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Rokia Traorè

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Milano, Rolling Stone, 12.06.2008

La musica di Rokia Traorè getta le sue radici nell'Africa, più specificamente nel Mali, ma si discosta molto da quella dei suoi conterranei più legati alla tradizione (stiamo pensando ad esempio a Salif Keita o a Oumou Sangare). Del resto, e bene ha fatto la cantante a ricordarlo nel corso del concerto, l'Africa di oggi è il risultato di due culture. Quella autoctona, millenaria, e quella, più recente e controversa, portata dalla colonizzazione. Inutile dunque fingere che la colonizzazione non sia mai esistita, restare ancorati a schemi consolidati e forse anche superati dal tempo. Meglio prendere il meglio da entrambe queste fonti, per sviluppare qualcosa di nuovo e sincero.

In questo concerto milanese la Traorè ha presentato brani prevalentemente tratti dal suo ultimo album, Tchamantché (Equilibrio). Un titolo che ci sembra quasi il manifesto programmatico di una musica sempre in equilibrio tra mille influenze. Il blues ed il jazz, presenti con una bella versione di “The Man I Love”, brano che parte in modo forse troppo vicino all'originale di Billie Holiday - penalizzando quindi la Traorè - ma che si sviluppa poi su calde linee blues. Il folk, con un'apertura di concerto che vede la cantante salire sul palco con la chitarra acustica per poi imbracciare, nei brani successivi, anche quella Gretsch su cui tanti commentatori si sono entusiasmati, e che rievoca miti dei decenni passati. Il rock, di cui è profondamente intrisa tutta la sua musica. E naturalmente l'Africa, rintracciabile non solo nella lingua utilizzata per i testi (il Bambara), ma anche nell'utilizzo di qualche strumento tradizionale, nelle tecniche vocali, negli elementi di danza sempre presenti, e soprattutto nella varietà delle componenti ritmiche. Frequenti infatti i passaggi da scansioni binarie a ternarie, o l'utilizzo di figure “anomale” (quanto meno per il rock) come il 7+5 nelle frasi di dodici battute.

Musica che ha messo voglia di danzare al pubblico presente in sala (circa duecento persone), ma che non rinuncia ad essere portatrice di contenuti, sia musicali che politici. Un concerto orecchiabile, elegante ed intelligente, se così si può dire. E se il bis è stato di grana grossa, quasi una contraddizione di quanto proposto fino a quel momento, pazienza! L'intento di chiudere il concerto “con il botto” ha portato i musicisti a strafare, ma il pubblico ha gradito. E dunque, bene così.


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