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Franco D'Andrea Three
ByIn una serata freddissima che penalizza l'affluenza del pubblico, di scena sul palco del Pinocchio di Firenze una delle due formazioni stabili con le quali il pianista Franco D'Andrea porta avanti la sua ricerca musicale, tutt'altro che frenato dai settant'anni compiuti lo scorso anno: il trio con i fiati di Daniele D'Agaro, clarinetto, e Mauro Ottolini, trombone. Lo spettacolo ha anche coinciso con la presentazione dell'ultimo CD a firma del pianista - il doppio Traditions and Clusters, edito da El Gallo Rojo - nel quale è per la prima volta documentato anche il suo lavoro con D'Agaro e Ottolini, sebbene affiancati dalla batteria di Han Bennink.
La formazione si muove esplicitamente a partire dalla tradizione, trascendendola però costantemente. Lo si comprende bene fin dall'avvio, con un assolo di D'Agaro che introduce una rilettura cameristica della tradizione New Orleans. E lo si gusta nel prosieguo, ove spunti da Tristano, Ellington, Monk vengono presi, rielaborati, fatti sparire dentro improvvisazioni più astratte - che ricordano ora Giuffre, ora la ricerca contemporanea - per poi riapparire qua e là, ormai inattesi.
Rispetto agli esordi del gruppo, un paio di anni orsono, c'è maggiore libertà e i brani sono presentati isolatamente e in modo più conciso, invece che in suite composite. Curioso e divertente il rapporto tra D'Agaro e Ottolini, più estroversi del come sempre impeccabilmente composto pianista, e per questo complici quasi due ragazzini intimoriti dalla presenza del Maestro - ma non per questo timidi o reticenti una volta sospinti nella musica.
Dopo un primo set relativamente breve, segnato da una spettacolosa versione di "Misterioso," è seguito un lunghissimo secondo set, nel quale ha ancor più dominato il blues - d'altronde materiale presente nel codice genetico di una formazione basata su piano, clarinetto e trombone.
Poco da dire sui protagonisti, tutti agli apici dei rispettivi strumenti e in serata assolutamente di grazia. Una parola invece sui suoni: splendidi, probabilmente perché il contrasto tra i due fiati è da un lato tradizionale, dall'altro timbricamente ottimale, e gli arrangiamenti di D'Andrea sono in grado di renderli al meglio.
Resta solo - come impressione personale e alla lunga - una leggera sensazione di freddezza, per quanto elaborata e raffinata. Una sensazione che svanisce nel citato CD e che qui si scioglie solo quando i musicisti si lanciano nelle improvvisazioni più viscerali. Ma, forse, proprio questo è il tratto caratteristico di una musica che smonta e rimonta, con sottile perizia, materiali noti fino a restituirli come inauditi.
Foto, di repertorio, di Claudio Casanova.
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