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I capolavori di Philip Glass

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Auditorium Parco della Musica, Sala Santa Cecilia - Roma - 21.05.2010

Ne sono passati di anni da quando le esibizioni concertistiche di due padri del minimalismo in musica come Philip Glass e Steve Reich raccoglievano a malapena poche decine di persone. Ormai da tempo i due compositori sono stati accolti nell'ambito dell'accademia classica contemporanea, e i loro lavori fanno parte dei programmi delle principali stagioni concertistiche di tutto il mondo, riempiendo ovunque le sale da concerto. E' proprio in questa veste, come ospite della stagione cameristica dell'Accademia di S. Cecilia, che Philip Glass alla testa del suo Ensemble si è presentato al pubblico romano dell'Auditorium, con un programma comprendente una ricca selezione da quelle opere che hanno segnato la sua prima stagione creativa, fino alla metà degli anni '80, consentendogli di ottenere fama e riconoscimenti praticamente ovunque. I lavori presentati sono dunque quelli riconducibili a quella fase della sua produzione cui maggiormente si addice l'aggettivo minimalista nel senso comunemente inteso; nelle opere successive Glass se ne distaccherà almeno parzialmente allargando il raggio della sua scrittura verso differenti tipi di espressione musicale come le opere, i quartetti, le sinfonie e altre forme più classiche, senza però mai smettere di riproporre in concerto le prime composizioni.

L'Ensemble, composto da quattro tastieristi (lo stesso Glass, il fido Michael Riesman al suo fianco fin dagli inizi come direttore musicale, Mick Rossi e Lisa Bielawa utilizzata anche come vocalist), due sassofonisti (Jon Gibson, un altro dei suoi associati di più lunga data, e David Crowell) e un flautista/clarinettista (Andrew Sterman) ha aperto il concerto con 'Dance Piece No.9,' il brano più recente tra quelli presentati (del 1986), proseguendo con due parti (7 e 8) della monumentale Music in 12 Parts, lenta e massiccia, per terminare la prima parte del concerto con un brano tratto da Koyaanisqatsi, una delle sue prime e più riuscite colonne sonore, grazie al perfetto abbinamento con le immagini, ma fruibile anche come lavoro autonomo.

La seconda parte si apriva con la composizione più vecchia, 'Music in Similar Motion,' del 1969, cui seguiva 'Building,' tratto da Einstein on the Beach, la sua prima opera multimediale del 1974, affidato al sax tenore; questo brano e il successivo, 'Facades' (tratto da Glassworks), sono gli unici presentati a prevedere parti solistiche che si elevano sopra la tipica ripetizione di pattern su cui è basata tutta la musica di Glass (nel caso di 'Facades' sono i due sassofoni tenore e soprano a dialogare), il che li rende automaticamente i più accessibili. Finale con 'Act III' da The Photographer (1983), summa della prima fase del minimalismo glassiano, mentre per il bis è toccato a un altro breve brano tratto da Einstein on the Beach.

Il concerto ha rappresentato in sostanza un'antologia della prima fase del minimalismo di Glass, quella che gli ha permesso di sviluppare e affinare tutta una serie di tecniche di scrittura applicate in maniera (anche troppo) estesa nel corso di una produzione musicale decisamente sovrabbondante, che ne hanno fatto uno dei compositori contemporanei più conosciuti dal grosso pubblico, ma anche più controversi per il suo eccessivo meccanicismo e l'assenza di vera emozione, dovuti alla pura applicazione di formule iterative. Ad ogni modo, Glass rimane un musicista che ha segnato un'epoca e ha inventato un proprio stile originale, e come tale non può essere ignorato.

Foto di Stewart Cohen


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