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Intervista a Onofrio Paciulli
ByIl bello del piano solo è la piena libertà di espressione. Sei tu e il pianoforte. Basta. Puoi lasciarti andare completamente inseguendo un'idea, è pura creatività.
All About Jazz Italia: Raccontaci come è andato il primo incontro con il pianoforte e con il jazz.
Onofrio Paciulli: Credo che non ci sia mai stato un primo vero e proprio incontro con il pianoforte. La musica e gli strumenti musicali sono sempre stati presenti nella mia vita. Mia madre ha sei fratelli musicisti, puoi immaginare come sia stato naturale per me avvicinarmi alla musica e ai vari strumenti. Devo dire che col pianoforte non è stato un amore a prima vista. Ero affascinato un po' da quasi tutti gli strumenti che vedevo suonare dai miei zii. All'età di dieci anni, giocando, ho provato a suonare la batteria, la chitarra, il basso. Quest'ultimo anche piuttosto bene, tanto che ho continuato a suonarlo fino a qualche tempo fa. Naturalmente, alla lunga, il pianoforte ha vinto su tutti gli altri, proprio come accade con il vero amore, mi ci sono affezionato pian piano, sperimentandolo, mi ci sono spaccato la schiena per più di dieci lunghi anni, in Conservatorio, ed è diventato parte integrante di me, delle mie mani, della mia anima. L'incontro con il jazz, invece, è stato più immediato. Ricordo che più o meno all'età di quattordici anni, mentre i miei compagni rubavano il tempo allo studio per una partitella veloce in cortile, io piuttosto rubavo il tempo alla partitella per rinchiudermi in camera ad ascoltare i dischi jazz di mio zio.
AAJ: Hai un punto di riferimento nell'emisfero pianistico? Uno solo, please.
O.P.: È difficile darne solo uno. Nel mio percorso artistico ne ho avuti diversi. Potrei attingere dall'emisfero classico, pianisti come Bach, Chopin, Debussy, Liszt, o da quello puramente jazzistico, personaggi come Tatum, Powell, Monk, Bill Evans, Keith Jarrett. Purtroppo però mi chiedi un solo nome e, in questo momento della mia vita, un punto di riferimento è rappresentato dal pianismo e dalla musica di Franco D'Andrea che, tra l'altro, ho avuto l'onore di conoscere molto bene frequentando per qualche anno le sue lezioni in una scuola milanese.
AAJ: Quando un'etichetta come la Philology punta su un giovane è perché lo ritiene un futuro protagonista. Come hai conquistato la stima di Paolo Piangiarelli?
O.P.: Questa è una storia complessa... Terminato il lavoro in studio, come sempre accade, inviai una copia della registrazione ad una serie di case discografiche. Speravo in cuor mio che una label importante, così com'è la Philology, mi rispondesse positivamente. Diversamente da quello che si può immaginare, la prima sensazione che percepii da parte di Piangiarelli non fu del tutto positiva. La prima copia della registrazione, infatti, non aveva i due standard in piano solo, come nella versione definitiva, ma solo sei brani di mia composizione, più uno "We'll be Together Again". Paolo Piangiarelli, dopo aver ascoltato la registrazione, mi rispose che le prime sensazioni erano sì positive, anche se la presenza di quel bel "We'll be Together Again" gli faceva rimpiangere il fatto che non era stato inserito nel disco qualche altro standard. Colsi in queste parole un riscontro negativo e mi sembrò quasi che la nostra collaborazione non potesse mai iniziare, sebbene, devo ammettere, lui si ripromise comunque di riascoltare il mio disco. Così fece. Lo riascoltò, mi confermò le sue impressioni decisamente favorevoli e cominciò a darmi alcuni preziosi consigli, fra i quali di registrare altri brani standard, magari in piano solo. Lo feci e proprio allora capii che probabilmente la Philology era effettivamente interessata a me e alla mia musica.
AAJ: Come hai scelto questi due standard? C'è già in cantiere un progetto in solitudine?
O.P.: I due che ho scelto ("Body and Soul" e "Caravan") sono brani a cui sono veramente molto legato. Mi ritrovo a suonarli da parecchio tempo, condizione imprescindibile per potersi esprimere al meglio, in più sono due brani dove tema e accordi sono impregnati di idee molto interessanti da sviluppare. Per quanto concerne il progetto in solitudine, lo ammetto, è già in cantiere da un po' di tempo! Devo solo, come mi piace dire, "maturarlo".
AAJ: Quali emozioni ti regala la prova in solo?
O.P.: Ecco una domanda a cui è difficile rispondere. Il bello del piano solo è la piena libertà di espressione. Sei tu e il pianoforte. Basta. Puoi lasciarti andare completamente inseguendo un'idea, è pura creatività. Ti può capitare addirittura di stupire te stesso, di meravigliarti davanti alla musica che si sta creando. In piano solo vengono fuori sonorità modali e tonali, a cui puoi attribuire il timbro che ritieni più adatto, ritmi diversi, temi e armonie consuete e non, come un regista che sceglie ruoli e attori, tu selezioni idee per esprimere una musica.
AAJ: In che modo ti relazioni con la composizione? Come sono nati i brani dell'album?
O.P.: Il mio approccio alla composizione è tendenzialmente istintivo. Nella vita ci sono tempi felici alternati a momenti di insoddisfazione, ed è proprio in queste occasioni di stati d'animo particolari che, davanti a un pianoforte, mi ritrovo ad essere ispirato e produttivo. È il caso di "Cara Mia," nato da un episodio di straordinaria quotidianità, oppure di "Hardworking," brano dedicato ad una persona importante della mia vita, o ancora di "Ilopocisum," scritto pensando all'intricato mondo della musica, non a caso è l'anagramma di "Musicopoli". Alle volte però un pizzico di razionalità si fa strada. Alcune canzoni nascono mettendo insieme spezzoni di melodie incompiute, è il caso di "United Songs" per esempio.
AAJ: Hai già in mente qualche idea per un prossimo futuro?
O.P.: Di idee ne ho molte. Quella del disco in piano solo è una delle più papabili, ma anche un progetto in trio sulle musiche di jazzisti mi piacerebbe molto. Inoltre vorrei dare un seguito a questo progetto di Musicopoli, ho già due o tre mie nuove composizioni che potrebbero far parte del secondo disco.
AAJ: Quali sono gli aspetti sui quali vuoi concentrarti per progredire ulteriormente e i punti di forza del tuo modo di fare musica?
O.P.: Sono già a lavoro per migliorare l'aspetto riguardante il ritmo. Vorrei, inoltre, perfezionare il mio pianismo, arricchirlo, renderlo vario e farlo diventare sempre più personale. La musicalità, lo swing, la capacità di ascoltare e di rispettare chi sta suonando con me, di mettermi al servizio della musica, sono le mie qualità.
AAJ: Se accendo il tuo iPod, cosa trovo in play?
O.P.: Miles Davis, per il suo eclettismo!
AAJ: Nella tua vita, oltre che per la musica, quali altri interessi o passioni coltivi?
O.P.: Ti confesso di avere un "debole" per la mia famiglia. Sono sposato, ho un figlio piccolo che adoro e un altro in arrivo. Magari potrà sembrare una scelta incompatibile con la vita di un musicista jazz che sogna di "girare il mondo" con la musica, ma ti assicuro che la mia famiglia è il filo conduttore della mia vita, il punto di partenza e nello stesso tempo di arrivo.
Foto di Marco Tamburrini (la prima e la seconda).
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