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Mirko Signorile

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Il mio approccio alla musica è emozionale. La cosa che mi convince quando scrivo un brano è l'emozione che mi suscita. Lo devo sentire nelle viscere e non deve stancarmi suonarlo ripetutamente.
Dalla fine degli anni Novanta ad oggi Mirko Signorile ha seguito un unico e fondamentale criterio artistico, appagare la propria curiosità. Il pianista barese, classe 1974, nel corso di oltre un decennio ha saputo attingere stimoli e suggestioni da vari paesaggi musicali. Il suo approccio appare quello di un vero viaggiatore che, toccando territori apparentemente lontani, fa però sempre ritorno nella sua terra portandosi dietro non inutili e ingombranti souvenir più o meno esotici ma suggestioni musicali, sapori sonori, immagini impressionistiche che, soprattutto nell'ultimo disco a suo nome, Magnolia, acquistano dignità espressiva fino a condensarsi in quadri dalla prospettiva cangiante e dall'estetica non necessariamente jazzistica.

Per il suo ultimo disco non si sbaglierebbe a riconoscere nella delicatezza essenziale dei temi scritti da Signorile alcuni tratti riconducibili a certa nobile scuola musicale francese a cavallo tra '800 e '900. Ogni brano sembra possedere una sceneggiatura, un'inquadratura, una narrazione che dall'intima solitudine del compositore arriva ferma e definita quasi agli occhi dell'ascoltatore (si veda il video di "Come burattini").

Il suo percorso parte da studi classici, passa per momentanei trasporti verso la moda del soul jazz di Nicola Conte, immersioni nel jazz di stampo colemaniano (Steve) e in generale della scuola newyorkese, coinvolgimenti nella rilettura della musica yiddish, collaborazioni con importanti jazzisti del panorama italiano e internazionale (Enrico Rava, Robeto Ottaviano, Paolo Fresu, Franco Ambrosetti, Nicola Stilo, Gianluca Petrella, Fabrizio Bosso, Rosario Giuliani, Dave Liebaman, Greg Osby, Dave Binney, Roberto Dani e Giovanni Maier e oltre), ricerche sonore per documentari e cortometraggi (sue sono le musiche di "La barca" e de "Il passaggio della linea" entrambi di Pietro Marcello) e impegni musicali importanti come membro degli Urban Society di Gaetano Partipilo.

All About Jazz: Quanta musica classica c'è nel jazz che suoni?

Mirko Signorile: Alcuni miei brani come "Il giro della testa" o "Come burattini" richiamano le sonorità che Nino Rota ha pensato per i film di Fellini. In particolare, nel mio nuovo CD Magnolia ho usato il violoncello per dare più corpo ai temi e per sostenere le improvvisazioni con note lunghe. C'è anche un aspetto legato al comporre che mi avvicina di più ad un compositore classico. Intendo dire che alcune composizioni sono interamente scritte e non prevedono parti di improvvisazione e quindi jazzistiche.

AAJ: Il tuo inizio musicale coincide con lo studio della musica classica. Cosa ti ha spinto ad intraprendere la strada del jazz?

M.S.: La musica classica è diventata una cosa seria intorno ai 20 anni. Negli anni precedenti pur studiando classica, ero attratto da altri generi musicali. Il momento "fatidico" è arrivato a 14 anni quando il mio insegnante di solfeggio mi regalò una musicassetta con alcuni brani del Pat Metheny Group. È stata una folgorazione. Non credevo potesse esistere una musica così bella. Ho voluto con il tempo conoscerla sempre più e indagarla sul pianoforte trascrivendo gli assoli di Lyle Mays.

Amavo e amo ancora l'idea di inventare ogni volta cose diverse attraverso l'improvvisazione. Mi fa sentire libero e mi avvince.

AAJ: A quale corrente del jazz contemporaneo ti senti più vicino?

