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Umbria Jazz 2013 – Epilogo
ByLa sera dell'11 luglio si sono succedute all'Arena e al Morlacchi due espressioni DOC, in the tradition, del jazz nero-americano: Wynton Marsalis con la Lincoln Center Orchestra e The Cookers, una piccola all star di un'epoca e di uno stile circoscritti.
Solo jazz pre-bebop con Marsalis: non un Bignami, un compendio del jazz tradizionale, ma piuttosto un'antologia di approcci stilistici autentici ed emblematici consegnatici dalla storia. La rivisitazione di brani di Ellington, Basie, John Lewis, Frank Foster ed altri si è basata non solo su arrangiamenti rigorosi e fluidi, ma anche su pronunce strumentali dei singoli (le enfasi, i fraseggi...) conformate sulla tradizione. Blues a dosi massicce, anche nelle interpretazioni vocali dei due ospiti: Gregory Porter, dalle modulazioni pastose e brunite, e la giovane Cecile McLorin Salvant, che ha saputo intelligentemente calarsi nel ruolo delle cantanti delle orchestre degli anni Trenta.
Ci si potrebbe domandare che senso abbia oggi questa fideistica riproposizione filologica del jazz classico, quale sia la sua giustificazione appunto jazzistica nel mondo di oggi. Discorso che ci porterebbe lontano; sta di fatto che le interpretazioni della Lincoln sono state godibilissime, infarcite di assoli strepitosi, a cominciare da quelli del leader con un uso magistrale della sordina a campana.
Un'altra espressione fondamentale e perdurante del jazz nero-americano, quella dell'hard bop, è stata riproposta nella sua versione più genuina nel concerto di The Cookers: Billy Harper e Donald Harrison ai sax, Eddie Henderson e David Weiss alle trombe, George Cables, Cecil McBee e Billy Hart. Ognuno di loro possiede una forte personalità e vanta una carriera lunga e variegata, me è indubbio che si sono formati nel periodo e sull'estetica dell'hard bop, del quale a Perugia sono stati interpreti veraci. Brani di ognuno di loro hanno visto arrangiamenti tutt'altro che banali, un compassato e consapevole interplay e sortite solistiche personali.
Assimilabile a quella dei Cookers, ma condita da una sensibilità più smaliziata e attuale, è stata la musica del quartetto di Branford Marsalis. Un insolito repertorio è transitato da un tema ritorto, quasi ornettiano, ad una sorta di parafrasi di "Tea for Two," ad un suadente, classicheggiante "Cheek to Cheek". Il sassofonista ha costruito per gradi i suoi assoli, passando da staccati spigolosi a filanti sequenze di note, senza rinunciare a inflessioni sornione, leggiadre, vagamente ironiche. La sezione ritmica, formata da Joey Calderazzo, Eric Revis e Justin Faulkner, ha prodotto un flusso torrenziale e ribollente, quasi fin troppo sostenuto, nei tempi veloci, situazioni più avvolgenti e insinuanti, con graduali crescendo nei tempi lenti. Tutto è risultato molto tonico, di un dinamismo costante, di un'esuberanza espressiva talvolta fin troppo facile e ridondante, caratterizzando un concerto che nel complesso può aver dato la sensazione di un'eccessiva uniformità.
Due proposte abbastanza analoghe si sono svolte in contemporanea dalla mezzanotte di venerdì 12: la gratuita DJ night in Piazza IV Novembre, sponsorizzata da Deezer (per quattro ore Ralf, affiancato da Leonardo Ramadori, Giovanni Guidi e Gianluca Petrella, si è rivolto a un muro di giovani urlanti che gremiva tutto il Corso Vannucci) e il Robert Glasper Experiment al Teatro Morlacchi, per l'occasione assalito anch'esso da un pubblico giovane che ha risposto con l'entusiasmo rituale degli appuntamenti rock.
Dopo alcuni dischi per la Blue Note, Glasper è approdato al successo in America con Black Radio, sempre per la storica etichetta: una musica attuale e ossessiva, prevalentemente sovreccitata, fortemente intrecciata con l'hip-hop. Il leader è apparso sufficientemente efficace, tracciando spesso linee parallele con entrambe le mani su due tastiere diverse. Adeguati i suoi partner: il granitico e metronomico batterista Mark Colonburg e il bassista Derrick Hodge, capace di sonorità gonfie e risonanti a fianco di fraseggi veloci, quasi chitarristici. Il cantante e sassofonista Casey Benjamin invece, di scarse doti naturali, è stato aiutato dalle deformazioni dell'elettronica tanto da sortire qualche effettaccio plateale. Non a caso è stato uno dei pochissimi gruppi che al Morlacchi hanno utilizzato il proprio tecnico del suono.
