissimi risultano i giochi di legni tra le bacchette della batteria, i tasti del pianoforte e la cassa del contrabbasso. In “Aparajita” il passionale rincorrersi tra Lopez (alla tabla), la Léandre e la Domancich crea un effetto di grande spessore e energia. Diversi, ma ugualmente intriganti, i passaggi in cui affiora il metallo dei piatti della batteria, con i suoi rulli, strofinii, fruscii, che funge da contrappunto ai tocchi inconfondibili delle corde del piano pizzicate e alle aperture del contrabbasso.

Duo

Improvvisazione libera come intimo incontro tra due musicisti che possono avere percorsi molto diversi tra loro. Così potrebbero riassumersi i lavori in Duo della Léandre. All’azzardo dell’incontro, si sovrappone l’estemporaneità della condizione di registrazione. Fondamentali la strumentazione e la sensibilità messe in gioco. Il lirismo, costante di tutti gli incontri, diventa in alcuni casi tormentato in un gioco rischioso di reciproca scoperta. L’incontro nel Duo si muove anche attraverso i silenzi, i piano/pianissimo, la tensione palpabile, al contrario delle esperienze in Trio o Quartetto dove si impongono rapporti di forza e dinamiche relazionali. Ci si concentra sugli aspetti drammaturgici, sui gesti, sulle parole, sui suoni. Per fedeltà a questi, forse, i pezzi non hanno mai titoli, ma riprendono semplicemente quello dell’album e dell’incontro.

Joëlle Léandre - Akosh Szelevényi Gyor Reqords (2005) Valutazione: 4,5 stelle

Registrato live durante il Festival Mediawave in un’antica sinagoga di Gyor, in Ungheria, l’omonimo CD Gyor riluce dell’atmosfera riverberante in cui è stato inciso. La Léandre e il sassofonista ungherese Szelevényi Akosh (in questa registrazione con sassofoni tenore e soprano, clarinetto, tarogato, flauto) non hanno quella sorta di spavalderia tipica delle improvvisazioni, ma vivono tutto il sapore di un incontro che trova sulla lunga distanza la sua compiutezza e la sua essenza, sans fanfarronade. La performance è suddivisa in due parti piuttosto lunghe. La prima decolla lentamente con frequenti passaggi di strumento, sassofoni, clarinetto, tarogato, flauto, in cui Akosh sembra assecondare maggiormente le sfumature di ricerca della Léandre. L’inizio della seconda parte è decisamente più intenso, con un insolito oscillare tra assoli del contrabbasso e tarogato (strumento ad ancia semplice usato nella musica popolare ungherese). È ora la Léandre ad andare dietro il suo compagno, soprattutto nelle parti in cui utilizza lo strumento simbolo del movimento nazionale di liberazione contro l’impero asburgico. Una sorta di devozione per una causa che pian piano si fa comune, condivisa.

Gianni Lenoci - Joelle Léandre Sur une balançoire Ambiances Magnetiques (2005) Valutazione: 3,5 stelle

Diversissime le atmosfere di Sur une balançoire con la Léandre (contrabbasso e voce) e il pianista Gianni Lenoci (pianoforte e oggetti). Il titolo evoca una musica in sospensione, che si muove in quattordici tracce anonime come su un’altalena. Quattordici immagini scattate veloci, mosse, estemporanee, in bianco e nero. Il retroterra di Lenoci, pianista da sempre attento alla musica contemporanea, permea abbondantemente sonorità che ricordano a tratti un Morton Feldman, un Sylvano Bussotti e anche qualche rarefatta nota di Erik Satie. La potenza del suono della Léandre pare piegata. Coglie l’atmosfera rarefatta del piano, vi ci si avvicina, senza tuttavia mai sembrare completamente assorbita. È questo l’equilibrio instabile? È questo il vero (dis)equilibrio in Duo? È questo il gioco dei diversi in perenne rincorsa l’uno dell’altro?