M.S.: La mia musica è fortemente caratterizzata per la liricità dei temi e per l'uso di armonie poco alterate, con una predilezioni per le triadi. È una musica evocativa, direi cinematografica. Credo abbia dei punti di contatto con diverse correnti. Ho sentito musicisti nordici ma anche musicisti dell'avanguardia newyorkese molto affini alla mia musica. Evidentemente c'è un particolare "respiro" che accumuna diversi artisti con risultati sonori diversi.

AAJ: Quali sono state le figure artistiche e musicali che maggiormente ti hanno influenzato? In che modo?

M.S.: Ce ne sono tante ed ognuna in modo e per motivi diversi. Sono una persona curiosa e questo mi ha permesso di sentire e attingere a figure artistiche differenti e di diversi generi musicali. Ancora oggi vado alla ricerca di musicisti che non conosco o che conosco poco, per scoprire nuove idee. Mi piace frequentare persone e chiedere loro di farmi ascoltare ciò che a loro piace. Un buon metodo per conoscere musica che magari difficilmente conoscerei. Alcuni artisti li ho amati per la loro tecnica e per il loro suono, come Miles Davis o Bill Evans, altri per lo spirito d'avventura, penso a Keith Jarrett. Se leggo nel mio cuore, scopro tanti musicisti che hanno lasciato il segno.

AAJ: Quanto l'uso del pianoforte, anziché un altro strumento, è determinante nella composizione?

M.S.: Tutto ciò che compongo, lo compongo al pianoforte. Questo è lo strumento che amo e che conosco. È al pianoforte che libero la mia immaginazione.

AAJ: Cosa significa per te improvvisare?

M.S.: Improvvisare è tirare il fiato e lasciarsi andare. Volare con l'immaginazione, con i desideri. Creare qualcosa che è lì in quel momento e che scopro in quel momento. È libertà.

AAJ: Dal punto di vista estetico cosa ti prefiggi di raggiungere ogni volta che lavori ad un nuovo progetto? Puoi descrivere i dischi a tuo nome (da In full life a Magnolia) con un concetto?

M.S.: Mi prefiggo di ritrovare nella musica l'idea che mi ha suggerito la mia immaginazione. Alcune volte questa idea può nascere da un pensiero, o da una riflessione, o magari da un libro o un quadro. Spesso da uno stato d'animo che sto vivendo e che voglio fermare attraverso le note.

In full life è stato il mio primo disco. Ho voluto rappresentare il caos e la velocità di informazioni alla quale siamo sottoposti nella società contemporanea. Ma c'è già un primo elemento di nostalgia e di semplicità nascosta tra vertigini musicali.

The Magic Circle nasce in un periodo difficile della mia vita ma al contempo molto importante. Segna l'inizio della mia ricerca volta alla liricità. Il cerchio magico è la condivisione che ho vissuto con Giorgio Vendola e Vincenzo Bardaro.

Clessidra è il primo disco in cui ho dedicato totale importanza all'arrangiamento e alla composizione. Un disco al quale ho lavorato a lungo, limandolo giorno dopo giorno e nel quale ho inserito elementi musicali di facile fruizione e più trasversali.

Magnolia è solarità e speranza. È il naturale evolversi di Clessidra, ma con più luce e elementi giocosi. Ho voluto intitolare così il mio nuovo disco per esprimere il bisogno di meravigliarsi di fronte alle cose più semplici della vita alle quali spesso diamo poca importanza.

AAJ: Ascoltando la tua produzione dal primo tuo disco all'ultimo emergono almeno tre forze centripete: il lirismo asciutto ed essenziale della melodia; la spinta verso la disgregazione controllata della forma; il rientro negli schemi. Come sintetizzeresti, in relazione a quei paradigmi espressivi, il tuo approccio alla musica?

