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Rosario Bonaccorso, il viaggiatore

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Dobbiamo creare per esistere
Per Rosario Bonaccorso In cammino non è solo il titolo dell'album che lo vede leader del Travel Notes Quartet, è una sorta di condizione di vita, di concezione filosofica applicato alla propria musica, e viceversa. Lo abbiamo contattato per indagare un pensiero illuminato da una solida consapevolezza, scaturita da una altrettanto granitica carriera svolta suonando il contrabbasso con i muscoli e con il cuore.

All About Jazz Italia: Il tuo nuovo lavoro ha un titolo emblematico: In cammino. Da dove e verso dove?

Rosario Bonaccorso: Queso lavoro arriva dopo aver viaggiato a lungo con me e dentro di me, è un viaggio cominciato trenta anni fa, all'inizio della mia carriera, e proviene di conseguenza da ogni luogo che mi appartiene. Interiormente parlando, ho cercato una sintesi nel campo delle esperienze vissute dal mio modus umano e artistico. Leggere il futuro non è facile, penso che ancora una volta mi lascerò guidare dalle note, dai miei innamoramenti artistici, dalla fortuna e dalle scelte del pazzo destino, un po' come ho sempre fatto; del resto le scelte ci guidano in una direzione, bisogna coglierne il senso e partecipare.

In cammino è il proseguimento ideale del mio primo CD come leader Travel Notes, in cui ho cominciato a trasformare in musica i miei appunti di viaggio, creando fotografie e immagini musicali estratte da un percorso autobiografico e annotate nei miei viaggi e nelle mie esperienze di vita. In cammino va quindi nella direzione che mi ero prefissato, un serio impegno per continuare a registrare le mie composizioni. Questa musica è stata scritta negli ultimi tempi e mi ha accompagnato per tanto tempo "nella valigia dei miei viaggi".

Vorrei confermare lo stesso rituale per il prossimo CD. Ho già messo da parte un po' di note, tanta musica che riposa finchè non verrà il momento di portarla in studio di registrazione e di dare forma concreta alle idee, così come ho fatto per la musica dei primi due album. Questo procedimento la farà diventare nuova e fresca nel momento in cui prenderà luce e diventerà un suono su cui lavorare con creatività.

Il titolo del CD è un mio emblema, rappresenta l'idea di quel che sono, inoltre credo che il motto "in cammino" appartenga a tutti noi, in molti momenti della vita siamo, o dobbiamo essere, in cammino, e riferendomi a questo motto ne ho tratto una riflessione che impregna tutta la musica dell'ultima incisione: come il battito del cuore, che passa inosservato perché fa parte della vita fisiologica di ciascuno, anche il cammino interiore di un uomo a volte passa per lungo tempo inosservato, fino all'attimo in cui ci si ferma e si vede quanta strada è stata percorsa, poca o tanta che sia stata è sicuramente la strada necessaria per il processo di crescita interiore ed esteriore.

AAJ: L'album è composto da soli brani originali.

R.B.: Come ben noto, ogni musicista di jazz è abituato a portare in musica le proprie visioni personali, questo è esattamnte il ruolo per cui siamo chiamati a suonare la musica jazz, non siamo solo esecutori, dobbiamo creare per esistere. Ognuno di noi è unico proprio per la personalità che lo contraddistingue nel mettere in musica le proprie visioni. Quando finalmente è venuto il momento di impegnarmi per costruire la mia musica non poteva certo essere diverso, anzi non vedevo l'ora che questa scintilla creativa diventasse una vera fiamma. Devo confessare che più che voglia di mettere in musica sensazioni e visioni personali è stata una esigenza, anzi forti esigenze interiori, divenute tali ancor più a cinquant'anni d'età e dopo aver suonato per trent'anni al fianco di tanti grandi artisti con i quali ho calcato centinaia e centinaia di palcoscenici, elaborando con loro un processo di condivisione musicale, interpretando le loro musiche al meglio delle mie possibilità e preparando il campo per la semina delle mie idee musicali. Da quando sento forte in me la richiesta espressiva di creare il mio gruppo e di rendere palpabili le mie creazione artistiche la strada non poteva essere che questa, incidere i miei brani originali e mettere in musica le mie visioni, queste sono le mie forti esigenze del momento.

