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The Klezmatics

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Teatro del mare - Riccione - 26.1.2008 [per leggere la recensione del concerto di Firenze clicca qui]

Se c'è un nome riconosciuto su scala globale come alfiere e icona della riscoperta e del rinnovamento del patrimonio musicale yiddish, questo è sicuramente quello dei Klezmatics.

Dopo aver ripercorso in lungo e in largo e riaggiornato la musica klezmer, negli ultimi anni il gruppo si è dedicato a progetti diversi, anche se collegati al suo universo di riferimento: una puntata nel mondo del gospel insieme al cantante afro-americano/ebreo Joshua Nelson, da cui è scaturito l'album dal vivo Brother Moses Smothe the Water; ma soprattutto la messa in musica di un ciclo di testi inediti di Woody Guthrie, riscoperti dalla figlia Nora. Anche l'approccio dei Klezmatics all'icona del folk americano è comunque avvenuto a partire dalla loro personale prospettiva: anche se non è generalmente ricordato per questo, Guthrie aveva sposato la figlia dell'importante scrittrice yiddish americana Aliza Greenblatt, e questo lo spinse a scrivere numerosi e misconosciuti testi ispirati al mondo ebraico. Da questo lavoro sui testi di Guthrie sono scaturiti gli ultimi due CD dei Klezmatics.

Al momento, la band porta in tournéé spettacoli diversi, fra cui il loro tradizionale show klezmer che commemora il ventennale del gruppo, quello gospel insieme a Joshua Nelson e Kathryn Farmer e uno incentrato intorno al lavoro su Guthrie, insieme alla cantante Susan McKeown e al chitarrista Boo Reiners.

Quello di sabato sera a Riccione, all'interno della rassegna "Suoni migranti" e in occasione della giornata mondiale della memoria, era il concerto klezmer, basato sul loro repertorio classico degli anni '90, fino all'album Rise up! Shetyl Oyf!, del 2003, i cui brani hanno popolato soprattutto la prima parte della scaletta.

Che dire? Quello che si è ascoltato non è stata una sorpresa, la formula musicale dei Klezmatics è conosciuta e collaudata: tour de force con medley di classici della tradizione klezmer - a volte sbarazzini, a volte venati di malinconia, a volte trascinanti - lanciati sul treno in corsa di incalzanti tempi two-step, secondo l'insegnamento delle grandi orchestre del genere, come quella di Mickey Katz; brevi aperture all'improvvisazione e richiami alle sonorità del jazz contemporaneo; temi più intimisti e struggenti, dal sapore mediorientale e con sonorità più etniche. E poi la voce angelica e un po' androgina di Lorin Sklamberg, esile ma capace di raggiungere una grande profondità emotiva ed espressiva, soprattutto nelle atmosfere più accorate, liriche o spirituali.

Il canovaccio dunque si è ripetuto, ma non per questo ha suscitato un'impressione di stanchezza: nelle mani dei suoi inventori, quella che potrebbe ridursi a una formula di routine continua a palpitare di vita, a comunicare l'amore e la dedizione ad un universo culturale e musicale, a esprimere sentimenti palpitanti e autentici di gioia, tristezza e ispirazione spirituale. Non è semplicemente la ripetizione di uno schema, è la fedeltà al proprio modo di essere.

I momenti più ispirati e toccanti comunque sono stati soprattutto quelli più raccolti, intimisti e spirituali: ad esempio lo splendido “Yo Riboyn Olam”, canto devozionale in antico aramaico, e altri brani sullo stesso registro, in cui il lirismo della melodia, l'atmosfera mediorientale, il timbro degli strumenti etnici come i flauti e il cimbalon e l'intensità della voce si fondevano in pura poesia.

Pieni di pathos e commozione anche i brani in cui spiccavano le armonie vocali dei ritornelli cantati in coro da tutto il gruppo, come in “Hevl Iz Havolim” e nella solenne “Shnirele Perele”.

Un po' meno ispirate e più di routine sono invece parse le tipiche galoppate dei medley ballabili, ma il discorso non valeva quando a uscire dal cappello erano classici assoluti come “Man In a Hat”, “Alle Brider”, col suo ritornello che sembra fatto apposta per essere cantato in coro ai concerti, e soprattutto il travolgente “Sirba Matey Matey”, che ha dato vita a un bis entusiasmante, con la macchina ritmica del gruppo e il virtuosismo strumentale dei singoli a pieni giri, l'ideale per uscire dal concerto con la voglia di riascoltare al più presto quella musica.

Il gruppo ha offerto anche un breve saggio del suo nuovo corso con un paio di brani tratti dal ciclo su Guthrie: “Mermaid's Avenue”, un omaggio al quartiere multietnico di Coney Island dove il cantautore viveva, un mix di sapori country-folk e latini, e soprattutto la splendida e commovente ballata in stile folk-celtico “Gonna Get Through This World”, con l'ottima interpretazione vocale della violinista Lisa Gutkin.

In alcuni momenti, però, per qualche motivo la macchina è sembrata un po' inceppata: esitazioni esecutive in un pezzo pur meraviglioso come “Davenen”, imprecisioni strumentali e sfarinamenti nelle orchestrazioni di certi temi musicali, tanto più sorprendenti dal momento che non è certo questa la norma del gruppo; e poi le brevi e poche improvvisazioni che sono parse poco focalizzate. Stanchezza? Tensione per la dimensione live? (Può sembrare assurdo, ma anche dall'atteggiamento timido del clarinettista Matt Darriau nella prima parte del concerto, parrebbe proprio così). Ma si tratta di dettagli che non hanno inficiato la complessiva impressione positiva sul gruppo e il sentimento di soddisfazione per la musica ascoltata.

Foto di Michael Macioce


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