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Guitar Collection: Intervista a tutto tondo con i suoi interpreti

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Quest’intervista a tutto tondo con alcuni interpreti che hanno dato vita alla Guitar Collection della Stradivarius, vuole dare conto quasi come un ipotetico dialogo a più voci delle loro diverse formazioni, ambizioni e prospettiva di ricerca. La conversazione è avventa virtualmente e quella che segue è una ricostruzione.

Ai diversi interpreti - Elena Casoli, Massimo Lonardi, Matteo Mela, Lorenzo Micheli, Antonio Rugolo - sono state sottoposte le medesime domande. A loro massima libertà di scegliere cosa e come rispondere .

Indice

Guitar Collection: il progetto

La formazione musicale

Conversando di musica: il repertorio contemporaneo

Gli strumenti usati nelle incisioni

Il repertorio e le tecniche d’interpretazione

Il jazz

GUITAR COLLECTION: IL PROGETTO

All About Jazz Italia: Come e perché è nata l’idea di realizzare una Guitar Collection?

Elena Casoli (foto a lato): Credo che nonostante la varietà di offerta discografica oggi a nostra disposizione, ci siano sempre spazi nuovi che si possano caratterizzare per originalità e qualità delle proposte: la Guitar Collection di Stradivarius è uno di questi e per proprio questo è nata.

AAJI: Perché hai deciso di aderire a questo progetto?

Elena Casoli: È uno spazio ideale nel panorama chitarristico d’oggi per presentare proposte insolite e sperimentali come le mie.

Massimo Lonardi: Ho aderito a questo progetto su gentile richiesta del maestro Frédéric Zigante. Il repertorio che interpreto in questo CD è costituito dai libri per chitarra (o contenenti anche opere per chitarra) pubblicati nel ‘500. Naturalmente un lavoro antologico non può pretendere di esemplificare in modo esauriente un repertorio relativamente ampio come è quello della chitarra rinascimentale. Accostare brani di autori appartenenti a diversi paesi e diverse aree stilistiche è piuttosto un’occasione per definire preferenze e affinità del tutto soggettive.

Matteo Mela: Perchè ho trovato l’idea di una collana dedicata interamente alla chitarra estremamente interessante ed inoltre la scelta dei titoli e degli interpreti compiuta dal Direttore Artistico Frédéric Zigante mi è sembrata particolarmente accurata e accattivante. Una giusta via tra la tradizione e la novità. Quindi ci sembrava la collocazione perfetta per una prima assoluta di musica da camera con chitarra come il nostro disco sui Quartetti di De Fossa.

Lorenzo Micheli: Per entusiasmo, innanzitutto, entusiasmo per un progetto innovativo nella forma (la collana di CD dedicati alla chitarra classica ha pochi equivalenti nel mercato discografico internazionale) e nella sostanza (ovvero nella qualità degli interpreti coinvolti e del repertorio proposto). E poi Frédéric Zigante è stato il mio maestro nei lunghi anni di studio alla Fondation Mozart di Losanna, e il suo invito a partecipare è stato per me un grande onore.

AAJI: Secondo quali criteri è stato scelto il repertorio che interpreti?

Elena Casoli: Da molti anni l’interesse per la ricerca - che possiamo chiamare musica contemporanea o Nuova Musica - e quindi la collaborazione diretta con i compositori hanno un ruolo molto importante nel mio lavoro. Nel catalogo Stradivarius ho partecipato a diversi progetti con altri musicisti - con musiche di Maderna, De Pablo, Castagnoli, Scodanibbio, per citarne alcuni - e poi è nato StrongStrangeStrings, primo CD solista per questa etichetta, in cui le mie chitarre si mettono a disposizione dell’invenzione dei compositori.

Lorenzo Micheli: Il criterio è naturalmente quello dell’affinità personale. Si può provare affinità per un singolo autore, per una determinata temperie culturale e musicale, per una tradizione o per un paese, per un’intera epoca. Dall’affinità al desiderio di approfondimento il passo è breve: e così alle spalle di ogni registrazione, solitamente, sta un lungo lavoro di ricerca e studio, quasi un processo di familiarizzazione e acclimatamento con la musica e con il suo creatore.

Matteo Mela: Abbiamo scelto tale repertorio perché da alcuni anni in duo con Lorenzo Micheli siamo particolarmente interessati alla musica da camera con la chitarra. L’amore per il suonare insieme ad altri strumenti ci ha spinti alla ricerca di pagine poco frequentate dai chitarristi ma non per questo di scarso interesse. Sapevamo in particolare dei quartetti di De Fossa per questa strana formazione: duo di chitarre più violino e violoncello, un piccolo trio dove le chitarre fanno le veci del fortepiano. Ci siamo subito buttati alla ricerca della musica che fin dalla prima lettura ci è sembrata di buona qualità. Inoltre questo organico ci permetteva di suonare con due meravigliosi musicisti e grandi amici come Ivan Ramaglia ed Enrico Bronzi (rispettivamente violino e violoncello, archi del Trio di Parma) con cui da tempo fantasticavamo di realizzare un disco insieme.

Antonio Rugolo: Il progetto è nato intorno alla celebre Sonata op. 47 di Ginastera. Si è poi andati alla ricerca, in collaborazione con Angelo Giardino, di tutti quei compositori argentini e uruguayani che hanno scritto musica colta per chitarra nel ‘900 non “supinamente” votata al folklorismo. E’ nata così l’idea di incidere l’opera completa di Carlos Pedrell.

