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Ghostpoet a JazzMI 2019
JazzMI 2019
Santeria Toscana 31
Milano
9.11.2019
JazzMI è un festival dai molti meriti. Giunto alla sua quarta edizione, ogni autunno per un mese trasforma Milano nella capitale italiana del jazz, con un'offerta in grado di intercettare tanto la curiosità dei neofitialle prese con i primi strani sapori che la musica jazz può riservare a chi è in cerca di musica "altra", quanto le esplorazioni di chi, proveniente da ascolti più stratificati, guarda a JazzMI per una proposta più sofisticata e attenta a quanto in Europa e oltre Oceano sta accadendo.
Va però ricordato anche un terzo grande pregio di JazzMI, fra l'altro molto in sintonia con le pagine del sito che state leggendo: non intendere mai il jazz come un'ortodossia, una torre d'avorio, un rifugio per appassionati intenti a tracciare sulla carta linee nette di demarcazione. JazzMI ama piuttosto perdersi e farlo insieme al pubblico che popola i quasi 200 eventi organizzati in 30 giorni di concerti, incontri e presentazioni. Insomma, abbandonare ogni tipo di bussola per stupirsi ancora. Navigare osservando le stelle per non perdersi niente del panorama che affiora, anche di notte, tutto attorno. Buona musica come unica coordinata, con buona pace dei puristi.
Ed è con questo spirito che nell'edizione 2019 troviamo un artista come Ghostpoet spuntare accanto a nomi più in linea con il "senso comune del jazz" (basterà citare tre mostri sacri come Archie Shepp, John McLaughlin ed Herbie Hancock.
Esploso dalla ribollente scena britannica nel 2013 con il secondo album Some Say I So I Say Light, talvolta associato al trip-hop, il trentaseienne Obaro Ejimiwe liquidò un paio di anni fa ogni disputa di genere con una considerazione secca: "Perché è così importante per me far parte di un genere predeterminato con i suoi parametri e le sue regole? Sono solo un artista che sperimenta suoni e ama le chitarre. Va bene essere confusi, non tutto nella vita ha bisogno di spiegazioni, a volte dobbiamo solo lasciarci andare." E così è.
A Milano il set si apre con l'introduzione rumoristica di "Many Moods at Midnight," dall'ultimo album, prima tessera di un mosaico sonoro composto da una voce che alterna brandelli di melodia a una sorta di spoken squadrato e indolente. Sotto, strisciano suoni sghembi, oscuri e ruvidi, chitarre affilatissime che calano grappoli di accordi acidi, ritmiche che qua e là si fanno davvero jazzy. Dietro l'angolo, una parentela con certe fumose esperienze elettroniche inglesi, ma il gioco dei rimandi risulta davvero sterile, perché oggi Ghostpoet suona semplicemente come Ghostpoet, trovando dal vivo, nei suoni del suo set, lo stesso equilibrio di cui è pervaso il più recente Dark Days + Canapés, l'album del 2017 che al meglio ha coniugato le istanze dei primi lavori con lo slittamento del punto di osservazione di Obaro.
Passano lente le stazioni di "Better not Butter," ""Live>Leave," "Karoshi," "Trouble + Me," "Blind as a Bat," "Immigrant Boogie," mentre appeso al microfono Ghostpoet si presenta come il cantore dark di un paesaggio metropolitano paranoide e talvolta distopico (il climax è nella conclusiva "Freak Show"). Rarissimi i ritornelli in cui la melodia riprende quota, facendo respirare un corpus musicale sinuoso, circolare e narcotico, e puntellato da impressionanti crescendo insieme a una tensione narrativa che non fa cedere mai la tensione di uno dei concerti più intensi visti nel 2019.
Nella voce e nei suoni di Ghostpoet c'è la mappa di un mondo inquietante, nel quale sappiamo di essere già intrappolati. Sul palco della Santeria abbiamo trovato un altare laico sul quale bruciare ogni paura, e forse guardare oltre, ma non prima di aver elencato ogni follia dei nostri giorni. Lecito chiedersi se prima o poi un raggio di sole farà irruzione nella musica di Ghostpoet. E chissà quali sorprese ci potrebbe riservare.
Foto: Luca Muchetti.
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