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Intervista a Piero Odorici

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Non c'è musicista che non abbia segnato in qualche modo la storia del jazz che non voglia Piero Odorici con sé in studio o sul palco, in Italia o in giro per il mondo. Da Slide Hampton a Curtis Fuller, passando per Harold Mabern, Jimmy Cobb, Lee Konitz, Red Rodney, Steve Grossman, Sal Nistico, Mike Le Donne, il sassonista bolognese (attivo sulle scena da vent'anni ormai) si è guadagnato la stima del colleghi americani e non, per il suo sound fluido e corposo, tanto nei momenti di slancio quanto in quelli più riflessivi. Da questo aspetto è partita la nostra intervista.

All About Jazz Italia: Piero, tra le tue collaborazioni spicca quella con George Cables, che si è concretizzata in due ottimi lavori, il disco allegato a Musica Jazz nel 2006, Live in Bollate e My Ship. Che esperienza è stata?

Piero Odorici: Ho conosciuto e avuto l'opportunità di suonare con George nei primi anni '90 in Italia. Chiaramente per me fu un esperienza molto bella, ci rincontrammo poi nel 2002 a New York per alcuni concerti e in quell'occasione ho potuto approfondire la mia conoscenza di George e della sua musica. Da quel periodo abbiamo continuato a collaborare regolarmente sia in Italia che all'estero. Penso che Cables sia uno dei musicisti più importanti con il quale ho collaborato, oltre ad essere un grande pianista e un fantastico compositore. Adoro suonare la sua musica. Vorrei citare la mia collaborazione con un altro grande musicista, Cedar Walton, con il quale collaboro ormai da diversi anni. Devo dire che Cedar è un altro grande maestro per me e mi ha dato la possibilità di imparare tantissimo e di poter suonare in occasioni che poco spesso capitano a musicisti italiani come me. Abbiamo fatto un lungo tour in Europa a novembre con Roberto Rossi al trombone, Darryl Hall al contrabbasso e Willie Jones III alla batteria. Spero di poter incidere presto insieme. Altra collaborazione a cui tengo particolarmente è quella con il grande arrangiatore brasiliano Eumir Deodato con il quale suono da diversi anni e oltre ad un rapporto professionale molto bello ci lega una grande amicizia.

AAJ: Parlando di Cables non si può non far riferimento a due giganti del sassofono con i quali aveva stretto una vera e propria empatia: Dexter Gordon e Art Pepper. Quanto hanno pesato nella tua crescita?

P.O.: Sicuramente Dexter è uno dei musicisti che mi ha influenzato di più ma amo moltissimo Pepper e sia uno che l'altro sono stati importanti per la mia crescita, come lo sono stati e lo sono tutt'ora i grandi maestri. Ritornando alle mie collaborazioni, posso aggiungere una cosa a cui tengo molto?

AAJ: prego....

P.O.: A marzo sarò in tour in Italia con il Curtis Fuller Sextet, partiremo il 18 dal Teatro Sociale di Piangipane (Ravenna), poi toccheremo Budrio, Bollate, Calcinaia, Modena, Riccione per chiudere a Ferrara.

AAJ: Dopo il disco d'esordio con la Red del 1991, First Play hai abbandonato il contralto. Perchè questa scelta?

P.O.: Non ho abbandonato affatto il contralto, lo suono abbastanza regolarmente. diciamo che non ho avuto l'occasione di registrare CD con l'alto negli ultimi tempi, ma se ti informi bene vedrai che nel CD dedicato a Kurt Weill suono l'alto come nei CD della Gap Band, Keptorchestra, ed in quelli di Ray Mantilla.

AAJ: Un rapporto speciale sembri avere con i percussionisti: Ray Mantilla, Steve Ellington...

P.O.: Mi piace molto suonare con le percussioni ma Steve Ellington è un batterista e non suona le percussioni. Forse perchè sento un animo latino... infatti uno dei miei sassofonisti preferiti è Gato Barbieri.

AAJ: Hai scelto un ambito espressivo ben definito, il Modern Mainstream. Come ti poni di fronte altre declinazioni del jazz: l'Avanguardia, il Nu Jazz....

P.O.: Non credo molto alle etichette e penso che un musicista suoni quello che sente. Ritengo che questa sia la maniera più sincera di fare musica. Ho suonato un sacco di cose diverse ma chiaramente preferisco suonare ciò che è più vicino alla mia personalità e che mi fa stare meglio. In effetti non mi pongo in nessun modo, ascolto e cerco di prendere dalle altre forme jazzistiche ciò che mi si addice di più.