AAJI: La Guitar Collection così come è stata pensata unisce opere che si potrebbero definire classiche (per quanto riguarda compositore, repertorio, epoca) ad opere dal taglio nettamente più contemporaneo e forse anche di ricerca. Le scelte che sono state fatte puntano senza dubbio a rendere in modo esaustivo e articolato la letteratura per chitarra. Cosa ne pensi?

Lorenzo Micheli (foto a lato): Probabilmente, col tempo, la Guitar Collection finirà per essere sempre più una finestra ampia che dà su un panorama articolato e completo di quattro secoli di musica originale per chitarra, dal Rinascimento ai nostri giorni. L’idea originale, tuttavia, non credo si proponesse quest’obiettivo: non, per lo meno, con sistematicità. Tant’è vero che, a fronte di opere e autori pochissimo conosciuti presenti in catalogo, sono assenti molti dei capisaldi della letteratura per chitarra.

Antonio Rugolo: Credo che l’operazione Guitar Collection sia animata da una grande generosità intellettuale e dal desiderio di dare al repertorio per chitarra, noto e meno noto, la giusta rilevanza diventando un punto di riferimento storico-culturale.

AAJI: Avete concordato una linea interpretativa comune, cercando nel caso di mettere in evidenza taluni aspetti, oppure ciascun chitarrista è stato libero di poter eseguire il repertorio del cd che interpreta secondo il proprio stile?

Elena Casoli: StrongStrangeStrings è un progetto nato nel 2001 in forma di live-performance per il Festival Musica 2000, che si tenne alla Palazzina Liberty di Milano. Dopo quel concerto è venuta la proposta di realizzarne una versione discografica, nella quale c’è stata grande intesa con Stradivarius e libertà per quanto mi riguarda nella scelta degli autori e nel progetto generale del CD.

StrongStrangeStrings ricerca una nuova situazione sonora ed emotiva in un'unica performance senza soluzione di continuità. Acustico, elettrico, elettronico, si alternano nel disco come sul palcoscenico: un filo lega i materiali musicali, che rivelano affinità, contrasti, influenze esterne al proprio genere musicale, fino a comporre “l’immagine sonora” che è stato il concerto.

Massimo Lonardi: Con il maestro Frédéric Zigante è stata concertata l’impostazione generale del lavoro ed il criterio di scelta dei brani, mentre mi è stata lasciata la più completa libertà interpretativa.

Matteo Mela: Direi che c’è stata la massima libertà di scelta riguardo allo stile e all’interpretazione e credo che il raccogliere interpreti con formazioni e stili differenti sia uno dei punti di forza della collana.

Lorenzo Micheli: Direi che a livello interpretativo è stata lasciata a tutti noi la più completa libertà: in questo modo, la Guitar Collection viene a caratterizzarsi come qualcosa di profondamente unitario nei principi ispiratori, ma che contiene tutte le irrinunciabili particolarità dei singoli musicisti.

Antonio Rugolo: La ricchezza sta nella diversità. Credo che ognuno di noi si sia sentito assolutamente libero nelle scelte interpretative.

AAJI: Ci sono opere che in futuro ti piacerebbe venissero incise in questa collana ma al momento non sono ancora state incluse? C’è qualche partitura che avresti voluto realizzare ma non hai potuto?

Elena Casoli: Suono uno strumento che ha avuto, dalla metà del XX secolo ad oggi, grande fortuna presso i compositori, che hanno scritto lavori di indubbio valore. Molti sono i nuovi pezzi che ho suonato in questi anni, spesso in prima esecuzione, e tutt’oggi sono ancora curiosa dei pezzi che devono ancora essere scritti e che vorrei potessero attraverso il disco raggiungere altri musicisti e un pubblico sempre più internazionale.

Massimo Lonardi: Mi piacerebbe molto realizzare un’antologia dedicata ai libri per Vihuela (la progenitrice della chitarra che nella Spagna cinquecentesca fu preferita al liuto) con le opere di grandi autori quali Luys Milan, Luys De Narvaez e Alonso Mudarra.

Matteo Mela: Onestamente sono molti i progetti che amerei realizzare con la collana e spero al più presto di contribuire nuovamente magari con un CD dedicato al duo di chitarre insieme al mio amico Lorenzo Micheli.

Antonio Rugolo: Sicuramente i due “grandi” dell’800 Sor e Giuliani. Sto lavorando ad un nuovo progetto.

AAJI: Cosa aggiunge, secondo te, questa collezione della Stradivarius a quanto già esiste sul mercato discografico internazionale?

Elena Casoli: Da un punto di vista strettamente chitarristico, dello strumento e del suo repertorio, credo che questa collezione si stia delineando come un progetto nel quale i compositori, del passato e di oggi, e la musica sono il centro d'attenzione, dove gli interpreti fanno da catalizzatori, loro stessi strumenti, insieme alle loro chitarre, affinché queste musiche possano vivere ed essere ascoltate.

Lorenzo Micheli: Rispetto al panorama della discografia per chitarra classica, in Italia e all’estero, il progetto della Stradivarius trova i suoi punti di forza nell’impostazione a tema o monografica dei volumi - che divengono così documenti e strumenti di lavoro importanti per appassionati e specialisti - nella scelta di privilegiare la musica originale per chitarra e nella presenza, fra gli artisti, di nomi di grande richiamo accanto a debuttanti di talento.

