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Dolomiti Ski Jazz – XIII Edizione

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Val di Fiemme, 13.03-20.03.2010

Seconda edizione del Dolomiti Ski Jazz, in realtà tredicesima se si contano anche le edizioni svoltesi sotto l'insegna di Fiemme Ski Jazz. Il cambio di nome, introdotto lo scorso anno, voleva sottolineare il desiderio di coinvolgere nella manifestazione anche le valli limitrofe. Ma l'Italia è il Paese dei mille campanili. I localismi, forse anche la crisi economica, hanno prevalso sulla buona progettualità. Del Dolomiti Ski Jazz, quest'anno, è rimasto solo il nome. I luoghi sono tornati ad essere esclusivamente quelli della Val di Fiemme. Minimo, se non nullo, il danno per questa valle, che comunque ha avuto i suoi otto giorni di festival. Un'opportunità persa per le altre valli, che avrebbero indubbiamente beneficiato dell'esperienza sviluppata nel corso degli anni dall'ex-Fiemme Ski Jazz in termini di coinvolgimento del territorio (concerti nei teatri, nei rifugi, jam- session nei pub, attività didattica nelle scuole) e delle sue realtà produttive (molti sponsor della manifestazione sono locali). Ma veniamo alla musica.

Il piatto forte dell'edizione di quest'anno era costituito dai concerti di Greg Osby e Gary Thomas, ovvero le colonne portanti, insieme a Steve Coleman, del collettivo M-Base (Macro-Basic Array of Structured Extemporization), una delle realtà più interessanti emerse sulla scena jazzistica internazionale negli anni '80. Sulla carta, un'ottima occasione per verificare l'evoluzione dei due sassofonisti (Gary Thomas, in particolare, suona raramente in Italia), e l'eredità lasciata dall'esperienza M-Base sulla loro musica attuale. Entrambi i musicisti, però, hanno purtroppo dato vita a concerti non entusiasmanti.

Il quintetto di Greg Osby (Nir Felder alla chitarra, Frank Locrasto al piano, Joseph Lepore al contrabbasso, John Davis alla batteria) ha proposto una musica oscillante come un pendolo tra standard e composizioni originali tese verso la contemporaneità. Operazione che avrebbe potuto essere intrigante se ci fosse stata reale interazione tra i diversi mondi musicali. Se gli standard fossero stati presi a pretesto per espandere la musica lungo molteplici direzioni. Ma, a parte un'avventurosa versione di "In a Sentimental Mood," il quintetto si è limitato ad allineare in sequenza i brani ed i diversi linguaggi, senza tentare alcuna sintesi di rilievo. Un concerto piacevole, ma senza cuore.

Considerazioni analoghe, mutatis mutandis, si possono fare anche per il quartetto di Gary Thomas (Paul Bollenback alla chitarra, Ed Howard al contrabbasso, John Arnold alla batteria). Diversa la musica. Qui era post-bop. A tratti angoloso, più spesso muscolare. Identica la sensazione di assistere ad un concerto in cui manca l'ingrediente principale: la sincera adesione e partecipazione dei musicisti a quanto stanno suonando.

Insomma, pur concedendo ad Osby e Thomas ogni possibile attenuante (le serate storte capitano a tutti), i due eroi del fu M-Base sono apparsi stanchi. La grinta, la coerenza progettuale, l'ostica spigolosità che avevamo ammirato negli anni '80 e '90, hanno ceduto il passo alla routine. I loro sax non graffiano, si defilano, raccolgono pochi applausi, cedono la leadership alle chitarre. Vorticose e pirotecniche. Capaci di strappare consensi sulla breve durata, ma prolisse e dal fiato corto.

Se i cosiddetti big americani hanno deluso, buone notizie sono invece arrivate dal fronte dei giovani italiani.

Il Lorenzo Frizzera Trio (Matthias Eichorn al contrabbasso, Heiko Jung alla batteria) ha dato vita ad un ottimo concerto, il migliore cui abbiamo assistito nel corso di questo festival. La scrittura e lo stile strumentale di Frizzera sono un cocktail in cui si avverte la presenza di tutti i grandi chitarristi di ieri e di oggi (Wes Montgomery, Jim Hall, Bill Frisell, John Scofield, Pat Metheny), mixati nelle giuste dosi. La sua musica si muove, come è giusto che sia per un musicista giovane, in una terra di confine. Frizzera la esplora seguendo una strada personale, che ha nel jazz il suo elemento principale ma non esclusivo. I brani sono energici. La scrittura è diretta ed immediata, un filo estetizzante nei brani per chitarra acustica (attenzione all'effetto Ralph Towner!), asciutta ed efficace nei brani per l'elettrica. Ottimo l'equilibrio complessivo del trio, con il contrabbasso di Eichorn che spesso porta la melodia, e la batteria di Jung che si muove in modo preciso e fantasioso.

Ci è piaciuto molto anche il quartetto del diciassettenne pianista Alessandro Lanzoni (Gabriele Evangelista al contrabbasso, Tommaso Cappellato alla batteria, Francesco Bigoni al sax tenore). La band si è esibita in un rifugio sulle piste da sci, all'ora di pranzo. E dunque doveva proporre una musica che restasse nei limiti dell'intrattenimento. Attingendo a piene mani dal Real Book, e pur inserendo in scaletta solo un paio di brani originali, il quartetto è comunque riuscito a focalizzare lo sviluppo del concerto verso un linguaggio contemporaneo e pieno di aperture. Speriamo di riascoltare a breve questa giovane e promettente band, alle prese con composizioni originali. Le potenzialità (tecniche, espressive, di crescita) ci sono tutte.

Buono anche il quartetto di Luigi Grasso (Pasquale Grasso alla chitarra, Luca Pisani al contrabbasso, Oreste Soldano alla batteria), sassofonista con notevole padronanza dello strumento e del linguaggio jazzistico, sia pure in un ambito che guarda solo al passato (l'immediato dopoguerra), e che pertanto non rientra nei nostri preferiti.

Nella seconda parte del festival, cui non abbiamo assistito, c'erano in programma il quartetto di Bob Sheppard, il Malastrana Quartet, il Clarinet Summit di Gianni Saint Just e Alfredo Ferrario, ed il quintetto "Italian Jazz Messengers" del batterista Gianni Cazzola. Anche quest'ultimo concerto, un'ottima occasione per ascoltare giovani musicisti di grande talento: Emiliano Vernizzi al sax, Humberto Amesquita al trombone, Simone Daclon al pianoforte, Roberto Piccolo al contrabbasso.

Foto di Luciano Rossetti.

Ulteriori immagini di questo festival sono disponibili nelle gallerie dedicate ai concerti di Alessandro Lanzoni e Greg Osby.


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