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Craig Harris God's Trombones
ByTeatro Manzoni - Milano - 14.12.2008
Nel corso della sua trentennale carriera, Craig Harris ha avuto numerose collaborazioni con esponenti di spicco delle migliori avanguardie. Non conoscendo il progetto God's Trombone, qui alla sua prima europea, ci siamo avvicinati a questo concerto con molta curiosità.
Le premesse, sulla carta, erano ottime. Un lavoro ispirato alle shout band, sui testi di "God’s Trombones: Sermons in Verse" di James Weldon Johnson, una delle figure di riferimento della Harlem Renaissance, sembrava più che promettente. Un'occasione per ripercorrere la storia della musica (e, perché no?, di tutta la cultura) nero-americana del novecento. Una sorta di ideale prosecuzione del concerto dei Chicago 12 di Ernest Dawkins, che questa rassegna aveva presentato a fine ottobre. Se allora la chiave di lettura era costituita dalle lotte per i diritti civili e politici, qui la chiave di lettura sarebbe stata, pensavamo, un certo tipo di religione e di (spi)ritualità.
A posteriori, questo di Craig Harris si è però rivelato più uno spettacolo che un concerto.
Con tutto quello che, nel bene e nel male, ne consegue. C'è attenzione all'aspetto coreografico della performance. Abiti di scena, luci, gestualità. Tutto molto curato. E questo, nel jazz, è cosa rara. D'altro canto, c'è un eccesso di struttura che riduce al minimo le improvvisazioni, di cui peraltro si fa carico quasi esclusivamente Harris. E c'è un utilizzo sporadico, ma percepibile, di mezzucci volti a strappare l'applauso. Frasi reiterate, un assolo di batteria di fattura grossolana, stacchi e pause improvvise. Spettacolo, appunto.
Forzando un po' la mano, si potrebbe dire che vengono in mente certi show che il turista sprovveduto in gita a New York si immagina di trovare nelle chiese di Harlem come espressione "tipica" della cultura religiosa locale. Non è così, naturalmente, perché il livello esecutivo è elevatissimo, le voci (Gina Breedlove, Kevin Anthony, LaTanya Hall e Trent Kendall) davvero eccellenti, la musica a tratti travolgente. Ma è indubbio che un po' di delusione rimane. La scrittura di Harris è qui molto semplice, troppo semplice. Ripropone stilemi consolidati, come forse è giusto che sia, senza però curarsi diinterpretarli, di attualizzarli con guizzi innovativi. Ed il formidabile organico a disposizione del leader è ampiamente sotto-utilizzato. Curtis Fowlkes, Gary Valente, Bob Stewart, Joe Daley... che sofferenza vederli ridotti a trombonisti di fila, non poterli ascoltare in torride volate solistiche!
Poco più di un ottimo "Concerto di Natale".
Foto di Roberto Cifarelli.
Ulteriori immagini di questo concerto sono disponibili nella galleria immagini.
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