Antonio Rugolo: Come dicevo prima credo che la Guitar Collection possa diventare un punto di riferimento storico-culturale per la chitarra.

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LA FORMAZIONE MUSICALE

AAJI: Hai voglia di raccontare brevemente i tuoi studi e gli incontri con i maestri che maggiormente ti hanno influenzato... per meglio comprendere la ragione per la quale hai scelto le opere che interpreti (se le due cose hanno eventualmente un rapporto).

Elena Casoli: Grazie all’incontro con Ruggero Chiesa al Conservatorio di Milano e con Oscar Ghiglia all’Accademia Chigiana di Siena, ho avuto due guide di grande valore umano e artistico nella mia formazione, che mi hanno lasciato crescere in libertà come musicista, accendendo in me l'interesse, la creatività, la ricerca, con forti punti di riferimento sul piano musicale, culturale e etico. Parallelamente alla chitarra, ho studiato e suonato a lungo uno strumento a fiato, che mi ha messo in contatto con altri maestri ed esperienze, lavorando già molto giovane in ensemble e orchestre. Questo ha molto influito sulle mie esperienze future come chitarrista, dove all’attività solistica ho sempre cercato collaborazioni con altri musicisti, in orchestra o in ensemble e questo ha poi fortemente indirizzato le mie scelte di repertorio, così come le mie passioni per il teatro, la letteratura e la pittura.

Massimo Lonardi: Ho iniziato a suonare da autodidatta ascoltando i dischi dei Jetro Tull. Quando ho deciso di suonare chitarra classica ho avuto la fortuna di incontrare Ruggero Chiesa che era una nobilissima persona e un grande insegnate. Dopo il diploma mi sono dedicato interamente al liuto studiando privatamente con Hopkinson Smith che è uno dei maggiori liutisti contemporanei, seguendo vari seminari a Basilea. Sono molto riconoscente ad Azio Corghi, il mio insiegnante di composizione.

Matteo Mela: Ho studiato la chitarra a Cremona con Giovanni Puddu e allo stesso tempo ho frequentato la facoltà di musicologia di questa città. In seguito particolarmente importante è stato il corso Master in musica da camera che ho seguito all’Accademia Pianistica di Imola dove ho avuto modo di studiare con musicisti come Piernarciso Masi, Dario de Rosa e Alexander Lonquich. Da allora ho capito che fare musica insieme ad altri era per me una fonte di grande ispirazione e gioia forse maggiore del fare musica da solo.

Lorenzo Micheli: Ho avuto tre incontri determinanti, tre grandi maestri che in modo profondamente diverso mi hanno influenzato e formato. Con Paola Coppi ho studiato a Milano per molti anni, mi ha insegnato tutta la tecnica, ma soprattutto mi ha abituato fin da giovanissimo a non fermarmi alle note: un musicista non mette i suoni in fila, ma infonde loro la vita. Con Frédéric Zigante ho lavorato sul rigore interpretativo e sul rispetto del testo, e in lui ho trovato una guida sicura che ha assecondato le mie predilezioni in fatto di repertorio (soprattutto per la musica del primo Ottocento). Infine Oscar Ghiglia, che è stato mio maestro a Basilea, mi ha insegnato a guardare alla musica come a un’immagine la cui bellezza, instabile, è in perenne trasformazione e ridefinizione, quasi fosse un caleidoscopio.

Antonio Rugolo: Mi sono diplomato nella mia città, Taranto, con Pino Forresu, ma i maestri che hanno influito sulle mie scelte culturali sono stati in primis Frédéric Zigante e poi Oscar Ghiglia con cui ho studiato quattro anni all’Accademia Chigiana. Devo dire che anche l’incontro con Diaz in qualche modo mi ha dato degli spunti importanti.

AAJI: Qual è stato il chitarrista che ti ha maggiormente influenzato / ispirato / emozionato e perché?

Elena Casoli: A sei anni mi è stato regalato un disco in cui Segovia interpretava con l’orchestra il Concerto del Sur di Ponce e la Fantasia para un Gentilhombre di Rodrigo. Ricordo che l’ho ascoltato infinite volte, ne ero affascinata. A sette anni ho cominciato a suonare la chitarra. Mio padre mi portava a molti concerti nei teatri milanesi, grandi solisti, orchestre, Pollini, il Quartetto Italiano, Isaac Stern, e molti altri. I miei modelli non sono stati i chitarristi, ma i musicisti in genere, quelli che sapevano tenermi sveglia, ancora bambina, sino alla fine del concerto!

Lorenzo Micheli: Se devo essere sincero... forse è stato Mark Knopfler, il chitarrista dei Dire Straits. Risposta inattesa, forse, da parte di un musicista classico: il fatto è che Knopfler, tanti anni fa, mi ha fatto capire per la prima volta che cosa vuol dire “fraseggiare”. La sua chitarra non suona come quella di tanti altri suoi colleghi, piuttosto parla, racconta, reclama di essere ascoltata.