M.S.: Il mio approccio alla musica è emozionale. La cosa che mi convince quando scrivo un brano è l'emozione che mi suscita. Lo devo sentire nelle viscere e non deve stancarmi suonarlo ripetutamente. Fin quando tutto questo esiste, allora esiste il bisogno di suonare quel brano, arrangiarlo, registrarlo. Da diversi anni sono attratto dalle melodie e dalla possibilità di reiterarle. Mi piace che ad ogni esposizione del tema ci sia qualche elemento di novità e che nell'intera durata del brano ci siano sempre elementi che tengono alta l'attenzione del mio orecchio musicale.

AAJ: Quando scrivi qualcosa hai già un'idea di come suonerà e con quale musicista?

M.S.: L'idea è quasi sempre chiara nella mia mente già dall'inizio quando compongo il brano al pianoforte. Ne sento la pulsazione ritmica, le fasi di arrangiamento, la linea del contrabbasso. Ma i musicisti con i quali suono sono indispensabili non solo a realizzare quell'idea ma anche ad ampliarla. È questo il motivo per il quale suono con musicisti che stimo soprattutto per la loro creatività oltre che per l'abilità tecnica.

AAJ: Come arrangi i tuoi brani?

M.S.: L'arrangiamento è un'arte complessa. Certe volte semplificare un arrangiamento è di per sé la cosa più difficile che si possa fare. Io non ho una predilizione verso una tecnica piuttosto che un'altra. L'arrangiamento è in stretto rapporto con il brano composto e a seconda di quest'ultimo faccio delle scelte. Spesso quando lavoro con gli altri musicisti ad un arrangiamento, il primo risultato è denso. Poi in seconda battuta lo semplifico. Oppure a volte succede il contrario.

AAJ: Nel tuo ultimo disco grande spazio è dato alla scrittura, alla melodia, alla liricità dei temi, che effettivamente sembrano evocare immagini di quadri impressionisti. L'album è un concentrato di suggestioni e se non fosse per alcuni richiami ai paradigmi del jazz somiglierebbe ad altro. Se fossi tu a dover sistemare in un negozio di CD il tuo disco in quale settore lo metteresti?

M.S.: Per me basta che nel negozio cia sia.

AAJ: Cosa sta girando attualmente nel tuo lettore CD?

M.S.: In questo periodo, oltre ad ascoltare alcuni provini di nuovi lavori a cui sto mettendo mano da qualche tempo, sto ascoltando un bellissimo disco di Peter Gabriel Scratch My Back. L'orchestrazione è meravigliosa

AAJ: Tu hai usato l'elettronica. Pensi che possa aprire una nuova via al jazz contemporaneo?

M.S.: Credo che l'elettronica sia come un nuovo strumento musicale. Nella mia musica interviene per lo più come effettistica su strumenti acustici. Soprattutto delay, reverse, phaser. Ma ho sempre più voglia di usarla in maniera autonoma, con suoni tutti suoi, digitali ed analogici. Mi piace molto l'incontro tra il suono tradizionale ed il suono contemporaneo. Rende la musica molto intrigante. Per quanto riguarda la possibilità di aprire nuove vie, l'elettronica e l'acustico ormai hanno offerto diversi esempi di magica convivenza e suggeriscono nuovi scenari musicali.

AAJ: Hai spesso suonato all'estero. Come vedi la situazione italiana rispetto ad altre realtà?

M.S.: L'Italia è ricca di talenti musicali. Musicisti creativi e pieni di idee. A differenza di alcuni paesi, per quello che ho potuto vedere, l'Italia tende molto di più a supportare i musicisti stranieri più che quelli italiani. È per esempio evidente la differenza della presenza nei cartelloni nei festival degli italiani nei cartelloni italiani rispetto ai francesi nei cartelloni francesi. Non vorrei sembrare provinciale, ma alcune volte devo correre il rischio di sembrarlo, soprattutto quando sento della musica bellissima in Italia.

Foto di Michele Cecere (la prima), Roberto Cifarelli (la seconda), FREM (la terza), Sergio Lella (la quarta) e Tamara Casula (la quinta).


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