Poco prima, nella stessa serata si era esibito all'Arena Santa Giuliana il duo pianistico Chick Corea e Herbie Hancock. Dopo il tour e le incisioni del 1978, i due si sono incontrati solo tre volte: fra loro non ha avuto quindi modo di insinuarsi la routine. A Perugia, con concentrazione, motivazione e interplay istantaneo hanno saputo costruire un percorso immaginifico, si sono inoltrati in grovigli di impressionismi, espressionismi e sperimentalismi, anche citando autori del Novecento. Sono stati affrontati temi noti ("Maiden Voyage," "La Fiesta," "All Blues," "Watermelon Man"...), per lo più frammentati, deformati, occultati, accennati, ripresi prima di giungere ad una esposizione esplicita. Ne è risultata una prova di buon concertismo e di sofisticata improvvisazione.
Purtroppo bisogna rilevare che nei momenti più intimistici e a basso volume, il concerto è stato disturbato non poco (soprattutto nella mia posizione d'ascolto) da diversi fattori esterni: il via vai continuo del pubblico, cadenzato dal ticchettìo dei tacchi delle belle signore sul tavolato di legno, lo squillo di telefonini con conseguenti conversazioni, il vociare proveniente dal ristorante sul lato destro della platea... L'Arena Santa Giuliana, per lo meno come conformata e regolamentata ora, si è confermato un contesto inadatto ad ospitare proposte raffinate, quasi cameristiche, come quella dei due pianisti.
E la stessa considerazione vale per la serata successiva, quando sul palco dell'Arena ha suonato Stefano Bollani con l'Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretta da John Fiore (per altro sottoposta ad un'amplificazione equilibrata). D'accordo sul fatto che finché si utilizzerà questo spazio non si potrà fare a meno di invitare nomi in grado di riempirlo, ma almeno si eviti di presentare musiche che sono costituzionalmente incompatibili con un'atmosfera zeppa di rumori vaganti e imprevedibili e soprattutto con un pubblico eterogeneo, poco motivato musicalmente e alla ricerca solo di un colpo di mondanità.
Nonostante ciò si è assistito a un gran bel concerto; Bollani è stato irresistibile nelle improvvisazioni solitarie su temi di Bernstein e Gershwin e nell'interpretazione della "Rapsodia in Blue"; è stato impeccabile anche nel "Concerto in Sol maggiore" di Ravel, anche se meno convincente nei momenti più lenti e riflessivi, forse compromessi sia dal contesto ambientale che dall'amplificazione. Quest'ultima inoltre, in tutto l'arco del concerto, ha reso un po' impastata la sonorità dello strumento soprattutto nel suo registro basso. I bis finali hanno sancito il successo delle vulcaniche capacità interpretative e comunicative del pianista.
Fra i concerti organizzati dallo Young Jazz al Palazzo della Penna in questo secondo fine settimana, ha spiccato quello di Fairgrounds di Jeff Ballard in duo con Lionel Loueke. Nel loro set ampiamente improvvisato, fasi decantate e preparatorie si sono alternate e integrate ad altre toniche, a volte funkeggianti; una ricerca paziente è sfociata in soluzioni tematiche dai marcati connotati melodico-ritmici: fra gli original si sono inseriti gli insoliti "Gazzelloni" di Dolphy e "Waterfalls" di Paul McCarthy, evidenziando un'esemplare sintonia fra il batterista e il chitarrista.
La norvegese Mari Brunvoll ha invece elaborato la sua delicata voce, dalle lontane inflessioni folcloriche, tramite loop digitali. Il risultato del suo abile lavoro è stato piacevole e accessibile, ma non particolarmente innovativo e forte. Più originale e variegata, con oblique sequenze e risvolti ironici, è risultata la ricerca condotta dal duo Vincenzo Vasi - Valeria Sturba, attenti manovratori di theremin e vari altri ammennicoli elettronici, oltre che vocalist e suonatori di violino e basso elettrico.
Fra le tante iniziative collaterali è infine doveroso ricordare almeno l'edizione del volume illustrato "Posters - Umbria Jazz nei manifesti dei suoi festival," e l'esibizione dei gruppi finalisti del Conad Jazz Contest. Fra questi, senza pretendere di fare valutazioni di merito non avendo potuto ascoltarli tutti, segnalo soltanto i siciliani di Urban Fabula irrobustiti dalla bella voce di Daniela Spalletta, il quartetto dell'altrettanto talentosa cantante Camilla Battaglia, gli Off Lines, che hanno proposto un free spigoloso, ed i vincitori del primo premio, i Periscopes, che si sono esibiti la sera conclusiva del festival.
Foto di Andrea Rotili tranne Bollani (no credits).
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