Matteo Mela: Devo dire che nel tempo sono stati molti e diversi i chitarristi che mi hanno influenzato e non solo nell’ambito della musica classica. Verso l’età di otto anni ho scoperto e amato infinitamente i Beatles e quindi la chitarra di George Harrison che rimane ancora oggi a mio avviso un chitarrista di stile e raffinatezza unici. In seguito nel periodo dell’adolescenza il blues era la musica che preferivo e i miei idoli musicali erano B.B. King e Stevie Ray Vaughan. All’età di quindici anni ho iniziato a scoprire il jazz e qui si è aperto un mondo incredibile da Charlie Christian a Django da Wes Montgomery a Joe Pass; musicisti straordinari che riuscivano ad avere uno stile così inconfondibile da riconoscersi dopo due note. Dopo questi direi che un autentico mito della chitarra è stato per me Pat Metheny: la sua capacità di spaziare tra generi differenti, di creare musica e sonorità nuove lo rende un musicista unico.

Per quanto riguarda la chitarra classica direi che la figura di Segovia mi ha sempre colpito per la personalità e il carisma davvero straordinari. Grande fonte di ispirazione per me è stato poi Julian Bream, per la finezza di suono e la ricerca timbrica e per l'importanza e la bellezza dei brani da lui commissionati e a lui dedicati.

Antonio Rugolo (foto a lato): È difficile trovare un solo nome, sicuramente Segovia, Bream, Barrueco e Williams sono stati per me un punto di riferimento ed un traguardo da raggiungere.

AAJI: Che musica ascolti abitualmente?

Elena Casoli: Accanto al mio impianto c’è sempre un grande disordine, ho dischi di ogni genere, regalati da amici musicisti, acquistati nei viaggi tra un concerto e l’altro, dalla musica antica a John Zorn e ascolto di tutto, dalla musica tradizionale giapponese a John Adams. In questo periodo ascolto molto jazz, Lester Young, Miles Davis e molto Bill Evans.

Massimo Lonardi: Ascolto abitualmente molti generi di musica. Oltre alla musica del Rinascimento e del primo Barocco, prediligo il Rock degli anni ‘60-‘70 (soprattutto i Jethro Tull, i Led Zeppelin e i Pink Floyd), il jazz e la Bossa Nova. Nell’ambito della musica classica ascolto frequentemente quartetti per archi di Mozart e di Haydn. Fra gli autori del ‘900 preferisco Ravel e Stravinskj (soprattutto la Sinfonia dei Salmi).

Matteo Mela: Dalla musica classica al jazz principalmente, ma mi piace molto anche la canzone d’autore e la musica brasiliana.

Lorenzo Micheli: Credo che a ogni fase della propria esistenza e a ogni momento della propria vita quotidiana corrispondano esigenze diverse nell’ascolto musicale, così come nelle diverse fasi della crescita cambiano le esigenze nell’alimentazione. Così, col tempo, capita di passare attraverso generi, esecutori e musicisti diversi. Da Peter Gabriel ai Police, dall’Orfeo di Monteverdi ai Concerti di Prokofiev, da Egberto Gismonti a Brad Mehldau, le mie giornate sono scandite da una colonna sonora sempre mutevole.

Antonio Rugolo: Ogni momento della mia giornata è scandito da un ascolto diverso, oggi ad esempio ho incominciato la mattinata con un CD di James Taylor, ho poi letto alcune pagine di un libro con Schoenberg ed ora che scrivo ascolto Bach. Insomma ascolto molta classica, ma anche jazz, blues, soul e pop.

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CONVERSANDO DI MUSICA: IL REPERTORIO CONTEMPORANEO

AAJI: Quali sono i compositori del Novecento che secondo te hanno dato maggior rilievo alla chitarra nel loro repertorio? E quali hanno introdotto i cambiamenti più interessanti?

Elena Casoli: Non è facile rispondere e ci sono opinioni diverse in proposito. Se parliamo della seconda metà del ‘900, credo che momenti fondamentali per il futuro della chitarra in ambito classico siano stati la sua partecipazione a due lavori storici: Le Marteau sans Maitre di Boulez e El Cimarròn di Henze. Grazie a questi due compositori, la chitarra si è trovata a suonare in contesti che in quegli anni erano all'attenzione di tutto il mondo della Nuova Musica. Molti compositori hanno così riscoperto e inventato nuove possibilità espressive per il nostro strumento, hanno cominciato ad utilizzarlo nelle sue diverse forme, acustiche, elettriche, da solo e in ensemble, e da quel momento i compositori non hanno più smesso di scrivere!

Matteo Mela: Il compositore che secondo me ha cambiato più di ogni altro il modo di scrivere per la chitarra è Heitor Villa-Lobos. I suoi studi per chitarra sono un punto di riferimento fondamentale per i compositori e gli interpreti che lo hanno seguito. Con un linguaggio estremamente moderno riesce a sviluppare le potenzialità dello strumento in ogni direzione con una spinta innovativa straordinaria. Inoltre il legame tra musica e strumentalità rende tali brani un momento di studio e confronto obbligato per ogni chitarrista.

Antonio Rugolo: Sicuramente Castelnuovo-Tedesco è stato con “noi” molto generoso; Villa-Lobos ha dato nuova linfa alla chitarra del primo ‘900, ma ci sono anche Rodrigo con il suo Concerto, Britten con il Nocturnal e sicuramente Ginastera con la sua Sonata.

AAJI: Hai la sensazione che la “chitarra classica” sia uno strumento poco usato dai compositori contemporanei?

Elena Casoli: Poche volte nella sua storia la chitarra ha avuto un periodo così fortunato, lungo e prolifico come quello attuale.

Matteo Mela: Assolutamente no, la chitarra nel novecento è impiegata come strumento solistico o in numerosi organici strumentali in modo molto frequente.

