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Il trio telepatico di Craig Taborn

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Quello del pianista Craig Taborn, con Thomas Morgan al contrabbasso e Gerald Cleaver alla batteria, è un trio telepatico.

Chi ha avuto il piacere di ascoltarlo lo scorso anno anche dalle nostre parti [ad esempio nelle strepitosa performance a Bergamo Jazz e a Padova], ha avuto modo di capire a che livello sia giunta la maturità di questa formazione, tra le più stimolanti degli ultimi anni.

La musica del trio trova ora anche una realizzazione discografica, con l'uscita di Chants, pubblicato come il precedente - splendido - Avenging Angel in solo, dalla ECM. Evidentemente la fiducia dell'etichetta bavarese è particolarmente stimolante per il pianista di Detroit, che prima del 2011, pur partecipando a un numero notevolissimo di dischi altrui [da Tim Berne a Roscoe Mitchell, da James Carter a Susie Ibarra], aveva inciso a proprio nome solo tre dischi in dieci anni.

Anticipiamo subito che, pur con alcune differenze "strutturali" rispetto ai concerti [il perché lo spiega bene lo stesso Taborn qui sotto], anche il disco è stellare.

Gli elementi che dal vivo si dipanano lunghe e visionarie architetture d'improvvisazione, le frasi ostinate, i momenti sospesi e rapsodici, la straordinaria sensibilità timbrica, il gioco di scomposizione e ricomposizione delle componenti melodiche e armoniche, ci sono tutti.

Più concisi, dritti all'obbiettivo come nel caso dei due temi inziali, "Saints" e "Beat the Ground," inevitabilmente privati di quell'aura dell'inconoscibilità e del respiro trattenuto del rischio della performance irripetibile che è palpabile dal vivo, ma costruiti magistralmente senza perdere in urgenza e ispirazione.

Il pensoso tema di "In Chant" apre scenari di lirismo denso e mai compiaciuto, mentre la cocciutaggine accordale di "Hot Blood" si scioglie in uno di quei temi angolosi che sono particolarmente cari a Taborn.

A fare da "perno" al centro del disco è "All True Night/Future Perfect," che ha spazi e respiri in cui ciascuno strumento disegna senza fretta [splendido il solo di Morgan], per poi lasciare a "Cracking Hearts," con la sua costruzione frammentata e ricca di inquietudine, il compito di raccontarci come il gruppo sia un continuo laboratorio di senso, pur in un contesto storicamente abbastanza saturo come il trio con pianoforte.

Questo mood quasi fantasmatico rimane per tutta la seconda parte del lavoro, che si muove con strategie sempre imprevedibili [magistrale lo spettrale accordo ribattuto da Taborn sotto il solo del contrabbasso in "Silver Days Of Love"] e che si chiude con la danzante "Speak The Name," anche qui ipnotica fino a spegnere la reiterata frase pianistica nel silenzio.

Un disco meraviglioso, esplorativo e definito al tempo stesso, che ci ha fatto venire voglia di fare due chiacchiere con lo stesso Taborn, persona sempre disponibile e mai banale nel suo conversare.

All About Jazz: Partiamo dal nuovo, disco Chants. Ci racconti un po' come è nato?

Craig Taborn: I temi per Chants sono stati scritti tra il 2007 e il 2012 [clicca qui per ascoltare il concerto al Village Vanguard del 4 Aprile 2012], durante i tour che il trio ha fatto. Credo riflettano l'identità continua del gruppo, man mano che sviluppavamo una nostra grammatica per l'improvvisazione. Sono brani pensati per il concerto e in quella sede sono spesso poi eseguiti come parti di una suite, secondo lunghe e interconnesse esplorazioni di materiali differenti tratti da alcuni pezzi e che portano a una nuova, più articolata, composizione.

In questo senso, uno degli obbiettivi del disco era quello di trovare un modo per fare funzionare i singoli brani anche al di fuori del contesto live, farli rimanere significativi anche su disco e credo che l'architettura complessiva del lavoro sia l'esito di una delle tante possibilità in cui i temi possono singolarmente avere senso.

AAJ: Trovo che l'interplay con i tuoi due partner, Thomas Morgan e Gerald Cleaver sia a tratti quasi magico. Cosa portano queste due individualità alla tua idea musicale?

C.T.: Sia Thomas che Gerald affrontano le composizioni con una mentalità totalmente aperta e sempre consapevoli di cosa un suono possa essere potenzialmente nel momento della sua realizzazione.

Il gruppo investe molto in questa modalità di lavoro piuttosto che in una in cui ci sia un qualche obbiettivo preordinato per le composizioni. Così le performance possono ingranare verso una scoperta dell'essenza stessa e del significato della musica. Entrambi i musicisti poi lavorano intensamente sia con il suono che con il silenzio e non hanno paura di essere propulsivi o addirittura aggressivi se il contesto lo permette.

AAJ: Alcuni brani del disco hanno titoli di sapore "ayleriano," con parole come saints, love, ghosts. Da dove vengono i titoli dei pezzi?

C.T.: Non avevo considerato la natura "ayleriana" dei titoli, ma ora che me lo fai notare... Forse la cosa riguarda la natura evocativa di quelle parole, che parlano di forze elementari e alludono a disegni mistici. Poi in realtà i nomi hanno per me una risonanza poetica con la musica, lavorano insieme a essa, a volte attraverso il loro suono e il significato e altre volte nell'intento di dare un nome al contenuto del pezzo, piuttosto che essere il contenitore del significato.

AAJ: Parliamo adesso dei musicisti che ti hanno ispirato nella tua evoluzione come strumentista e nel trovare una tua voce originale al pianoforte...

C.T.: Sarebbe una lista lunghissima e non so se del tutto a fuoco. Le mie ispirazioni musicali vengono da così tanti posti e molte non sono facilmente elencabili, dal momento che sono derivate più da specifiche tradizioni musicali che non dai singoli individui, penso alla musica di Giava in tante forme, così come quella persiana.

Ho ovviamente i miei eroi, ma spesso mi influenzano più come esempio che non con la loro musica direttamente. Quanto poi al fatto di cercare una propria voce, credo che venga semplicemente dal relazionarsi onestamente con le proprie fonti di ispirazione, quali esse siano. Stili e generi sono illusori e sono alla fine il risultato di processi squisitamente individuali o della situazione, più che di qualsiasi fonte reale predefinita.

Così direi che lasciando che ciascuno scopra un processo influenzato da una varietà di fonti, alla fine la somma di queste ispirazioni mitigata dalle circostanze [abilità tecnica o limitazione, ingenuità intuitiva o preciso rigore intellettuale, etc.] plasmerà tutto in una voce originale.

La qualità che unisce i musicisti da cui traggo ispirazione, penso a Sun Ra, a Duke Ellington o a Morton Feldman, è il rimanere fedeli a una visione molto personale di come si rapportano con la musica. Quasi nessuno dei musicisti come loro è in cerca di una tendenza o di uno stile: sono rimasti fedeli alla propria ricerca con determinazione e alla fine capaci di creare mondi musicali davvero unici.

AAJ: Quali sono i tuoi prossimi progetti?

C.T.: Dopo il tour di lancio del disco in trio, sto cercando di lavorare nuovamente a un progetto più legato all'elettronica e ho anche scritto alcuni pezzi per un piccolo ensemble da camera. Può anche darsi che le due cose si sviluppino in connessione, ma forse anche no, anche perché non voglio abbandonare né il lavoro in trio né quello in solo.

Foto di Claudio Casanova (tranne la seconda di John Rogers).

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