India Cooke - Joelle Léandre Firedance Red Toucan (2005) Valutazione: 4,5 stelle

In Firedance torna tutto l’ascendente della Léandre in Duo, qui accompagnata dalla strepitosa violinista e compositrice americana India Cooke. Registrato l’11 settembre 2004, live, al Guelph Jazz Festival, e stampato dall’etichetta canadese Red Toucan, questo CD è una danza di sciamane e sciamanica. Un’incontro di improvvisazione, vero e puro, di what and who we were that day..., what we all were, con tanto di richiami, echi e risposte del pubblico, ma anche di allusioni sottese, movimenti sublimi. Dal punto di vista strumentale il Duo violino e contrabbasso può permettersi di esplorare una quantità infinita di spazi sonori e l’interesse di questo incontro consiste appunto nelle affinità e nella reciproca intesa tra i due strumenti e le due strumentiste. Risultano dunque degni di attenzione i passaggi affrontati quasi esclusivamente con l’archetto, con usi diversi e per alcuni versi del tutto divergenti, le aperture di pizzicato della Cooke che controbilanciano passaggi in cui la Léandre incalza greve e grave sulle corde nei registri di basso.

Le sette danze sono nel complesso molto liriche con una Léandre, corporea, energica, solida, che gioca la controfigura di una Cooke suadente, ma sempre sulla corda, a cucire la delicatissima trama sonora delle danze infuocate.

Histoire d’amour des cordes, comme un cri, condensa la Léandre, A challenging necessity of survaival in its purest form, replica la Cooke. La sostanza sono sette danze infuocate piene di un’energia follemente passionale. Stupende e indimenticabili, purissime e sciamaniche...

Lauren Newton - Joelle Léandre Face It! Leo (2005) Valutazione: 4 stelle

Face it! è un ritorno di fiamma tra la vocalist americana Lauren Newton e la Léandre, a dieci anni dal precedente 18 colors. Registrato live all’Europa Djazz Festival, il 28 aprile 2005, questa seconda incisione per la Leo Records mette di nuovo in luce il contrabbasso della Léandre e risulta essere, per alcuni versi, la migliore introduzione al Solo di Concerto Grosso. I nove “Face it!” sono brevi improvvisazioni a doppia voce e contrabbasso o a voce e contrabbasso e voce. Nove sound stories, nella definizione della Léandre, che sviluppano un discorso unico e forse anche molto personale. Si intrecciano tessiture, passaggi e suoni pieni di un’allegra e pungente energia, contagiosa, emessa a profusione da entrambe. Léandre e Newton si fronteggiano, dunque, sullo stesso piano, si guardano in faccia, si mettono costantemente l’una di fronte all’altra. Faccia a faccia: voce e contrabbasso e voce. L’energia circola fluida, dentro-fuori, strumento-voce, mano-voce. Le foto della cover ritraggono una Newton sempre vicina allo strumento della Léandre, che quasi l’abbraccia, che sembra cercare contatto durante la performance live. Fa parte dell’intensità di questo incontro...

Solo

Joelle Léandre Concerto Grosso: live at Gasthof Heidelberg Loppem Tonesetters/Jazz Halo (2005) Valutazione: 5 stelle

Concerto Grosso: Joelle Léandre, contrabbasso e voce. Registrato nel corso del “Locus Loppem” presso il centro d’arte Gasthof Heidelberg, a Loppem (Belgio), il 30 (CD 1) e il 29 gennaio 2005 (CD 2), questo lavoro è senza mezzi termini l’essenza della ricerca della Léandre degli ultimi anni. Vi si trovano compendiati tutti i filoni di ricerca che da anni la Léandre persegue, sia per quanto riguarda il suo strumento, sia per quanto riguarda l’indagine sulla voce. Quattordici tracce, indipendenti, ma che nel loro insieme costituiscono il classico “concerto grosso” che richiama, piuttosto esplicitamente, la forma tipica della musica barocca. Le quasi due ore di musica proposta sono tutta sostanza, sostanza densa, difficile, mai immediata, che penetra dritta al cuore, tale e quale è stata pensata, vissuta, suonata. Dal punto di vista musicale, c'è tutto quanto assimilato negli ultimi anni - dagli usi di di mani e archetto, agli interventi con la voce, all'approccio totale e totalizzante con il contrabbasso -, ma c'è tutto anche dal punto vista emotivo, emozionale e sentimentale - nel continuo porsi in ricerca sul e del sé, nel parlare d'amore, nell'osservare le sfumature più lievi e tenue della vita, in un'ironia che ha dell'irriverente, a volte, un pò ribelle in fondo.

Foto di Stefania Errore

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