Lorenzo Micheli: No, direi di no, tutt’altro: tutti i più grandi compositori viventi impiegano spessissimo la chitarra (o la chitarra elettrica) nei loro lavori. E’ uno strumento che, forse per la sua voce famigliare e per la sua versatilità/ambiguità (strumento colto o strumento popolare?), si adatta bene alle esigenze più svariate.

Antonio Rugolo: No, anzi importanti compositori come Detrassi, Berio, Henze ed altri anche se non negli ultimi vent’anni, hanno scritto per chitarra.

AAJI: Qual è il repertorio che prediligi e perché?

Elena Casoli: Amo la Nuova Musica, l’invenzione, la ricerca, provoco la nascita di nuovi pezzi, commissionandoli ed eseguendoli: questo costa a volte un lavoro e uno sforzo enormi, insieme all'emozione unica di suonare per la prima volta una musica mai udita prima d’ora. Ho lavorato con compositori come Kurtag, Adams, Manca, Pisati, Ospald, Henze, Castagnoli, Tadini, Doati, Huber, Prati, Hespos, Sani, Clementi, Dufourt, Morricone, esperienze preziose, indimenticabili. Ma non potrei rinunciare a coltivare uno stretto rapporto con i musicisti del passato, Bach per primo, gli autori del Rinascimento, il primo ‘800. Più è nuovo ciò che suono, più sento il bisogno di cercare delle radici.

Massimo Lonardi (foto a lato): Amo il repertorio del Rinascimento perché sento grande affinità con questo periodo storico del quale apprezzo tutte le espressioni artistiche, in particolar modo la pittura e la poesia. Ho avuto modo di accostarmi a questo mondo soprattutto attraverso le arti figurative (sono diplomato in grafica e mia mamma è pittrice e decoratrice) e grazie a Ruggero Chiesa, il mio maestro di chitarra che fu anche uno dei più importanti studiosi della musica per liuto del Rinascimento.

Matteo Mela: Amo il repertorio cameristico perché mi piace molto suonare insieme ad altri. Non faccio particolari distinzioni di epoche o stili perché mi piace moltissimo tutta la musica dal Rinascimento ai giorni nostri.

AAJI: Cosa in particolare ti piace della musica per chitarra spagnola e sudamericana?

Antonio Rugolo: Il ‘900 spagnolo e sudamericano; non c’è un motivo particolare è musica che sento vicina alla mia personalità irruente, irrequieta e passionale di meridionale che ha nel sangue la Taranta e la Pizzica.

AAJI: La musica e i musicisti (compositori e interpreti) per chitarra subiscono senza dubbio numerosi luoghi comuni attribuiti a questo strumento. Secondo te quali sono gli aspetti che contribuiscono maggiormente a questo?

Elena Casoli: Ruggero Chiesa era musicista di alta statura intellettuale e grande lungimiranza e ricordo che quand’ero ancora molto giovane mi mise in guardia dal rischio di isolamento che aleggia nel mondo chitarristico. Non l’ho dimenticato. Se esiste una discriminazione nel mondo classico tra la chitarra, il suo repertorio e gli altri strumenti, credo che questo dipenda proprio da questa sorta di isolamento e da una carenza di spessore culturale che a volte caratterizza le scelte di repertorio.

Lorenzo Micheli: Nonostante i suoi 400 e passa anni di letteratura originale, la chitarra è uno strumento dalla tradizione (didattica e concertistica) relativamente giovane, che continua a pagare le conseguenze di una brusca cesura nel proprio sviluppo storico durata una cinquantina d’anni (dal 1850 circa all’avvento di Segovia). In questo cinquantennio determinante per le sorti della musica occidentale la chitarra “perde il passo”, viene relegata ai margini della storia, e inizia quel lungo periodo di esilio (in parte volontario) contro cui ancora oggi lottiamo. Aggiungi a questo il fatto che i chitarristi - per lo più per cattiva abitudine - tendono a mescolarsi e confrontarsi poco con gli altri strumentisti, e il quadro è completo...

Antonio Rugolo: La chitarra è in assoluto lo strumento popolare per eccellenza e credo che sia normale che chi non conosce a fondo le sue potenzialità possa avere dei pregiudizi. Credo che comunque la sua popolarità abbia dei risvolti positivi anche per noi musicisti colti.

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GLI STRUMENTI USATI NELLE INCISIONI

AAJI: Vorrei ora approfondire alcuni aspetti tecnici. Puoi descrivermi la/le chitarra/e che usi, raccontando le eventuali innovazioni che hai introdotto. Quante chitarre possiedi e che differenze hanno fra di loro?

Elena Casoli: Suono diverse chitarre classiche moderne - Fritz Ober 1998, Masaru Kohno 1984, due Bertrand Martin 1980, Pietro Gallinotti 1972 - un arciliuto a 14 cori Pascal Goldschmid copia Sellas 1615, una Panormo originale del 1846, una steel string guitar Robert Taylor e una Blade 1990 elettrica solid body con pick-ups Gary Levinson, con pre-amp valvolare Carvin, unitamente a elaboratori del suono che cambiano a seconda delle situazioni. Ho sperimentato l’uso di diverse tecniche e attrezzi particolari - bicchieri, viti, bacchette, feltri, bottle-neck di varie forme, accordature inusuali, posizioni insolite dello strumento, elaborazioni elettroniche con le strumentazioni più sofisticate - scoprendo ogni volta un nuovo strumento!

