La musica Kunqu, nata in Cina oltre cinque secoli fa per accompagnare il canto di testi drammaturgici corredati di tutto un apparato sceno-coreografico di estrema suggestione, è il terreno su cui si muove questo singolare album (inciso fra 2007 e 2011), in cui tale universo viene spogliato della componente visivo-gestuale e di ogni altro orpello - se vogliamo chiamarlo così - che non sia il semplice suono di un flauto di bambù, per il quale appunto le due ampie sequenze che compongono il disco, opera rispettivamente di Tang Xian Zu (1550/1616) e Gao Lian (1573/1620), sono state, ineditamente, arrangiate.
Qui, in realtà, di flauti in bambù ce ne sono due: il dizi, traverso (e prevalente), dal suono acuto - a tratti quasi squittente - e particolarmente penetrante, e lo xiao, di fatto una sua variante verticale, decisamente più grave. A maneggiarli, con sicura perizia, è Zeng Ming, strumentista emerito che abbina le tecniche più aggiornate all'eredità dell'antica tradizione Ming (XIV/XVII secolo).
Ne vien fuori una musica certamente di grande fascino e potere seduttivo, il cui scorrere pone tuttavia più di un problema di fruizione, visto il timbro assolutamente monolitico del dizi (dei tre brani allo xiao, che romperebbero un po' tale annichilente egemonia, due si attestano oltretutto sotto il minuto), unito a moduli espositivi - cellule tematiche, se vogliamo definirle così - di assoluta rigidità e reiterazione, come il procrastinare all'infinito, ritualisticamente, qualcosa di cui, evidentemente, la componente vocale e scenica è troppo essenziale per potersene privare.
Per tutti questi motivi, non possiamo che caldeggiare l'ascolto del CD per microsezioni, a scongiurare quell'assuefazione che rappresenta senza dubbio la principale nemica di questa (per altri versi encomiabile) incisione.
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