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Alessandro Galati Sextet - The Wheeler Variations
Prato
17.08.15
Firmato dal pianista Alessandro Galati, che ce ne parlava già in un'intervista di qualche tempo fa, The Wheeler Variations nasce poco dopo la scomparsa del grande trombettista canadese Kenny Wheeler, come memoria e omaggio ad opera di musicisti che lo avevano conosciuto e apprezzato lavorandovi a fianco: oltre a Galati, i sassofonisti Stan Sulzmann, che fece a lungo parte del suo sestetto, e Stefano "Cocco" Cantini, il contrabbassista Ares Tavolazzi e il batterista Enzo Zirilli. A completare la formazione la giovane vocalist Simona Severini. Il progetto, tuttavia, di Wheeler non riprende la musica, tutta della penna del pianista fiorentino, quanto piuttosto l'ispirazione.
Il lavoro è andato in scena quasi in anteprima nel corso di Prato Estate e si struttura come una suite su quattro quadriintitolati ciascuno con una frazione del nome e cognome del trombettista -separati però da "intervalli" nei quali i membri della formazione si esprimono in duo o in solitudine, dando vita a situazioni diverse, più libere e individualizzate rispetto a quelle della suite, scritta e coesa ancorché tesa a valorizzare le qualità dei singoli.
Il primo quadro, "Ken," si è aperto con una narrazione cantata da Simona Severini, scandita dagli assolo dei sax e del piano. Vi spiccavano le differenze interpretative di Cantini, più melodico e agile, e Sulzmann, viceversa più scabro e aggressivo. Un duetto dei fiati, vero pirotecnico pezzo di bravura, fungeva poi da introduzione a un intervallo ballad style, condotto in trio piano-basso-batteria, nel quale emergeva prepotentemente Ares Tavolazzi.
Il secondo quadro della suite, "Ny," era di nuovo introdotto dalla voce, poi sviluppato dal tenore di Sulzmann, quindi "tagliato" da un ritornello corale nel quale ance e voce procedevano all'unisono, infine coronato da un solo del soprano di Cantini, prima dinamico e poi evocativo.
Un assolo della batteria di Zirilli e una deliziosa improvvisazione tra tenore e voce precedevano il terzo quadro, "Wheel," come gli altri introdotto dalla voce: fondamentalmente lirico, meditativo e scuro, prendeva però tensione con l'assolo del soprano e la conservava con quella del piano, fino alla risoluzione con reingresso corale delle ance e della voce.
Il terzo intervallo era un'improvvisazione tra piano, voce e soprano, evocativa e frammentata, ma pervasa di malinconico lirismo.
All'altezza delle attese dettate dai primi quadri la conclusione della suite, "Er," che riprendeva la struttura delle parti precedenti allargando gli spazi a disposizione dei singoli e terminando in un doppio finale, con piano e batteria che duettavano in una sorta di pacata conclusione, poi con la ripresa del tema da parte di voce e ance, in un finale più catartico.
Il concerto -che si è poi concluso con un bis dal songbook di Wheeler, "Everybody's Song but My Own" -ha riscossto giustamente un forte apprezzamento da parte del pubblico: suggestive, ma soprattutto di grande spessore strutturale le musiche; ben architettati i suoni, con le due ance complementari anche per le differenze interpretative e la voce, inattesa, a svolgere un ruolo atipico e originale; intelligentemente scandita l'esecuzione, con i sipari tra le parti che, interrompendone il procedere narrativo, ne evidenziavano la complessità esaltando al contempo il ruolo dei solisti. Poco da dire sui musicisti, tutti di ben nota levatura, se non per la giovane cantante, già apprezzata per la versatilità ma che ha davvero stupito per qualità vocali e interpretative, in un ruolo come detto assai particolare, un canto tra jazz e classica difficile da etichettare ma certo anche da interpretare in modo plausibile, cosa invece a lei riuscita benissimo.
Il progetto è già stato registrato e dovrebbe presto uscire su CD come allegato alla rivista Musica Jazz.
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