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John Zorn: Six Litanies for Heliogabalus

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John Zorn: Six Litanies for Heliogabalus
Insipida questione deontologica: è lecito essere prevenuti nel momento in cui ci si trova a dover rendere conto di un’opera musicale?

Tentiamo una giustificazione - pardon, una risposta - altrettanto insipida, ma quanto meno coerente. Una delle tante possibili: quella valida qui e ora.

Sì, se si ritiene che verità e oggettività siano concetti (talvolta anche pericolosi) che l’uomo costruisce a proprio utile, e che varrebbe spesso la pena di osservare da differente prospettiva.

Sì, se si ritiene che ogni osservazione possa essere solo e unicamente individuale, indistinguibile dall’essere che la compie.

Trionfo del caos, dunque? Al contrario: trionfo della responsabilità, del valore e dello stupore. Perché nulla è più costruttivo della possibilità di veder infranta la propria presunzione.

È lecito allora essere prevenuti nei confronti di John Zorn, una di quelle figure che da sempre mietono di qua legioni di osannatori e di là nazioni di detrattori. È lecito anche essere prevenuti nei confronti di queste Six Litanies for Heliogabalus, ultima prova di un progetto che giunge dopo due incisioni che proprio non si è riusciti a digerire, con buona pace di quanti - e sono tanti - lo definiscono come la migliore produzione zorniana degli ultimi tempi (sic).

Moonchild e Astronome erano parsi entrambi un insulto al pubblico e alla creatività di Zorn. Di quei progetti che ciclicamente il compositore newyorkese licenzia con indubbia convinzione ma anche con la concreta conseguenza di fomentare il dubbio se non l’avversione verso la sua Opera.

Una ripresa anonima e noiosa di certa musica ‘pesante’ per nulla rivista alla luce di una qualsivoglia progettualità, nobilitata unicamente dal contributo dei musicisti coinvolti, limitati del resto ad un copione già scritto da altri e che tende a mostrare una trama ormai logora.

È pertanto con profondo sospetto - per tacere del fastidio - che ci si avvicina a queste litanie dedicate al controverso imperatore romano Elagabalo.

E invece, al ventitreesimo secondo della prima litania ci si trova a fronteggiare la sorpresa. Si tratta inizialmente di una lieve sfumatura, di un impercettibile slittamento dei tempi scanditi da Baron, delle figure ritagliate da Dunn, del piglio aggressivo ma ispirato di Patton... e soprattutto di suoni e figure che ancora non si erano uditi in questo progetto!

Procedendo con l’ascolto emerge poi sempre più chiara l’impressione che l’approccio di Zorn al progetto Moonchild sia decisamente maturato. La musica non è più monolitica come nelle due precedenti incisioni, ma guizzante e fantasiosa, impegnata in varie direzioni e sempre stimolante. Permangono gli stilemi tipici di certo heavy metal, ma riemerge qui al proposito una delle anime fondamentali dell’Opera zorniana: quel citazionismo intelligente e creativo che trasfigura i materiali assodati per dar vita a un universo personale e originale. L’inserimento dell’elettronica mimetica di Ike Mori, dell’organo virtuoso di Jamie Saft e di un raccolto e intrigante coro femminile, oltre alle rare incursioni urticanti del sax del compositore consegna alle Litanie un ampio spettro di possibilità sonore e performative che Zorn - finalmente! - non si trattiene dallo sfruttare a pieno.

Ne consegue che la musica suona, rispetto alle altre prove, decisamente più ‘composta’ e non semplicemente ‘suonata’.

Basterebbe forse questo per una generosa trasfusione di fiducia nell’immaginario ultimamente un poco spento del seguito zorniano.

Se non che queste Litanie si distinguono per qualcosa di più che non la semplice revitalizzazione di un progetto avviato a stento. Sembrano segnare piuttosto il ritorno alle cifre compositive per cui Zorn si distinse ormai decenni fa.

Ed è soprattutto la spiccata qualità narrativa di questa musica a dare respiro al progetto, recuperando certi stilemi delle file card compositions - con le loro strutture a scene cadenzate in base all’atmosfera - e il radicale ricorso al citazionismo postmoderno che stava alla base dell’epopea Naked City.

La violenza del progetto Moonchild si trasfigura qui in un affresco leggero e godibile. Il delicato incastro di contrasti in cui viene coinvolto l’elemento ironico del coro; la scrittura per apparentamento che crea spesso rimandi tra le sezioni, sulla base di una forzata ma sensata uniformità sonora (ad esempio, l’elettronica della Mori e la voce di Patton, responsabile unico del bestiario vocale della quarta litania); il dispiegamento delle possibilità espressive pur rimanendo all’interno di un ambito musicale ristretto come questo.

Decisamente Zorn torna, se non a stupire, almeno a intrattenere con gusto e intelligenza.

Track Listing

01. Litany I - 7:52; 02. Litany II - 7:01; 03. Litany III - 10:33; 04. Litany IV - 8:10; 05. Litany I - 4:27; 06. Litany VI - 6:16. Tutte le composizioni sono di John Zorn.

Personnel

Mike Patton (voce); Jamie Saft (organo); Ike Mori (elettronica); John Zorn (sax alto); Martha Cluver (voce); Abby Fischer (voce); Kirsten Sollek (voce); Trevor Dunn (basso elettrico); Joey Baron (batteria).

Album information

Title: Six Litanies for Heliogabalus | Year Released: 2007


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