Massimo Lonardi: La chitarra rinascimentale è molto più piccola della chitarra moderna. Lo strumento è fornito di quattro ordini di corde (la prima, la più acuta, è singola, la seconda e la terza sono doppiate all’unisono mentre la quarta è doppiata all’ottava). La chitarra rinascimentale è pizzicata con le dita della mano destra senza unghie, con una prassi esecutiva assai affine a quella del liuto.

Lorenzo Micheli: In questo momento i miei strumenti sono una chitarra in cedro costruita da Roberto de Miranda (Milano 2004), una chitarra in abete costruita da Giuseppe Guagliardo (Bronte, 2005), una splendida chitarra di Daniel Friederich (Parigi, 2002) e una chitarra francese della metà dell’Ottocento (Husson, Bhutod et Thibouville, Parigi ca. 1850). Per la musica barocca impiego una tiorba (con 14 corde semplici e un’accordatura rientrante) costruita da Jiri Cepelak a Praga su modello di Matteo Sellas (Venezia 1627) e una chitarra barocca (quattro corde doppie e il cantino semplice, con i bassi raddoppiati all’ottava superiore) sempre di Cepelak, copia di uno strumento anonimo italiano (probabilmente del laboratorio di Sellas).

Matteo Mela: Uso due strumenti del liutaio milanese Roberto De Miranda, una chitarra con tavola armonica in abete del 2001 che utilizzo per la musica da camera e una chitarra del 2003 con tavola in cedro per il repertorio solistico. Quella in abete è particolarmente ricca di timbri e colori e mi permette di giocare di più su questi aspetti quando suono insieme ad altri, la chitarra in cedro ha un suono più caldo e pastoso che prediligo quando suono da solo.

Antonio Rugolo: Nell’utilizzo di uno strumento entrano in gioco diversi fattori e non sempre le discriminanti sono sufficienti a giustificarne la scelta. Negli ultimi anni sono passato da una chitarra moderna di nuova concezione con il piano armonico inclinato (costruito per la mano sinistra dopo il 12° tasto senza dover ricorrere al taglio della cassa), ad una chitarra che si rifà ai primi progetti della fine dell’800, uno strumento molto leggero, morbido, dolce, a differenza del primo più duro e aggressivo.

Ho tre chitarre classiche da concerto: Kohno, Scandurra, Locatto. La prima costruita da un liutaio giapponese è uno strumento “perfetto”: chiaro, equilibrato, ma non sufficientemente “umano” da essere entrato nelle mie grazie, anche se lo uso volentieri per studiare. Scandurra liutaio siciliano ha costruito la chitarra con il piano armonico inclinato: strumento potente, deciso che ha bisogno di mani sicure e determinate per dare il meglio di sé.

La Locatto (liutaio torinese) è una copia di una Simplicio, liutaio spagnolo vissuto a cavallo tra l’800 e il ‘900 che insieme a Torres hanno costruito le prime chitarre moderne che sono ancora modello ed ispirazione per i liutai contemporanei, uno strumento di cui sono “innamorato” per la sua sensibilità per la sua dolcezza e la sua malleabilità.

AAJI: Quale strumento, in particolare, utilizzi per le incisioni in studio e quale per i live?

Elena Casoli: In StrongStrangeStrings ho utilizzato la Blade per i pezzi di Reich, Pisati e Tadini, la Panormo per Takemitsu e la Ober per Brouwer. Nel prossimo CD che si intitolerà Changes-Chances, appena terminato di registrare, ci sarà una mia versione di Four di John Cage, dove per la prima volta ho voluto riunire in un solo pezzo tutte le mie chitarre, gli attrezzi e i suoni particolari che i compositori mi hanno invitato ad usare in questi anni. Durante la registrazione mi sono accorta di quanti strumenti e oggetti mi circondassero - da una teiera giapponese a una bacchetta magica - ed è stato molto divertente vederli per la prima volta tutti insieme.

Massimo Lonardi: Sono soprattutto liutista e per il mio lavoro utilizzo soprattutto il liuto rinascimentale e l’arciliuto. Possiedo inoltre le due chitarre rinascimentali (accordate in registri differenti) costruite dai liutai Filippo Lesca di Verona e Stefano Solari di Milano, che ho utilizzato per il CD che interpreto, e una Vihuela spagnola (anch’essa di Solari). Essendomi accostato alla musica attraverso il pop ed il rock ho posseduto una bellissima Gibson semiacustica che ho venduto quando mi sono reso conto d’esser nato cinquecento anni prima di quello che affermano i miei dati anagrafici.

Lorenzo Micheli: Mi piace cambiare spesso. Ho optato per una “politica degli strumenti” di estrema flessibilità, e così nel corso degli ultimi anni in concerto ho suonato moltissimo strumenti diversi. Lo stesso discorso vale per i dischi: in sette dischi ho usato cinque strumenti diversi!

Antonio Rugolo: In Guitarreo suono con la Locatto che da tre anni uso anche in concerto, ma ho registrato anche con la Kohno.

AAJI: Pensi che la ricerca artigianale su uno strumento sia un valore aggiunto all’impianto strutturale delle composizioni?

