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Craig Taborn
Auditorium "Fabrizio de Andrè" - Castelverde (CR) - 03.03.2010
All'interno del cartellone stellare del Festival di Saalfelden del 2008 (Dave Douglas, Tim Berne, Wadada Leo Smith, Dave Holland e molti altri) trovava posto un gruppo con molto meno blasone dei precedenti ma protagonista del miglior concerto in assoluto della rassegna. Junk Magic il nome del quintetto elettroacustico, e Craig Taborn la mente e leader indiscusso, autore di una musica visionaria, senza confini, profondamente pensata ma assolutamente libera, svincolata da generi e stili, decisamente proiettata nel futuro.
La possibilità di assistere, presso l'auditorium del centro Agorà di Castelverde, ad una sua esibizione in piano solo (per nulla frequente nei circuiti attuali) era occasione ghiotta, imperdibile per verificare le qualità del musicista di Minneapolis. E Taborn, con un concerto strepitoso, si è confermato come una delle realtà più cristalline e meno classificabili della musica improvvisata contemporanea.
Il lungo brano d'apertura è uno studio, una ricerca in tempo reale sul suono e sul silenzio, attraverso un corteggiamento del pianoforte che richiede assoluto abbandono fisico e mentale. Muscoli e pensieri si intrecciano in una danza tormentata nella quale i pianissimi, quasi impercettibili, riflettono una ricchezza impensabile e i silenzi diventano a loro volta elemento melodioso e risonante. Chopin incontra Cage si potrebbe chiosare, ma è un riferimento oltremodo riduttivo perché l'approccio pianistico di Taborn è assolutamente unico, personale.
Il suo è un approccio dove i tradizionali concetti di ritmo, melodia e armonia sono stravolti mentre vengono attivati i più diversi processi creativi della contemporaneità, tra i quali il jazz è solo uno dei codici utilizzati. Ma Taborn ha nel DNA profonde radici afroamericane; così a momenti rarefatti e contemplativi alterna un pianismo fortemente ritmico e percussivo, dalle venature blues, che la straordinaria indipendenza di mani rende fluido e armonioso. In Taborn musica celestiale e musica del diavolo si sposano con molta naturalezza, e trovano profonda vicendevole ragion d'essere. Ma quello che conta soprattutto è che il musicista nordamericano conferma di pensare ed eseguire una musica senza uguali nell'attuale panorama pianistico.
In apertura di serata ha fatto gli onori di caso "Vision of New York," foto- documentario realizzato dal noto fotografo Luciano Rossetti durante il Vision Festival 2007, montato con ritmo sincopato, frenetico a tratti allucinato. Musicisti, strumenti, prove, back-stage, persone, edifici, strade, volti, skyline, periferie, scorrono velocemente sullo schermo ma rimangono impressi nella memoria dello spettatore grazie ha una forza intrinseca debordante, carichi di un messaggio di umanità e di speranza che la musica libera e struggente di Sabir Mateen rafforza in modo appropriato.
Foto di Danilo Codazzi.
Ulteriori immagini di questo concerto sono disponibili nella galleria immagini.
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