AAJ: Qual è il brano che riassume meglio il concetto di movimento?

R.B.: Vorrei fare una breve premessa che riguarda la mia personale visione del significato di "movimento," parola insita nel titolo del CD che per me ha tanta importanza. Nella mia natura questo è un punto importante, sono nato sotto il segno del Sagittario che per definizione ha il viaggio "incorporato" nel DNA. Già all'età di tre anni vivo il primo grande movimento che è stato forse più uno spostamento radicale, con la mia famiglia, dalla Sicilia alla Liguria, dal mio vulcano Etna fino a Imperia; poi l'adolescenza, il desiderio di cambiare e di mettersi in movimento (da dentro) verso nuovi sogni, la decisione di diventare musicista e non trovando interlocutori adeguati cercare una dimensione appropriata; e così da Imperia cominciare a spostarsi verso altre città per cercare e, solo a volte, trovare il suono del jazz. Più tardi, diventato professionista, ecco ancora il rinnovato muoversi per i viaggi delle tournèe incontrando le difficoltà e i piaceri di essere artista, la meditazione dei lunghi viaggi, imparare a vivere con i compagni di viaggio, imparare a muoversi dentro nell'anima a volte restando incollato a una sedia.

Ora torno a rispondere alla tua domanda. Vista la mia natura, il movimento non può avere solo un aspetto. I brani che in questo CD rappresentano a mio modo il movimento sono parecchi, ma ora ne cito solo due, e assai diversi tra di loro, gli altri tipi di movimento saranno individuati dagli ascoltatori, sono sicuro che ognuno saprà cogliere il proprio "cammino". Il primo è "Equivoci," che parte da una melodia all'unisono tromba-basso, lento e arcaico, da qui senza darci dei limiti abbiamo cominciato a provocarci ritmicamete e armonicamente, quasi volessimo ricreare un viaggio attraverso le nostre storie personali nel jazz, una sintesi delle nostre esperienze in una interazione continua, accelerazioni, rallentando, momenti in solo, momenti di libertà, dal sapore tradizionale, citando Mingus, pensando anche a Count Basie, ma anche a Wynton Marsalis, il tutto tra momenti di attesa alternati a una forsennata frenesia di contrasti, che ci portano da un contesto tradizionale a un approccio esplosivo, collettivo e anche solitario. L'altro tipo di movimento è più interiore e riflessivo, si intitola "in Cammino"; ecco, in questo brano mi sento come "seduto," seduto dentro di me e vedo la vita scorrermi a fianco, con il suo andare meditativo e quasi ipnotico da cui mi faccio trasportare lasciandomi catturare dal movimento ritmico e della sua morbida melodia, fra l'altro quello che dico ora è esattamente quel che ho spiegato al gruppo per ottenere da loro il suono che si sente.

AAJ: Nelle note di presentazione del disco si legge che le tracce sono nate da un processo spirituale e di meditazione. C'è in questo una pratica specifica?

R.B.: Sì, hai detto bene, da alcuni anni mi interesso di meditazione e spiritualità, nella pratica e nell'apprendimento interiore, questa arte e questo pensiero mi affascinano e come capita spesso quando guardi oltre la quotidianità del vivere cominci a scoprire molte meraviglie. Per parlare della mia musica mi interessa soprattutto il momento di consapevolezza di quel processo di maturazione interiore che trasforma un richiamo espressivo in una vera necessità dell'individuo, penso che sia grazie a questo nuovo modo di guardarmi dentro che è scaturita l'esigenza di creare la mia musica. Quando è nato nel mio profondo questo "segnale di consapevolezza" ho capito che era giunto il giusto momento di mettermi in moto, dentro e fuori di me, nella materia e nello spirito.

AAJ: Sono tutte first take.

