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Lana Meets Jazz – Seconda Edizione
BySi dice che il pubblico del jazz sia fatto in prevalenza di teste bianche. Una metafora per indicare come il jazz fatichi a coinvolgere le nuove generazioni. Elemento caratterizzante del Lana Meets Jazz è invece la nutrita presenza di bambini e adolescenti. Sono gli allievi delle locali scuole di musica, che all'interno del festival trovano uno spazio per esibirsi, incontrare musicisti di grande caratura, assistere ai loro concerti, e magari condividere con loro il palco per qualche minuto.
Il tutto, sia chiaro, mantenendo un'assoluta integrità musicale. Il sorrisino di accondiscendenza, lo sguardo di sufficienza, non sono di casa da queste parti. Ovviamente le abilità strumentali dei singoli sono funzione dell'età e del talento ma - e in questo si avverte la matrice culturale di estrazione germanica, che da sempre attribuisce grande valore alla musica d'insieme - il contributo di ciascuno degli allievi alla riuscita complessiva di quanto suonato risulta sempre impeccabilmente esatto. Non a caso, tutti i musicisti intervenuti al festival hanno speso nei confronti di questi ragazzi e dei loro insegnanti parole di elogio sincere e permeate di autentica emozione.
Per quanto riguarda i concerti maggiori, registriamo con piacere il balzo in avanti compiuto dal festival. Rispetto all'edizione precedente, la prima e in qualche modo di prova, quest'anno sono stati proposti artisti di maggior caratura e di indubbio richiamo. La risposta del pubblico, favorita anche dalla gratuità dei concerti, è andata ben oltre ogni più rosea aspettativa.
Venendo agli aspetti squisitamente musicali, il prologo del festival è stato affidato al duo austriaco Aia & Toni Eberle (voce e chitarra). Entrambi ci sono sembrati molto dotati sia dal punto tecnico che espressivo ma, forse influenzati dal luogo in cui si è tenuto il concerto (un hotel), hanno proposto un chitarra-bar dal repertorio fin troppo rassicurante, che non ha permesso di apprezzarne compiutamente le qualità.
Per nulla rassicurante, invece, il solo di Gianluca Petrella. Muovendosi tra Sun Ra e "Over the Rainbow," tra lo swing più delicato e la ricerca timbrica più punk, il trombonista pugliese ha dato vita ad un'ora di musica fitta, ricca di invenzioni, emozione, divertimento. Vulcanico, energico, creativo, delicato, espressivo ... Questi gli aggettivi che abbiamo captato tra il pubblico al termine di un concerto memorabile.
Più strutturato, ma altrettanto intenso, il concerto di Peo Alfonsi e Gabriele Mirabassi, che hanno proposto in chiave cameristica un repertorio oscillante tra il colto e il popolare, tra il Brasile ed il Mediterraneo, con forti venature di jazz. Chiave del duo è l'equilibrio tra la pacatezza del chitarrista e l'irruenza del clarinettista, che si complementano a vicenda mostrando un ottimo livello di affiatamento e complicità.
A fasi alterne il concerto del trio Franco Ambrosetti-Uri Caine-Furio di Castri. Sulla carta era l'appuntamento più interessante. Per l'intrigante repertorio (da Bach a Miles), e per il confronto di stili che i nomi in gioco lasciavano presagire. Come noto, tuttavia, nel jazz la qualità di un concerto è diretta conseguenza dell'ispirazione del momento, e in questa serata il trombettista non ci è sembrato particolarmente in forma. Uri Caine e Furio di Castri hanno comunque spalle molto robuste, la voce strumentale di Ambrosetti resta in ogni caso splendida, le melodie proposte erano di incantevole bellezza.
Foto di Martin Geier.
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