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Jon Irabagon with Mike Pride: I Don't Hear Nothin' But the Blues

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Jon Irabagon with Mike Pride: I Don't Hear Nothin' But the Blues
L'immagine di copertina che ritrae un vecchio treno merci con due figure appollaiate sul tetto e il titolo così didascalico e perentorio farebbero pensare ad una qualche rivisitazione della musica delle radici nelle sue varie declinazioni ancorate al mito del viaggio e dell'avventura. Niente di più fuorviante perché il blues del titolo compare nel ruvido attacco iniziale del sax di Jon Irabagon ed in qualche cellula melodica sparsa qua è là a mo' di esile raccordo tra le tante anime che compongono I Don't Hear Nothin' but the Blues.

Anime jazzistiche - si va dalla rivoluzione bop di Parker alla rottura del free, dagli honkers di scuola texana all'esuberanza dixie - ed extra jazzistiche - dall'hard rock all'heavy metal, dal noise al punk - che emergono prepotentemente lungo i quarantotto minuti della performance. Anime che si avvinghiano in abbracci eterni e anime accantonate nelle zone periferiche, lontane dal centro nevralgico dell'esecuzione. Anime che trasudano spiritualità ed anime che sembrano aver stretto un patto col diavolo.

I Don't Hear Nothin' but the Blues, ha un impatto devastante sull'ascoltatore, investito da una forza d'urto impensabile per due strumenti acustici. La batteria di Mike Pride è quanto di più lontano ci sia dal manuale del buon jazz drummer, tutto sfumature, scansioni ritmiche e interplay. Qui la percussione di pelli e metalli ha qualcosa di selvaggio e di anarchico, crea un movimento tellurico apparentemente incontrollato, è volutamente eccessiva nella timbrica e nelle dinamiche. E scivola con disinvoltura impressionante tra scansioni binarie e complicati metriche dispari, riempiendo ogni spazio con un presenza quasi asfissiante.

Il sax di Irabagon sembra andare a nozze con il ribollio di energia sprigionato dal suo interlocutore, spaziando da registri gravi e gravissimi a trilli quasi fastidiosi per le orecchie. Non è tanto la ricerca dei limiti fisici dello strumento esibita con tecnica formidabile, quanto tentativo riuscito di smuovere le emozioni più recondite e scabrose dell'animo umano. Non dà tregua il sax di Irabagon, viscerale, mai ridondante, in moto perpetuo tra frammenti di citazioni, sorretto da sorprendente lucidità e ferrea logica tanto da trasformare l'interminabile brano in una vera e propria suite dedicata all'arte dell'improvvisazione.

Non male per un musicista che solo nel 2008 ha trionfato nella prestigiosa Thelonius Monk Jazz Competition e che nel giro di una manciata di collaborazioni e di CD si sta rivelando una delle menti più fervide, più eclettiche, più aperte, più innovatrici del panorama jazzistico mondiale.

E la dedica dell'album a David Foster Wallace (scrittore culto della corrente avantpop definito dal New York Times "la mente migliore della sua generazione") spiega come meglio non si potrebbe lo spirito illuminato che pervade l'intera registrazione.

Chapeau!

Visita i siti di Jon Irabagon e Mike Pride.

Track Listing

I Don't Hear Nothin' But the Blues.

Personnel

Jon Irabagon
saxophone, tenor

Jon Irabagon: tenor saxophone; Mike Pride: drums.

Album information

Title: I Don't Hear Nothin' But the Blues | Year Released: 2009 | Record Label: Loyal Label

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