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Dan Kinzelman: flusso di coscienza

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AAJ: Un paio di anni orsono ce ne hai già parlato di quell'esperienza (clicca qui per leggere l'articolo), ma puoi riassumerci cosa succede nell'esperienza di musica e danza con Ninarello?

DK: Quando mi proposero quel progetto ero molto incuriosito ma anche un po' diffidente. Avevo visto molti esempi di improvvisazioni di danza e musica, ma non mi avevano mai convinto, né ero rimasto soddisfatto di alcune sperimentazioni del genere a cui avevo perfino preso parte. Spesso si tratta infatti di cose piuttosto casuali: vengono messi insieme musicisti che fanno musica di ricerca con danzatori che fanno danza di ricerca e si fanno semplicemente interagire, senza però fare un autentico lavoro di ricerca sull'interazione stessa. In questo caso, fortunatamente, le cose non sono andate così, perché a nessuno dei due interessava farlo in quel modo e forse Corrado Beldì ed Enrico Bettinello, che ci proposero il progetto mettendoci in contatto, avevano capito come eravamo fatti entrambi. Infatti decidemmo subito di fare un lavoro più approfondito.

AAJ: In che modo?

DK: Innanzitutto ancor prima di conoscerci a ciascuno furono mandati dei video dell'altro, in modo che reciprocamente capissimo cosa eravamo soliti fare. Io mi resi subito conto della mia scarsa conoscenza della danza, anzi, della sufficienza con cui l'avevo fin lì guardata. D'altronde, era anche un momento in cui sentivo fortemente l'esigenza di muovermi in un campo diverso da quello strettamente musicale, di allargare il mio mondo creativo, per cui l'approfondimento di questo campo mi stimolò moltissimo: cominciai ad andare ogni volta che potevo a vedere non solo la danza, ma anche il teatro, confrontandomi con Ninarello, con il quale mi ero messo in contatto per email. Quando poi la data fu fissata e confermata, iniziammo a scriverci per progettare cosa fare concretamente. Ci scambiammo email contenenti i concetti sui quali ciascuno era interessato a lavorare e in breve tempo ne individuammo alcuni che erano comuni: la resistenza alla fatica, il rischio, il concetto del rito collettivo. A quel punto era necessario sperimentare concretamente l'interazione fra di noi e iniziare a sviluppare il materiale che sarebbe diventato lo spettacolo. Nel mondo della danza si sviluppa il lavoro facendo delle residenze, per lavorare a lungo e intensamente al fine di costruire un progetto assieme, diversamente da come siamo abituati nella musica dove spesso c'è l'esigenza di preparare e mettere mettere insieme il materiale molto velocemente, talvolta anche a discapito della profondità e della vera ricerca. Ninarello è stato molto bravo a trovare delle residenze, la prima delle quali fu a Bassano, dove nel giro di una settimana mettemmo a punto il materiale di base. Nelle residenze successive abbiamo sviluppato una struttura ordinata che ci permetteva di improvvisare, sì (Daniele preferisce il termine "composizione istantanea," perché ha una logica più compositiva), ma con alle spalle un concetto che garantiva la coerenza, in modo da essere liberi ma camminando sempre assieme, facendo lo stesso percorso. Liberi, ma con dei limiti. Che poi è ciò che in generale rende stimolante l'improvvisazione: quando improvvisi lo fai perché hai dei limiti, perché avendo a disposizione qualsiasi possibilità non si riuscirebbe neppure a cominciare. In un certo senso, l'improvvisazione è la soluzione di problemi in tempo reale.

AAJ: Mi ricorda un'espressione dello scienziato Wolfgang Sachs, grande teorico dell'ecologia, il quale definisce positivamente il "limite" come la cornice di un quadro, ricordando che il grande pittore può esprimere le sue idee in modo artistico solo grazie alla limitazione postagli dalla cornice: senza alcun limite potrebbe solo replicare la realtà.

DK: Esatto, perché è il limite che impone delle scelte e sono queste a caratterizzare il tuo lavoro. Infatti, come dicevo in precedenza, l'aspetto poetico e la creatività sono più marcati nei musicisti che hanno dei limiti tecnici, o che se li pongono, ma che lavorando con una tavolozza più limitata sono obbligati a fare qualcosa di più. Ed è da questo che nasce la poesia.

AAJ: Per concludere, c'è qualcosa a cui stai pensando oltre a quello di cui hai parlato finora?

DK: Una cosa sì, anche se non so se e quando potrà andare in porto: anni fa facemmo un concerto in duo io e Fabrizio Puglisi. All'epoca c'era la volontà, ma mancarono le occasioni per portare avanti quel lavoro; poi la vita è andata avanti e non se n'è più fatto niente. Da poco ho riscoperto la registrazione di quella serata e sono rimasto entusiasta. Mi auguro di trovare qualche occasione per risuonare insieme, è un musicista che ammiro tantissimo e credo possa venire fuori qualcosa di molto interessante.

Foto: Stefano Galli

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