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Paolo Fresu Quintet: 22 anni in 5 (e non li dimostrano)

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In realtà sono in sei. La “sesta identità” del Paolo Fresu Quintet è proprio il gruppo. Una specie di filtro attraverso il quale la musica acquista quella forma che, dopo ventidue anni insieme, è diventato il loro carattere distintivo. La formazione è ritornata nel teatro Verdi di Sassari dopo molti anni. Prima del concerto il gruppo ha incontrato il pubblico per raccontare la sua storia.

A parlare di “sesta identità” è il sassofonista Tino Tracanna. “Ci sono cose che funzionano solo per il quintetto. Spesso il gruppo riesce a dare alla musica una forma diversa da quella che aveva sulla carta”. E del resto questo era esattamente il risultato che Roberto Cipelli aveva in mente quando insieme a Paolo Fresu fondò la formazione nel 1984. “Volevamo prima di tutto un gruppo stabile" racconta il pianista "che fosse capace di imprimere un marchio di fabbrica alla propria musica”.

I vent’anni di attività erano stati celebrati a Berchidda, paese natale di Paolo Fresu, con un concerto-evento nel 2004. Da quel giorno le occasioni per ricordare aneddoti sul quintetto sono sempre più numerosi. Merito di un’unione che è un caso praticamente unico nel panorama jazzistico, ma anche del progetto che i cinque stanno portando avanti con la Blue Note.

Cinque album, ognuno dei quali è firmato completamente da uno dei componenti del quintetto. Ne sono stati pubblicati finora quattro. L’ultimo in ordine temporale è Thinking, che raccoglie i brani del batterista Ettore Fioravanti, mentre il primo, all’inizio del 2005, è stato Kosmopolites, scritto da Cipelli, e seguito da P.a.r.t.e. curato dal contrabbassista Attilio Zanchi. Nei primi mesi del 2006 è uscito Incantamento, con le composizioni di Tino Tracanna.

Ognuno di questi album ha al suo interno anche un brano non originale, scelto da chi compone, che spesso va a pescare nella musica classica, come nel caso di Fioravanti, che ha voluto confrontarsi con Tchaikovsky, o Cipelli che ha messo alla prova il quintetto con un bellissimo brano di Hendel, “Lascia ch’io pianga”. Qualcuno non ha voluto rinunciare al jazz, come Zanchi con “Children’s Play Song” di Bill Evans.

L’idea è nata proprio durante i primi festeggiamenti dei vent’anni: “Subito dopo quella serata a Berchidda" spiega il trombettista "avevo pensato di dedicare un concerto alla musica di Roberto”. Un pensiero che si è trasformato piano piano, fino a portare Fresu direttamente alle porte della Blue Note per proporre quel progetto che oggi è quasi in dirittura d’arrivo. “I dischi raccontano cinque storie diverse, ma tutte sono state metabolizzate dal quintetto, che anche in questo caso colora e modifica, lasciando però i connotati della storia stessa”.

Ora manca solo il disco composto dal leader. Per adesso si conosce il titolo: Rosso, verde, giallo e blu. “I miei colori preferiti” aggiunge Fresu. In realtà quattro toni che indicano i suoi compagni di viaggio. “Il quintetto è la formazione che mi rappresenta meglio" precisa "e tra loro, Roberto è quello con cui ho il legame artistico maggiore”. E così ecco il rosso per Cipelli “caldo e vivace, delicato e passionale”. Poi c’è il verde “gioia, saudade e serenità” per Ettore Fioravanti, mentre Tracanna è il giallo “caloroso e desertico”. Il contrabbassista invece è il blu “chiaroscuro e meditativo, alterabile e voluttuoso”.

La storia del quintetto non può essere raccontata senza gli aneddoti che ricordano l’amicizia profonda che lega questi musicisti. Dal primo incontro tra Fresu e Cipelli, in un albergo di Siena durante una notte di bagordi, fino al reclutamento di Tracanna e Zanchi in un autogrill. Fresu ricorda la prima generazione di jazzisti sardi, che vedeva in prima linea personaggi come Antonello Salis, Riccardo Lay e Marcello Melis. Ricorda soprattutto la mancanza di mezzi per chi volesse fare jazz.

“Al tempo c’era soltanto Siena” conferma Tracanna. Fu questo a far nascere l’idea di organizzare i seminari jazz a Nuoro. “Abbiamo iniziato noi cinque" dice Fresu "poi a poco a poco abbiamo aggiunto altri strumenti, seguendo le richieste degli allievi”. E così sono arrivati i corsi di chitarra, canto, arrangiamento e molti altri. L’appuntamento estivo ha dato i suoi frutti. “Negli ultimi anni incontro giovani jazzisti di altissimo livello" rivela Tracanna. "Ragazzi a cui manca solo l’esperienza, perché per il resto hanno già tutto”. E con una punta di orgoglio ricordano uno dei musicisti in erba del primo anno, il sassofonista Gavino Murgia, che all’epoca aveva appena comprato il sax e oggi è uno dei più accreditati musicisti sardi soprattutto fuori dall’isola.

Il concerto al teatro Verdi è l’occasione per rispolverare un altro momento importante del quintetto: la registrazione di Inner Voices, il secondo disco, che avvenne proprio a Sassari nel 1986. “Avevamo un ospite eccezionale come Dave Liebman" dichiara il trombettista. "Ci ha insegnato un sacco di cose, soprattutto su cosa fare in studio”.

Il concerto passa attraverso questi due decenni, ma si sofferma sugli ultimi album. “T.r.e.a.p.” di Attilio Zanchi, “Kosmopolites” di Cipelli, “Cronache mancate” di Fioravanti, “Lascia ch’io pianga”, si alternano ai brani storici e perfino a un augurio di buon anno su una melodia natalizia. La forza d’insieme è soprattutto nell’improvvisazione. Nonostante qualche problema con i suoni in teatro, i due fiati dialogano con un interplay consolidato, la batteria fa prendere il volo alle dinamiche, il pianoforte raccoglie e restituisce i suggerimenti del contrabbasso.

Gli anni hanno fatto crescere insieme i cinque jazzisti, e sicuramente li hanno trasformati. Basta sentire Cipelli, arrivato con Zanchi e Tracanna dopo l’inizio dell’incontro per via di un ritardo del volo. “E’ da molto che Fresu sta parlando?" chiede alla platea. "Quando l’ho conosciuto non diceva una parola, adesso è un’impresa farlo stare zitto”.


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