Elena Casoli: Le chitarre sono, appunto, degli “strumenti”, ciò che conta è come vengono risvegliati dalle mani di un interprete. Ma sicuramente un liutaio che sa dare alle sue chitarre carattere, personalità, un suono ricco di nuances, che sa ascoltare le esigenze di chi suona, gioca un ruolo importante affinché in risultato finale sia prezioso. Per questo negli ultimi anni ho sviluppato un rapporto continuo con due liutai, Lucio Antonio Carbone di Milano e Fritz Ober di Mènchen. E poi io credo che gli strumenti, soprattutto quelli nuovi, finiscano per assomigliare a chi li suona, diventino la nostra voce.

Antonio Rugolo: Credo che lo strumento sia vissuto dal compositore come un mezzo per realizzare una idea che può essere grande o mediocre a prescindere dal valore dello strumento.

AAJI: Per il CD che interpreti hai usato uno strumento d’epoca o particolare?

Lorenzo Micheli: Il mio primo disco, dedicato alla musica di Dionisio Aguado (1784-1849), è stato registrato con uno strumento originale dell’epoca. Da allora, tuttavia, per svariate ragioni ho lavorato sempre su strumenti moderni.

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IL REPERTORIO E LE TECNICHE D’INTERPRETAZIONE

AAJI: Per il repertorio che esegui hai studiato o usato particolari e nuove tecniche?

Elena Casoli: Con la Nuova Musica è diventata una pratica quotidiana, a volte mi stupisco, quando non mi capita! E a volte non si tratta solo di nuove tecniche, ma di strumenti diversi: quest'anno ho studiato e suonato uno strumento cinese, la pipa, per un lavoro d’ensemble di Philip Glass. In realtà la continua sperimentazione di nuove tecniche ha influenzato e arricchito anche il mio modo di suonare il repertorio classico.

Massimo Lonardi: Per l’esecuzione del repertorio rinascimentale e barocco utilizzo, come tutti gli strumentisti specializzati di oggi, copie storiche di strumenti antichi suonati secondo la prassi esecutiva dell’epoca tramandataci dai trattati e dalle fonti iconografiche dell’epoca.

Antonio Rugolo: Nella Sonata di Ginastera viene utilizzato in tutto il 4° tempo il chasquido alternato al rasgueado, tecnica questa utilizzata dai chitarristi popolari sudamericani.

AAJI: Quali sono le tecniche interpretative che differenziano nettamente il repertorio classico da quello contemporaneo?

Elena Casoli: Il pensiero è diverso, la continuità del discorso musicale cambia, ma credo che in musica “nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma” e quindi anche nei pezzi che apparentemente sembrano più lontani dalla tradizione, ritrovo lavorando elementi comuni e il mio atteggiamento interpretativo non è poi così diverso.

Massimo Lonardi: Agli esecutori di musica antica è concessa una libertà interpretativa assai maggiore di quella lasciata agli strumentisti di musica classica. La realizzazione degli abbellimenti, l’improvvisazione delle fioriture con le quali si devono arricchire le ripetizioni e la realizzazione estemporanea della particolare forma di accompagnamento detta Basso Continuo, richiedono la partecipazione creativa dell’esecutore. In questo senso la musica antica ha molte affinità con il Jazz.

Lorenzo Micheli: Questa è una domanda molto complessa, e una risposta esauriente richiederebbe molto più spazio di quello che abbiamo a disposizione. In modo molto sintetico direi che gli estremi cronologici si toccano: il repertorio antico (quello barocco e anche, in misura minore, quello rinascimentale) offre al musicista spazi maggiori di libertà interpretativa, avvicinandosi in questo a certa musica dei nostri giorni (compresa la musica leggera). Viceversa, i periodi “centrali” della storia della musica colta occidentale - cioè il periodo classico e quello romantico - incanalano l’esecutore dentro binari interpretativi ben più definiti e precisi.

Antonio Rugolo: Sicuramente l’utilizzo di diversi effetti: percussioni, corde strisciate, percosse, strappate ecc.

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IL JAZZ

AAJI: Volevo sapere cosa ne pensi del jazz, se lo ascolti abitualmente, se conosci celebri chitarristi e quali in particolare sono interessanti per il tipo di musica che abitualmente suoni.

Elena Casoli: Non è stata una passione giovanile - erano anni in cui ero completamente assorbita dal repertorio classico - ma un interesse che è cresciuto nel tempo, parallelamente a quello per la ricerca, grazie a nuovi incontri, agli amici, ai compositori stessi che mi hanno avvicinato a questa musica. Ora la ascolto spesso, mi attrae la qualità del pensiero musicale, delle strutture compositive, il diverso modo che hanno i musicisti jazz di dialogare e di suonare insieme. Proprio ieri sera ascoltavo una registrazione del Festival Jazz di Monterey del ‘75 con interpreti straordinari, da Dizzy Gillespie al Paul Desmond Quartet a Bill Evans: virtuosismo, energia e cantabilità di qualità straordinaria. Tra i chitarristi mi piace ascoltare Joe Pass, Fred Frith, Bill Frisell, Terje Rypdal e Ralph Towner, con il quale abbiamo condiviso lo spazio di un concerto al Festival To Sting del 2002 a Milano.

Massimo Lonardi: Ho sempre amato il jazz e lo ascolto abitualmente. Prediligo lo stile modale degli anni ‘50-‘60 (il Miles Davis di Kind of Blue) e apprezzo molto alcuni musicisti italiani di oggi come Rava e Bollani. Fra i chitarristi jazz ho molto amato Wes Montgomery per il suono caldo e pulito e per lo stile intimista. Come sappiamo questo grande chitarrista suonava senza il plettro, utilizzando soprattutto il pollice e l’indice, come del resto fanno molti chitarristi blues, con una prassi esecutiva inconsapevolmente simile a quella del liuto.