R.B.: Sì, "buona la prima". Sicuramente alla fine dell'incisione il brano deve soddisfare la mia estetica creativa e deve essere l'espressione artistica di tutti i componenti del gruppo, ma soprattutto quando lo ascoltiamo deve darci la sensazione di freschezza espositiva e dell'aver raggiunto nell'interplay del gruppo un alto momento creativo. Mi piace fare un paragone con un regista che dirige l'azione degli attori, in tanti film capita, anzi è normale, che si debbano ripetere le scene, è capitato di ripetere decine di volte la stessa scena fino alla soddisfazione artistica del regista, ma a volte capita la magia, cioè che il tutto avvenga alla prima ripresa, è una magia, una volta sola, la prima, la migliore, quante volte è successo nel mondo della filmografia. Ora andiamo in studio di registrazione, dico subito che ho una attrazione forte verso la prima versione e soprattutto non mi piace ripetere una "scena" troppe volte, perché perderebbe freschezza, naturalezza, sorpresa, per cui a differenza delle scene del film, nelle nostre registrazioni tutti noi del gruppo siamo "registi consapevoli" e sappiamo se abbiamo agito in modo concentrato, se ci sentiamo bene nell'approccio ritmico, melodico, improvvisativo, inoltre ognuno di noi può interrompere la registrazione in qualsiasi momento se sente che sta andando fuori strada o se sente di non riuscire a comunicare quel che vorrebbe, la "buona" arriva quando la musica prende fin dall'inizio della creazione una dimensione di appartenenza e comunica il senso artistico che vogliamo, allora siamo vicini alla meta. A volte bastano veramente poche misure per capire se siamo sulla strada giusta e si va avanti spontaneamente, se invece questo non avviene allora è meglio fermarsi e attendere un altro momento per risuonare il tutto e partire con freschezza. Nel CD In cammino tutta la session è stata una magia, infatti siamo riusciti in una sola giornata a completare le dodici tracce che compongono il lavoro, c'era un mood molto positivo tra di noi e questo è stato sicuramente il risultato più bello.

AAJ: Per quali caratteristiche hai scelto i musicisti di questo lavoro?

R.B.: Gli artisti che mi accompagnano nel CD sono gli stessi compagni con cui suono nei concerti dal vivo fin dal 2007, con l'eccezione di Fabrizio Bosso che è subentrato ad Andy Gravish nel 2009. Andrea Pozza, Fabrizio Bosso e Nicola Angelucci, sono loro i miei insostituibili amici in queste avventure con cui ho vissuto e sto vivendo pagine importanti della mia esperienza artistica, così quando è venuto il momento di registrare In cammino non ho avuto dubbi su chi avere al mio fianco. Il pianista Andrea Pozza, grande artista con cui ho condiviso musica già trent'anni fa e che fin da giovanissimo da quel musicista straordinario che era si è confermato grande voce nel pianismo europeo; il batterista Nicola Angelucci che ha solo trent'anni ed è il più giovane del quartetto, ma dimostra una conoscenza matura dello strumento ed è dotato di quell'amore per la tradizione che ne fa sicuramente l'apprezzato richiesto drummer che è, sempre pronto a ogni nuova scommessa artistica contemporanea. Come dicevo prima al trombettista Andy Gravish - rientrato negli USA - nel 2009 è subentrato il grande Fabrizio Bosso, sicuramente uno degli artisti italiani più importanti a livello internazionale, virtuoso strumentista e al tempo stesso poetico interprete che fin dal primo incontro ha sposato il mio modo di far musica e a cui ho affidato il compito di cantare le mie melodie. Il grande rispetto, l'amicizia e la sintonia che mi lega a loro tre si è creata istantaneamente e si è consolidata in questi anni di collaborazioni intense, il nostro legame e il nostro interplay umano e artistico è stato il requisito base che mi ha fatto decidere, loro sono gli artisti giusti per questo percorso. Noi musicisti di jazz maturiamo esperienze che ci legano intensamente per via della necessità espressiva di essere un tutt'uno sul palco, è proprio questo che ci lega, creando la forza sonora del gruppo. Nel mio modus musicale è il rapporto umano la carta più importante da mettere in gioco.

