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Voglia di leggerezza: intervista a Roberto Cecchetto

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Riuscire a mettere in musica ciò che senti, ciò che sei in quel momento, per me ha rappresentato e rappresenta un modo di essere, di vivere.
Soft Wind è l'ennesimo bel disco di Roberto Cecchetto, chitarrista dalla straordinaria qualità espressiva e dalla cifra stilistica che non lascia mai indifferenti. Il suo è un approccio che di volta in volta muta nei modi e nei colori, ma che rimane sempre ancorato nella voglia di realizzare musica comunicativa e capace di emanare sensazioni e profumi inebrianti. Lo abbiamo intervistato per indagare la sua voglia di "vento leggero," condivisa con i fidati Giovanni Maier e Michele Rabbia, ai quali si è aggregato il pianista Giovanni Guidi.

All About Jazz Italia: La musica contenuta in Soft Wind sa di colonna sonora per un film eventuale...

Roberto Cecchetto: Sono d'accordo. Si adatterebbe bene a commentare un film, forse ancor di più un documentario, chi lo sa. Mi piace la musica che fa viaggiare, che riporta alla memoria sensazioni e immagini. Nella mia musica questa componente credo sia molto presente.

AAJ: Ti piacerebbe scrivere una colonna sonora? Per quale regista?

R.C.: Certo che mi piacerebbe. Adoro il cinema. Mi piacciono tanti registi, ma se devo dirtene uno dico Terry Gilliam, il suo approccio visionario mi ha sempre ispirato.

AAJ: Ci sono state delle immagini che hanno ispirato i temi di questo lavoro?

R.C.: Nessuna in particolare. È la musica stessa a suggerirmi immagini, ricordi e sensazioni. Quando trovo un elemento musicale che mi cattura emozionalmente provo a svilupparlo, questo è un approccio che mi capita di usare nel comporre i brani.

AAJ: Dove nasce la voglia di un approccio soft?

R.C.: Ne sentivo l'esigenza e mi sono accontentato. Non lo so, forse nasce dal desiderio di fermarsi un poco e lasciarsi andare; siamo sempre sotto pressione in un mondo che cambia a una velocità impressionante, tutti protesi in avanti così tanto che a volte si perde la relazione con il proprio presente. Ma in definitiva non saprei dirti, comunque la lentezza mi è sempre stata congeniale.

AAJ: Quali sono i meccanismi che hanno dato vita alle composizioni scritte insieme dal quartetto?

R.C.: Non ci sono meccanismi particolari, sono nate in maniera spontanea, con qualche mia semplice indicazione poco prima di registrare. Con collaboratori di questa leva fare musica è estremamente facile. L'inserimento nel trio di Giovanni Guidi è stato molto naturale. Con Giovanni Maier e Michele Rabbia c'è un sodalizio che va avanti da diverso tempo. Succede nel proprio cammino di musicista, come nella vita del resto, di trovare affinità musicali congeniali e in questo modo spesso ci si capisce senza la necessità di parlare, o comunque senza la necessità di dover dire tante cose.

AAJ: Nella tracklist si possono rintracciare diverse forme stilistiche. Qual è il tuo campo espressivo preferito?

R.C.: Un campo dove melodia, percorsi armonici e interazione estemporanea convivono sullo stesso piano cooperando per una visione d'insieme. Mi piacciono tante cose e ho sempre cercato di portarle avanti tutte insieme. L'estemporaneità nel jazz è la cosa che mi ha sempre attratto di più, è la cosa che mi dà le energie per andare avanti, ed è la cosa che mi ha fatto scegliere di intraprendere il cammino di musicista. Riuscire a mettere in musica ciò che senti, ciò che sei in quel momento, per me ha rappresentato e rappresenta un modo di essere, di vivere.

AAJ: In "Earthbeat" si avvertono degli echi sommersi di funky, mentre in "Thought of the Bees" emerge un chiaro spirito free, in altri brani sei in solo: quanto è stato difficile coniugare tutto in un unico idioma personale?

R.C.: Non so, semplicemente accade. Mi piacciono tante cose e cerco di coniugarle insieme. Se poi tutto ciò diventa un unico idioma personale di cui parli non spetta a me dirlo, nel senso non me ne preoccupo. Mi preoccupo di portare avanti un'idea musicale, una sonorità, un suono, un modo di fare musica, per lo meno ci provo [Ride, N.d.R.].

AAJ: Mi daresti degli aggettivi per i tuoi compagni di viaggio?

R.C.: Hai detto bene "compagni di viaggio," un viaggio breve, ma intenso che ha il suo decorso nei giorni della registrazione. E poi rimane la testimonianza, la musica registrata. Per quanto mi riguarda è un privilegio poterlo fare con persone come Giovanni Maier, Michele Rabbia e Giovanni Guidi, musicisti che stimo e che apprezzo per quanto danno alla musica. Giovanni Maier è un bassista solido e intenso, ci conosciamo fin dai tempi dell'Electric Five di Enrico Rava. Abbiamo suonato tanto insieme in giro per il mondo e da subito c'è stata un'intesa musicale unica che va avanti ancora adesso. Michele Rabbia è un percussionista e batterista con una sensibilità fuori dal comune, usa molto anche l'elettronica mediante l'uso del laptop ed è l'elemento perfetto che completa il trio. Giovanni Guidi è un pianista che ha una musicalità notevole, di venti anni più giovane, ma nella musica questo non ha importanza. Il nostro incontro musicale risale a qualche anno fa in un concerto in duo, l'intesa è perfetta, amiamo lo stesso modo di fare musica e mi piace il suo tocco pianistico diretto e sincero. E così il trio è diventato un quartetto.

AAJ: Quali sono i tuoi difetti messi maggiormente in evidenza dai colleghi durante le registrazioni?

R.C.: Dovresti chiederlo ai miei colleghi, ma posso dirti che l'espressione "difetti messi in evidenza dai colleghi" presuppone forse un approccio competitivo, mentre con i miei compagni di viaggio cerco sempre la comunione d'intenti. Spesso i difetti possono diventare una forza anziché una debolezza.

AAJ: Come ti relazioni con la componente elettronica?

R.C.: Come un musicista che usa gli strumenti elettronici per fare musica, cercando una via funzionale e nello stesso tempo agile. Mi è sempre piaciuta la sperimentazione sonora, l'elettronica come complemento del suono, quindi l'ambiente entro il quale il suono si muove, tutto ciò contribuisce a dare più carattere al suono stesso. Non ho formule particolari, semplicemente uso l'elettronica come complemento del suono, spesso i miei brani partono da una sonorità che fa scaturire una successione armonica o un frammento melodico.

AAJ: Quali sono gli aspetti prettamente tecnici che vorresti migliorare?

R.C.: Tutti [Ride, N.d.R.]. Non si finisce mai di migliorare gli aspetti della propria attività, ma più di ogni altra cosa adesso sto pensando alla chitarra. Mi piacerebbe riprendere la costanza nella pratica, che negli ultimi anni si è arenata spesso. Sono sempre alla ricerca di qualcosa nella musica, anche se mi muovo lentamente. Muoversi secondo il proprio ritmo, penso abbia a che fare con l'esprimere il proprio gusto, una visione propria della musica.

AAJ: Pensi di essere un musicista sottovalutato dalla critica?

R.C.: Non penso, negli ultimi cinque anni ho fatto diverse cose, tutte accolte con pareri favorevoli da parte della critica.

Foto di Riccardo Crimi (la prima), Giorgio Alto (la seconda), Roberto Cifarelli (la terza), Danilo Codazzi (l'ultima).


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