Matteo Mela: Credo di aver già in parte risposto precedentemente a questa domanda, amo molto il jazz e numerosi jazzisti hanno influenzato il mio modo di fare musica.

Antonio Rugolo: Apprezzo molto il jazz e la maestria di chi lo vive con fantasia e professionalità. Ho diversi dischi di Pat Metheny e George Benson che sono i miei preferiti insieme a Stevie Ray Vaughan grande bluesman, Mark Knopfler che ha un modo di suonare e di sviluppare i fraseggi da fare invidia ai migliori chitarristi classici, e molti altri.

AAJI: Quali sono gli eventuali limiti o viceversa potenzialità espressive che vede nel jazz rispetto alla musica classica?

Elena Casoli: Più che limiti o potenzialità, spero in sempre più frequenti contatti tra la mia esperienza musicale e il jazz. Mi interessa molto lavorare con jazzisti: quando mi sono trovata anni fa sul palco a Bologna in un ensemble variegato tra cui c'era anche David Mos è stato per me un modo nuovo e diverso di fare musica, di usare la mia ricerca anche in ambito improvvisativo. Ho suonato il concerto di Morricone per chitarra, marimba e orchestra con Andrea Dulbecco e alcuni dei compositori con cui lavoro, come Walter Prati, sono anche jazzisti. Molti dei pezzi che sono stati scritti per la mia chitarra elettrica sono influenzati da ascolti ed esperienze jazzistiche. Anche l’Ecole Superieur des Arts di Berna dove insegno ha un dipartimento di musica jazz molto attivo con il quale si stanno sviluppando interdisciplinarietà e collaborazioni.

Massimo Lonardi: Credo che la musica jazz abbia ancora grandi potenzialità espressive. La più interessante mi sembra sia costituita dall’assenza di frattura fra esecutore e compositore che purtroppo ha caratterizzato gran parte della musica contemporanea cosiddetta colta. Nel jazz, grazie all’improvvisazione ogni esecutore è anche compositore, e questo è un vantaggio enorme che evita assurde astrazioni e che caratterizza anche la musica antica. I grandi compositori del passato erano quasi sempre provetti esecutori e improvvisatori.

Matteo Mela (foto a lato): Credo che i limiti espressivi e non siano solo nel musicista e non nel tipo di musica; ci sono jazzisti che credono di improvvisare e ripetono in maniera scontata dei pattern sentiti e risentiti così come musicisti classici che riescono ad addormentare intere platee con una magnifica sonata di Beethoven, altri invece possono farci vivere momenti indimenticabili con l’uno o con l’altro stile musicale.

Lorenzo Micheli: Quello che i musicisti classici ammirano e invidiano al jazz è la libertà: una libertà, quella di chi è svincolato dal rispetto sacrale verso il testo musicale, che, naturalmente, è tale solo perché si muove entro regole (armoniche, ritmiche, sonore) ben definite. E poi c’è il rapporto con lo strumento (o con la voce), che nei jazzisti diviene una semplice estensione della mente: il gesto musicale si realizza in tempo reale, con una naturalezza stupefacente. Quante volte, invece, si ha l’impressione che tra gli interpreti di musica classica e il loro strumento ci sia un filtro invisibile, un distacco, una barriera di condizionamenti? Io suggerisco sempre ai miei allievi di improvvisare, di inventare, di lanciarsi nell’esplorazione senza vincoli della tastiera: solo così potranno acquisire quella confidenza e quella simbiosi con lo strumento che, ripeto, tanto spesso ammiro nei jazzisti.

Antonio Rugolo: Sono mondi e vite diverse, entrambi belli ed affascinanti.

AAJI: Quale significato ha l’improvvisazione nella tua ricerca? In un repertorio come quello per chitarra è un elemento importante?

Elena Casoli: Proprio perché non ho un background jazzistico, nella mia esperienza, l’improvvisazione intesa come invenzione ed elaborazione di pensiero e strutture musicali appartiene ai compositori, mentre mio è lo spazio improvvisativo nell'interpretazione, alla ricerca di suscitare, dai segni che sono sulla carta, emozioni e comunicazione con il pubblico. Per questo mi piace mentre suono in concerto “leggere” le partiture e trarne ispirazione continua e mutevole. Ma i compositori stessi a volte lasciano spazi d'improvvisazione, di alea con grafismi e zone bianche sulla partitura e così, una volta che ho fatto mio il loro immaginario, posso improvvisare una musica che non vuole essere scritta.

Massimo Lonardi: L’improvvisazione è una delle caratteristiche della musica rinascimentale e barocca. Verso la metà del ‘500 Diego Ortiz pubblicò a Roma uno dei primi metodi di improvvisazione: il Tratado de glosas, nel quale insegna ad improvvisare su schemi armonici prestabiliti quali il Pass’e Mezzo, la Follia o la Gamba, che avevano una funzione analoga a quella che hanno gli standard nel jazz.

Antonio Rugolo: L’improvvisazione è uno spazio che lascio ai momenti di solitudine nel mio studio, quando sono troppo stanco per lavorare. Credo che saper improvvisare è una ricchezza in più che aiuterebbe qualsiasi musicista. Certo per un chitarrista classico non è un elemento indispensabile, ma utile. Ritorna all'indice


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