Alternando in maniera molto svizzera (tre dei quattro musicisti coinvolti sono in effetti elvetici, con l'eccezione della sola Marlies Debacker, belga) brani per due pianoforti (i pari, con prefisso 2) ad altri con l'aggiunta di due batterie (brani dispari, prefisso 4), i primi in mani femminili, le seconde maschili, questo singolare quartetto ci regala un album di sicuro spessore concettuale e strutturale, molto ferreo, rigoroso, nel suo svolgersi ediremmonella cosiddetta "intenzione," lasciando peraltro libero sfogo all'inventiva di ciascun membro (soprattutto, va da sé, le due pianiste, presenti nell'intera ora di ascolto, ma tendenzialmente preponderanti anche negli episodi quartettistici), generando un flusso sonoro vitale e ispirato, posto nel solco della libera improvvisazione, di segno (tono, colore) molto europeo, tenendo conto di quanto accaduto nell'ultimo mezzo secolo abbondante di esplorazione del ramo specifico (l'incisione, per la cronaca, è del dicembre 2019).
La genesi che sta alla base del singolare organico è presto raccontata: dopo un concerto in coppia in quel di Colonia, Judith Wegmann e Marlies Debacker hanno deciso di proseguire il percorso insieme, aprendosi poco dopo al duo, attivo dal 2017, formato da Lukas Briner e Nicolas Wolf, il tutto convogliando i molteplici input delle rispettive formazioni (di stile, genere, approccio) in un discorso unitario all'interno del quale, ripetiamo, la simbiosi, l'interazione, fra le due pianiste rimane il principale motore. Dando vita, nello specifico, a un album di sicuro interesse, attraversato da sonorità e intersezioni ora più dense, fitte, anche nervose, ora più riflessive e rilasciate. Aspettiamo il seguito.
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Ecumenico ma (abbastanza) esclusivo, non sopporta la musica – e l’arte in generale – di routine, rassicurante e dozzinale, preferendo, se proprio deve, il brutto all’inutile. Un ideale spaccato dei suoi amori musicali (che non si limitano al jazz; e più o