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People Band: 69/70
ByBen prima che i fratelli Sex Pistols prendessero a badilate il sistema, la People Band fu la prima vera band di istigazione all'anarchia musicale totale ed assoluta. Già nei primi Sessanta gente come Terry Day, Russel Hardy e Terry Holman giocava "duro" nei campi di allenamento del signor Albert Ayler. Fortemente co-influenzata dalle radicali ricerche sonore di Ornette Coleman, l'estetica formale di tutte le formazioni nelle quali tutti o uno solo dei tre nomi sopra riportati militava, declinava in prima istanza il pieno significato di spontanea libertà.
Tra i paradossi più divertenti dell'epoca si racconta anche quello per cui (dopo esserne stati co-fondatori) questi allegri signori vennero addirittura espulsi dal celebrato Anarchists Annual Ball per "troppa anarchia musicale". People Band è da sempre un open-group (e ci mancherebbe!) nel quale sono comunque transitati praticamente tutti i nomi dell'underground britannico che conta. Una sorta di laboratorio permanente aperto 24 ore su 24.
Per odio manifesto e/o baccano infernale, quando non riuscivano più a farsi ospitare al chiuso, non si perdevano d'animo e organizzavano inaudite live-sessions nel bel mezzo di un bosco. Sul secondo CD sono ben testimoniate - ad esempio - due "avventure silvestri" registrate nel Trent Park a nord di Londra.
Ma, a parte le ovvie retoriche considerazioni sarcastiche, questo materiale è da verificare con un'inevitabile quanto doveroso "british touch," lasciando al coraggioso ascoltatore il compito di mettersi alla ricerca delle filosofie che sorreggono il lavoro.
Caos, riporti umorali, rumore asservito, soluzioni para-ritmiche totalmente inaspettate, significati pseudo-rock, brevi lancinanti stralci di "regular music" dilaniati e rivoltati, contrasti sorprendenti e incredibile vitalità sonora, sono tutte parti fondamentali del patrimonio genetico di questa energetica banda. L'elevazione radicale è davvero totale e spesso sembrano tornare alla mente gli esperimenti timbrici delle scuole del profondo nord cresciute all'ombra di Grieg o dei minori sperimentatori di metà del secolo scorso vicini alle ricerche di Karl Heinz Stockhausen.
Questo doppio CD raccoglie parti registrate in studio e dal vivo, recuperando materiali inediti da Emanem attorno ai primi numeri di catalogo della propria importante storia. Musica "comune," capace di interagire con i suoni della natura o quelli lontani captati dai microfoni: si ascolti - ad esempio - la divertente lotta fra il rumore di un jet di passaggio nel cielo di Londra e il barrito del trombone di Mel Davis che - a mo' di elefante imbestialito - lo rincorre nello spazio scenico. Quando tutto sembra calmarsi, un altro passaggio di jet "risveglia" flauti, calrinetti e sassofoni, mentre Day colora la pergamena con atipico tessuto ritmico. Il tutto da vivere come uno splendido gioco elementare.
Il tutto entro quello che assomiglia davvero al caos primordiale. Affascinante laboratorio di ricerca, il risultato improvvisativo generale supera di gran lunga le aspettative usualmente correlate al suono free e corre veloce verso le strade della pazzia più nobile.
Credo sia fondamentalmente inutile analizzare le varie composizioni di questo lavoro. Risulta invece assolutamente importante annotare che la filosofia del gruppo è decisamente motivata da un senso di importante "instant composing," cosa che appunto alle band e ai musicisti inglesi, in quegli anni, riusciva come a nessun altro nello stesso modo. I concetti della più totale "open music" includono ogni possibile idioma e sono aperti ad ogni forma d'arte: musica, danza, pittura, poesia... non importa queste siano idee mutuate dal mondo accademico o da quello di strada. L'insegnamento iniziale è che tutto può divenire reale performance purché possieda un nascosto equilibrio fra l'artistica capacità soggettiva e il magmatico fluire del tempo. Anarchia magnetica e dirompente, praticamente parallela e mai tangente al coetaneo miele beatlesiano. Non solo per giocare.
Track Listing
1. Soho Studio 1; 2. Soho Studio 2; 3. Soho Studio 3; 4. Soho Studio 4; 5. Soho Studio 5; 6. Soho Studio 6; 7. Soho Studio 7; 8. Soho Studio 8; 9. The House of Music; 10. Paradiso; 11. In the Woods; 12. In the Woods Again.
Personnel
Mike Figgis: tromba (1-9), flicorno (1-9, 12), chitarra acustica (11, 12); Rose Widdison: clarinetto (1-8), penny whistle (12); Albert Kovitz: clarinetto e clarinetto basso (1-8, 10-12), piano (10), voce (11, 12); Davey Payne: sassofoni tenore, contralto e soprano, clarinetto basso (1-8), sax tenore e flauto (9, 11), sassofono contralto e soprano e shaker (10), sassofoni (12); Paul Jolly: sassofono tenore, contralto, soprano e clarinetto basso (1-8), sassofono tenore e baritono (9), sassofono contralto e clarinetto basso (10), sassofoni e clarinetto basso (11, 12); Michael O'Dwyer (Spoon): sassofono tenore (1-8); George Khan: sassofono baritono e tenore, flauto e chitarra elettrica (1-8), batteria, sassofoni e flauto (9, 11, 12); Mel Davis: piano, organo e trombone (1-8), voce, piano, piano preparato, violoncello e percussioni (9), trombone e voce (11, 12); Adam Hart: piano, organo e trombone (1-8); Terry Day: batteria, sassofono contralto e flauto di bamboo (1-8), batteria e percussioni (9), batteria (10), batteria, bamboo reed pipes e sassofono contralto (11, 12); Tony Edwards: batteria (1-9), percussioni (9), xylofono, congas, campane e shakers (11, 12); Eddie Edem: tromba e conga drums (9, 11, 12); Iain Jacobs: sassofono contralto (12); Butch Potter: basso elettrico (9); Terry Holman: sassofono baritono (11, 12); Charlie Hart: contrabbasso (11, 12); Russell Hardy: flauto, penny whistle e bamboo reed pipe (12); Lynn Dobson: flauto (12); Geoffrey Prowse: Thing-a-Phone mono corda con "corno esteso" (12); Ensemble completo: percussioni e voci (1-9), flauti, fischietti, shakers, percussioni varie e voci (11, 12).
Album information
Title: 69/70 | Year Released: 2009 | Record Label: Emanem
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