AAJ: Come si riesce a ottenere in studio di registrazione un approccio improvvisativo e spontaneo? Di solito sono caratteristiche che emergono meglio in una dimensione live.

R.B.: Quello della differenza nell'approccio improvvisativo in studio o dal vivo è sempre stato un grande dilemma per noi musicisti. Visto che quel che incidiamo, a differenza di ciò che suoniamo nel concerto live, è destinato a essere venduto e divenire il nostro biglietto da visita artistico dobbiamo curare bene l'aspetto della spontaneità e del suono. Personalmente ho sempre amato e amo suonare dal vivo, è una condizione in cui mi sento bene; il teatro, il palco, la vicinanza del pubblico mi hanno sempre attratto dandomi un senso di grande libertà espressiva, mentre nelle prime registrazioni in studio, trent'anni fa, mi sentivo bloccato. Ricordo ancora oggi quanta ansia nei primi CD in studio, avevo timore di non essere me stesso, di non riuscire a registrare bene il mio suono, poi col tempo ho imparato a prendere confidenza con le regole dello studio, con quel senso di isolamento forzato necessario alla ripresa del suono e ho cominciato ad apprezzare i lati positivi di dell'essere in sala d'incisione, come il riuscire a trovare il tuo vero suono dello strumento e grazie al ritorno in cuffia sentire sempre bene il contrabbasso in tutti i suoni intervalli e le sue sfumature di colore. Quindi, la soluzione che ci porta a delle buone prestazioni durante la registrazione in studio è che si riescano a ricreare le condizioni a cui siamo abituati nelle nostre performance dal vivo; sembra facile ma non lo è, infatti superato lo scoglio dell'approccio personale al proprio suono viene il momento dell'insieme, un grosso problema per esempio (come avviene in molti studi) è quello di non avere il contatto visivo totale e la vicinanza fisica con gli altri del gruppo, per superare tali difficoltà ci vengono in soccorso i mezzi moderni come l'ottimo ascolto e la possibilità di regolare i suoni di ogni strumento del gruppo in cuffia. Ora che siamo pronti a livello tecnico si parte per l'avventura della registrazione, sono necessarie molte qualità, innanzitutto la fiducia e la conoscenza degli artisti che abbiamo al fianco e il rispetto delle loro scelte artistiche, perché come si sa ognuno apporta un contributo che a sua volta diventa nuovo stimolo per gli altri, quando ci si sente veramente liberi di esprimere se stessi si contribuisce all'approccio improvvisativo fresco e spontaneo che è la nostra meta ideale, in studio come dal vivo.

AAJ: Hai un aneddoto curioso che ricordi con piacere delle session?

R.B.: Il giorno della registrazione ci siamo dati appuntamento al mattino presto davanti allo studio, non ci vedevano da un mese, eravamo tutti impegnati in progetti diversi, ma era l'unico giorno disponibile per registrare, in più arrivavamo da quattro destinazioni diverse, non avevo ancora deciso con quale brano cominciare, avevamo solo otto ore di studio, insomma ero un po' preoccupato. Ebbene siamo arrivati tutti puntuali e nello stesso preciso momento, appena ci siamo visti l'umore è stato subito altissimo, appena entrati in studio ci siamo guardati e abbiamo deciso all'unisono quale brano suonare per primo, era "Maria e Maria," che è anche il primo brano del CD, ed è andata così per tutta la session, si è creata la magia, non lo dimenticherò mai. La sera siamo andati a festeggiare in un ottimo ristorante romano, in questi casi dopo cena è il nostro batterista che guida, dal momento che è astemio!

AAJ: Per quello che ti riguarda, il connubio tra voce e strumento si riferisce a quale tipo di tradizione?

