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Ravi Coltrane Trio
ByTeatro President - Piacenza - 14.03.2010
Nel mondo dello spettacolo in generale e del jazz in particolare si verificano talvolta strani fenomeni attraverso i quali le defezioni improvvise (di un attore, di uno strumento, di un musicista) oltre a creare un naturale scompiglio tra gli organizzatori, indirizzano la performance verso territori inaspettati, riservando piacevoli sorprese agli spettatori.
Il Piacenza Jazz Fest 2010 sembra diventato suo malgrado il luogo prediletto di questi scherzi del destino. Nel precedente concerto dell'Ake Takase Quintet l'assenza del trombonista Nils Wogram aveva tolto il progetto Fats Waller da una seppur fantasiosa reinterpretazione per proiettarlo verso una musica assolutamente libera, creativa, a tratti selvaggia.
La defezione di Louis Perdomo ha fatto mancare invece al rodato quartetto di Ravi Coltrane le rassicuranti trame armoniche del pianoforte e indirizzato la musica verso una dimensione di maggior rischio e imprevedibilità. Coltrane avrebbe potuto fare una scelta più comoda e accattivante nei confronti della platea, optando per una manciata di song immortali, qualche pop-cover di moda, abbondante uso di ritmiche funky, frasi riconoscibili, magari l'ausilio di un pizzico di elettronica. E invece niente di tutto ciò perché Coltrane ha regalato al pubblico strabocchevole del Teatro President un concerto d'altri tempi, duro, torrenziale, primitivo, sincero senza risparmio e senza trucchi.
Iniziata in solitudine, l'esibizione del sassofonista statunitense è stata un crescendo unico per intensità, scioltezza, inventiva e capacità di affrancarsi da modelli obbligati per discendenza o per formazione, perennemente in bilico tra un neo bop evoluto e le scorribande del free. Certo, quando ha accennato le prime battute di "Satellite" o della seminale "Giant Steps" più di un brivido ha attraversato la platea, ma Ravi è stato bravo a non addentrarsi nei territori battuti dall'augusto genitore, mettendo in mostra una forte personalità, una voce originale ed una visione artistica decisamente calata nell'attualità.
Il tutto reso ancor più convincente dall'apporto di due straordinari compagni di viaggio. E.J. Strickland è un moto perpetuo inesauribile, nella miglior tradizione dei batteristi di colore. L'elemento percussivo è predominante, ma non mancano momenti di leggerezza favoriti da un uso inconsueto delle spazzole, particolarmente indicate per valorizzare il timbro del sax tenore. Drew Gress non ha bisogno di presentazioni essendo da anni punto di riferimento obbligato e imprescindibile della musica improvvisata della Grande Mela. Pochi contrabbassisti riescono a far cantare lo strumento con tale fluidità e rotondità di suono, fornendo al contempo un sostegno stimolante al solista di turno, creando attraverso armonizzazioni ardite e raffinate trame di bellezza purissima. Una vera meraviglia, ed elemento chiave nella riuscita di un concerto inaspettato e sorprendente.
Foto di Danilo Codazzi
Ulteriori immagini di questo concerto sono disponibili nella galleria immagini.
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