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Calexico all'Alcatraz di Milano
Alcatraz
Milano
14.3.2018
Da un lato e l'altro del confine, per commuoversi ma soprattutto per fare festa. Poco importa che dal vivo non cambino mai troppo gli ingredienti fondamentali di una band che, insieme a un suono fieramente meticcio e di frontiera, negli anni ha ampliato, reinterpretato e attualizzato un intero immaginario. Trovando piste da seguire lungo antichi territori folk e nuovi compagni di viaggio, i Calexico arrivano con il loro tour italiano a Milano con il passo sicuro di chi incontra un pubblico di vecchi amici.
La formazione-collettivo di musicisti nato attorno al progetto originale di Joey Burns e John Convertino è tornato a sperimentare nuove deviazioni musicali con The Thread That Keeps Us, ultimo album figlio di un ulteriore giro di bussola della band di Tucson. Dal vivo scelgono di rimescolare ulteriormente le carte, unendo i punti che dal tex-mex arrivano al rock indipendente anni Novanta, e dalla popolare cumbia, con una capriola, riportano alle atmosfere di ferro e polvere dell'Ennio Morricone più western. Più di altre volte la scaletta del concerto di Milano è un gioco con le lancette dell'orologio. Perché se è il riff "Dead in the Water," estratto proprio dall'ultimo lavoro in studio, ad aprire le danze (un pezzo che avrebbe potuto scrivere Tom Waits con The Black Keys), dopo "Voices in the Field" e "Under the Wheels," sono le trombe mariachi di "Across the Wire" a rompere il ghiaccio: i Calexico montano in sella, e sono davvero tornati.
Amici vecchi e nuovi, si diceva, come Jairo Zavala (Depedro) a sottolineare le parentele più rock alla Telecaster, ma anche nuove presenze, come il vulcanico Camilo Lara, anima del progetto Mexican Institute of Sound, chiamato anche ad aprire la serata. Lara -in uno show nel quale come sempre sono cordofoni e fiati a trionfareinserisce microscopiche tracce d'elettronica, o fa esplodere la cumbia con inserti al limite del rap trasformandosi ben presto nella bandiera della gruppo.
È una pista densa di feste nelle quali è impossibile non ballare quella battuta dai Calexico, ma anche durante le danze più sfrenate i cieli si possono incupire, come accade con i due super classici "Black Heart" e "The News about William," fra i più applauditi della serata. Si incorniciano paesaggi mutevoli dall'Arizona alla California, dove è stato concepito quell'ultimo disco che vede fra i capitoli migliori anche una "Girl in the Forest" capace di sfiorare il più dolce songwriting di Jackson Browne.
I bis sono un crescendo: "Another Space" deborda nell'improvvisazione, "Sunken Waltz" ci riporta in Messico con fisarmoniche che si aprono larghe, a inseguire con la pedal steel un contrabbasso marziale, mentre una impensabile cover a pieni polmoni di "Bigmouth Strikes Again" (The Smiths) è il lancio verso la rumorosissima "Güero Canelo." È questo il gioioso (ed ebbro) degno finale di un concerto che ci racconta di come, attorno al confine, la musica sia tutt'altro che finita.
Foto: Luca Muchetti.
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