R.B.: Avevo sedici anni, suonavo il basso elettrico e cantavo nel mio gruppo di rock progressivo, e questa attitudine a cantare è rimasta scolpita in me. Quando più tardi, intorno ai vent'anni, ho cominciato ad ascoltare i grandi bassisti della tradizione jazz e sono rimasto affascinato da un grande maestro del mio strumento, Slam Stewart che insieme a Major Holley suonava con uno stile solistico originale basato sul cantare all'ottava e all'unisono la nota suonata con l'archetto, questo creava e crea un effetto straordinario e rende il suono dello strumento molto umano. Già a quel tempo, senza saperlo e inconsciamente, anch'io usavo questo stile, ma cantando la nota che stavo per suonare e "pizzicando" la corda, con il risultato che a volte la voce acquistava un effetto primario e la nota del basso una certa affinità con quella umana, ed é così che in tutti questi anni questo modo mi ha contraddistinto stilisticamente nel nostro ambiente.

AAJ: Pensi di esprimere molta creatività con il contrabbasso?

R.B.: Sono convinto di questo: la creatività si ha o non si ha. Questo a prescindere da cosa si suona, il contrabbasso ha delle corde "spesse," è vero. Senza quelle corde sarebbe un violoncello o un chitarrone? Una cosa è certa, senza quelle spesse corde che producono anche suoni gravi perderebbe il ruolo di fondamento musicale in tutta la musica e su cui tutta la musica si poggia. Nella mia galleria di ascolti sono fissati in modo indelebile Jimmy Blanton, Slam Stewart, Oscar Pettiford, Ray Brown, Charles Mingus, Scott La Faro, Charlie Haden e ancora giovani leoni come Larry Granadier, Chris McBride; compositori, leader dei loro gruppi, innovatori stilistici e grandi maestri contrabbassisti che col loro strumento hanno saputo creare pagine compositive e momenti solistici che resteranno per sempre nella storia della musica. Quando intorno ai vent'anni ascoltai per la prima volta "My Funny Valentine" nella registrazione di Miles Davis - concerto live del '64 -, scoprii Ron Carter e letteralmente impazzii dietro la sua capacità di tessere con gli altri musicisti quel magico interplay, che ancora oggi per eleganza e bellezza rimane quasi insuperato. Grazie a questi leggendari colleghi e al nostro impegno contemporaneo europeo il contrabbasso è divenuto da quasi cinquant'anni uno strumento creativo al pari di tutti gli altri e di cui non si può quasi fare a meno - se non con qualche eccezione - per ottenere la magica alchimia del jazz. L'evoluzione tecnica del linguaggio contrabbassistico ha alzato il livello espressivo e per certi aspetti anche creativo, eliminando quei limiti tecnici che relegavano lo strumento al mero ruolo di accompagnamento, da cui non si può prescindere assolutamente. Il contrabbasso e le sue "spesse corde," una voce che nel futuro farà ancora molto per la musica.

AAJ: In questo momento hai altri progetti a cui stai lavorando o hai in mente?

R.B.: Oltre al tour del Travel Notes Quartet col quale continueremo a registrare altra musica che per ora "nascondo" nella mia valigia degli appunti di viaggio, porto avanti altri progetti personali. L'anno scorso, coinvolgendo ancora una volta Bosso, ho creato il Bo-Bo duo, un acronimo che nasce dall'unione del mio cognome e quello appunto di Bosso. Il Bo-Bo duo oltre a presentarsi in questa semplice, ma assai stimolante formazione, fornisce la struttura base per una serie di incontri musicali di alto livello, come quello per esempio con il percussionista Hamid Drake: "BoBo meets the Drake" e ancora un altro progetto con il chitarrista brasiliano Roberto Taufic: "BoBo Go to Brazil," questo gruppo suona mie composizioni dal sapore brasiliano, che ho dedicato ai miei miti di sempre, Joao Gilberto, Jobim, Caetano Veloso, Milton Nascimento, un mondo sonoro che mi ha sempre influenzato compositivamente creando in me un modus compositivo permeato da una saudade positiva, come amo chiamarla, che rappresenta un alto punto compositivo nella mia ricerca della melodia.

Foto di Claudio Casanova (la prima e le ultime due), Roberto Masotti (la seconda) e S.Valle (la terza).


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