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Ornette Coleman: Sound Grammar

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Ornette Coleman: Sound Grammar
Di fronte a quello che in genere - forse troppo spesso - viene definito ‘evento discografico’ sarebbe sempre bene mantenere un certo distacco. Diffidare delle roboanti presentazioni, per non rischiare di appiattire il proprio ascolto su piani tracciati da altri per altri meno nobili scopi.

Perché di ‘evento discografico’ indubbiamente qui si tratta. Una nuova registrazione a dieci anni dalla precedente; una nuova formazione (la cui formula in realtà era già stata sperimentata sul finire degli anni ’60); nuove composizioni (terribilmente fedeli comunque a quella medesima idea che informava quelle vecchie)...

Difficile poi mantenere un distacco emotivo da questo disco di fronte alla caratura del personaggio, uno dei ‘padri’ come si dovrebbe dire perdendo quel distacco che invece ci interessa conservare; e tra i padri, quello che indubbiamente più si avvicina all’Adamo della creative music.

Un bel dissidio, insomma, che fortunatamente si scioglie di fronte alla qualità della musica.

Come reagiremmo se Sound Grammar non recasse la firma di Ornette Coleman, ma fosse l’opera di un illustre sconosciuto?

Ebbene, probabilmente, il giudizio già eccellente diverrebbe assolutamente superlativo.

Nessun timore quindi di cadere in facili entusiasmi: Sound Grammar è un disco per cui ci si può sprecare in complimenti, per cui ci si può rilassare e rallegrare.

E questo perché la nuova registrazione riprende il filo tutt’altro che infeltrito della poetica ornettiana, là dove si era smesso di tesserlo; perché la nuova formazione, rodata da un numero ormai cospicuo di esibizioni live, funziona alla perfezione, in particolar modo nell’occasione di questo concerto in Germania dello scorso anno; perché alcune delle nuove composizioni hanno un carattere talmente deciso da proporsi come nuovi classici e temi di studio; e, soprattutto, perché Ornette Coleman torna a far sentire la propria voce immutata per carisma e bellezza, e le proprie idee fedelmente trasfigurate se non in qualcosa di nuovo, in qualcosa che vale sicuramente la pena di definire ‘evento’.

È fondamentalmente nelle dinamiche potenzialità di questa formazione che dobbiamo ricercare i motivi di tanto giusto clamore.

L’oscura e contorta trama ammassata da Greg Cohen e Tony Falanga taglia nella struttura armolodica dei brani il piano primitivo attraverso il quale filtrano e divergono tutti gli interscambi e le permutazioni cui va soggetta la musica originata da Ornette.

Pur mantenendno ruoli timbricamente distinti tra precipitoso pizzicato e veemente archettato, i due bassiti condividono l’esigenza di costruire quel precipitato altamente viscoso ma sufficientemente versatile che funge da mobile sostegno e continuo sprone rigenerativo all’ispirato solismo di Ornette e alle precarie evoluzioni periodiche in cui si cimentano con fervore padre e figlio.

Preziosi sono i momenti in cui - senza apparente concertazione - i diversi piani dell’architettura armolodica cozzano mirabilmente fra loro dando origine a contrordini, controtempi, contrappunti e contrappassi che suonano incredibilmente salutari, scatenando immediatamente una riorganizzazione delle priorità e delle direzioni di marcia, tanto nel senso della rotta quanto in quella del conducente: Ornette dimostra contro la scienza politica che la democrazia totale può dare buoni frutti.

Chiunque voglia farsi un’idea di cosa diamine significhi questo bendetto ‘interplay’ con cui la stampa spesso si sporca la bocca, è Sound Grammar di Ornette Coleman che deve ascoltare.

La musica evolve costantemente, rigenerandosi da minime variazioni a livello cellulare innescate in qualsiasi punto dell’organigramma strutturale, in qualsiasi ordine della tradizionale compartimentazione musicale, in qualsiasi momento dell’esposizione del materiale. E secondo direttrici sempre nuove, sempre fresche.

Ritroviamo qui i caratteristici temi ornettiani sapidi e semplici - dolentemente intrisi di un blues rurale che si ammanta di riflessi ora latini ora d’ispirazione classicistica - smontati e rimontati per fornirsi reciprocamente nuovi appigli, tra stacchi bruschi e accidentate risalite, con una spiccata predilezione per coinvolgenti e calcolati stop and go, il tutto per originare un conturbante unisono (s)falsato tra le pieghe angolari dell’armolodia.

Un frammento melodico che scolora in schema ritmico, un pedale dell’archetto che muta il passo dell’esposizione tematica, lo sferragliare scorbutico dei piatti di Denardo - qui meno inquietante che in altre occasioni - che trascina un basso in una fitta e pacifica conversazione, lanciando l’altro a cozzare contro le spirali convulse in cui Ornette ama avvitare i propri brani.

Ornette, che sfodera al sassofono un voce certo più docile di un tempo ma sempre tremendamente umana, rapace nell’approfittare di ogni pretesto per piegare note, inflessioni e fraseggi in ‘qulcos’altro’; Ornette, che non rinuncia a spargere limature ferrose di tanto in tanto, imbracciando scompostamente il violino o imboccando con leggerezza la tromba, cavandone esplosioni di suono puro, suono primitivo, suono ispiratore; Ornette, che in brani come "Sleep Talking" elabora temi tripartiti che spiazzano non una ma ben tre volte nell’arco della loro tenera esposizione, illudendo l’ascoltatore con citazioni cameristiche, stordendolo con liquido lirismo bluesy e congedandolo con folkloriche fanfare; Ornette, che ama ancora scalare i registri ripetendo a toni sempre più alti il medesimo grumo di note, o ripiombare improvvisamente in basso dalle note tenute ostinatamente e vertiginosamente per aria. Ornette, Ornette e ancora Ornette.

Ormai non c’è più decoro, ogni illusione di distacco è abbandonata. Ormai non si può che abbandonarsi alla più volgare e passionale adorazione.

Quanto ad un ennesimo tentativo di chiarificazione delle fumose concezioni armolodiche, ci si perdoni l’ardire ma non appare rilevante.

L’imprendibilità delle teorie musicali di Ornette sono da sempre tratto distintivo quanto e forse più della voce del suo contralto. Perché cercare di forzarne il Mistero?

Tanto più che oggi il compositore rimescola nuovamente le carte con la nuova formula della Sound Grammar, dietro cui si cela un titolo programmatico, il nome della nuova etichetta, nonché la nuova semantica della sua concezione musicale.

Una formula quanto meno buffa, se è vero che non più di una manciata di anni fa lo stesso Ornette ha avuto modo di dichiarare che ‘il suono non conosce grammatica’...

A coloro che volessero approfondire la portata concettuale della rivoluzione avviata da Ornette Coleman sul finire degli anni ’50, si può offrire un unico consiglio: andare dritti alla musica e lasciar perdere le parole.

Nella musica ciascuno potrà trovare la propria risposta aromolidica e la propria grammatica.

Track Listing

Intro; Jordan; Sleep Talking; Turnaround; Matador; Waiting for You; Call to Duty; Once Only; Song X.

Personnel

Ornette Coleman
saxophone, alto

Ornette Coleman: alto saxophone, violin, trumpet; Denardo Coleman: drums; Gregory Cohen: bass; Tony Falanga: bass

Album information

Title: Sound Grammar | Year Released: 2006 | Record Label: Sound Grammar


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