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Wayne Shorter: Without a Net
ByGià, dai tempi di... Native Dancer? Sì, lo so, era il 1974. Ma escludendo le comparsate e i Weather Report (sulle cui miserie e grandezze un giorno o l'altro bisognerà avviare una seria riflessione), non è che ci sia l'imbarazzo della scelta. Un po' perché nel mazzo ci sono poche carte da pescare: dieci i titoli pubblicati dal debutto su Columbia - Native Dancer, per l'appunto - ai giorni nostri (compreso il duo con Herbie Hancock, 1+1). E un po' perché, bisogna ammetterlo, non sono mancate le buche e le sbandate lungo la strada che dal Davis elettrico ha condotto il nostro a scalare le classifiche e guadagnarsi un'imprevista popolarità, disegnando una parabola artistica e umana che più di ogni altra sembra riassumere in sé le contraddizioni del quindicennio post-Bitches Brew. L'epoca del «rompete le righe!», della fusion in tutte le sue declinazioni e degenerazioni, dei supergruppi, delle colate di tastiere, delle major a caccia di galline dalle uova d'oro, delle grossolane contaminazioni, dei produttori di larghe vedute e delle loro presunte idee geniali. Schivo e introverso, Shorter l'ha attraversata oscillando tra un'imbarazzata passività e un orgoglioso distacco, alla perenne ricerca di un equilibrio trovato solo agli inizi del nuovo Millennio, quando è nato il quartetto che tutt'ora porta a spasso per il mondo.
Con Danilo Perez, John Patitucci e Brian Blade, il sassofonista di Newark ha fatto quello che solo i grandi possono permettersi di fare: un passo indietro, smarcarsi dalle contingenze e dalle necessità del divenire senza tramutarsi in fredda pietra. Al di fuori dello spazio e del tempo, Shorter indaga la propria "classicità," fedele a una poetica che, nei suoi tratti essenziali, era pressoché definita a metà degli anni Sessanta, quando dischi come Speak No Evil e brani come "Footprints" ne rivelarono le singolari doti di improvvisatore e compositore.
"Classicità" non significa però "rassegnazione". Without a Net è un disco inquieto, intenso, per certi versi lacerante. Prendete l'iniziale "Orbits," scritta per Miles Smiles quasi mezzo secolo fa: il quartetto si diverte a sottoporla a un restyling completo, spingendo sul pedale dell'intensità e lasciando al soprano il compito di punteggiare il breve sviluppo con frasi taglienti. Insomma, non c'è nulla di acquisito, di cristallizzato. Al contrario: le dinamiche sono tese fino allo spasmo, l'urgenza è palpabile, autentica. C'è di che emozionarsi. Come nei nove minuti scarsi di "Starry Night," marchiati a fuoco da un crescendo magistrale; o nell'oscura "Myrrh," squarciata dai bassi del pianoforte e dalle sciabolate del sax. Tutto suona vero, necessario. E il merito, oltre che della dimensione live - il disco è stato registrato durante il tour europeo del 2011 -, è dei giovani scudieri, che in dieci e più anni di militanza hanno raggiunto quel livello di empatia che consente di osare senza tradire. Footprints Live!, Alegria e Beyond the Sound Barrier, tutti usciti per la Verve dal 2002 in poi, avevano già alzato la posta. Ma qui siamo nell'esosfera.
Funziona persino la mastodontica "Pegasus" - unico brano catturato negli States -, mini-suite per nove strumenti: il quartetto più il quintetto Imani Winds, composto da soli fiati. L'avvio è un tantino ingessato, ma poi il brano decolla sulle ali di una baldanzosa leggerezza.
Bentornato a casa Wayne.
Track Listing
Orbits; Starry Night; S. S. Golden Mean; Plaza Real; Myrrh; Pegasus; Flying Down to Rio; Zero Gravity; UFO.
Personnel
Wayne Shorter
saxophoneWayne Shorter: tenor and soprano saxophones; Danilo Perez: piano; John Patitucci: bass; Brian Blade: drums.
Album information
Title: Without a Net | Year Released: 2013 | Record Label: Blue Note Records
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