AAJ: Che cosa significa per te fare Jazz?

P.O.: Per me fare Jazz significa un'improvvisazione collettiva che fa chiaro riferimento a quello che viviamo ogni giorno, è molto importante lo stimolo che mi dà la vita, le persone ed i musicisti coi quali mi rapporto, un fattore fondamentale per un musicista penso sia l'umiltà!!

AAJ: Parliamo delle tue collaborazioni extrajazzistiche. La più nota forse è quella con Vinicio Capossela, che si affida a diversi jazzisti (Zeno De Rossi, Achille Succi). Come vi chiede di interpretare la sua musica?

P.O.: Oltre a Vinicio ho fatto diversi tour ed inciso con Jovanotti, Pavarotti, Ornella Vanoni, Lucio Dalla, Tiziano Ferro e tantissimi altri cantanti Italiani. Vinicio devo dire che è uno di quegli artisti che mi ha sempre lasciato libero sull'interpretazione delle sue canzoni, di solito si mettevano insieme le idee e si provava a far uscire le cose, ma ormai è molto tempo che non collaboro più con Vinicio e magari le cose sono cambiate.

AAJ: Hai viaggiato molto e sei spesso di casa negli States. Come viene visto il jazz italiano da fuori?

P.O.: In realtà i musicisti statunitensi non conoscono bene il cosiddetto jazz Italiano. Conoscono alcuni musicisti ma non hanno una vera e propria conoscenza di quello che succede in Italia, purtroppo non conoscono musicisti meno famosi ma che dovrebbero essere più conosciuti da loro ed anche dal pubblico Italiano.

AAJ: Ti dedichi soprattutto agli standards o comunque alle musiche di altri. Che valore ha per te lo standard?

P.O.: Diciamo che spesso mi piace suonare standard coi gruppi con cui collaboro ma ho diversi mie brani che suono abbastanza regolarmente, ho appena inciso un CD con David Hazeltine al piano, John Webber al contrabbasso e Joe Farnsworth alla batteria dove sono presenti brani di mia composizione. A fine marzo inciderò un altro CD per un nuovo progetto dove saranno inclusi due mie brani.

AAJ: Hai insegnato per alcuni anni al Conservatorio di Bologna. Non ti faccio la classica domanda: "Si può insegnare il jazz?" ma come ti poni tu nei confronti degli studenti.

P.O.: Presso il dipartimento di Jazz, facevo musica d'insieme e penso che si possa insegnare la musica ed un certo linguaggio ma il Jazz necessita di doti che non tutti hanno e per questo a volte è molto difficile insegnare. Con gli studenti mi pongo sempre in maniera amichevole e cerco di non far pesare loro il fatto che sono l'insegnante, penso che in questo modo sia più semplice capire la personalità di ognuno ed aiutarli a tirare fuori il meglio di se stessi.

AAJ: Qualcuno sostiene che i musicisti della nuova generazione attribuirebbero troppa importanza agli aspetti tecnici a dispetto ovviamente dell'originalità. Sei d'accordo? Qual è la tua posizione a riguardo?

P.O.: Direi che sono abbastanza d'accordo con quel qualcuno... ma non penso sia da attribuire solo al musicista, chiaramente le cose cambiano ed i messaggi che ci arrivano dall'esterno sono diversi da quelli del passato, penso che forse oggi ci siano maggior musicisti preparati dal punto di vista teorico e tecnico ma sicuramente il lato artistico ne ha risentito, se guardi ai grandi del passato ognuno aveva uno stile personale e riconoscibile, oggi sento molti ottimi musicisti ma un pò tutti uguali.

AAJ: Oltre alla musica, che passioni ha Piero Odorici? Cinema? Letteratura?

P.O.: Amo molto il cinema, sopratutto il Neorealismo Italiano dal '45 a fine anni '50, i vari Rossellini, Visconti, De Sica, Germi, Zampa. Mi piace molto la psicologia e ho letto diversi libri sull'argomento.

AAJ: Una cosa un pò strana che ho notato: sei uno dei pochi musicisti che non ha un sito internet. Che rapporto hai con il web?

P.O.: Ho un ottimo rapporto col web e sono stato uno dei primi ad essere collegato ad internet nella mia città, addirittura ancora non esistevano i browser. E sono sempre stato appassionato di computer (rigorosamente mac), il discorso del sito l'ho sempre trascurato forse per pigrizia, ma vedrò di riparare al più presto.

AAJ: I dischi sui quali sei cresciuto e quelli che ascolti attualmente.

P.O.: Sono cresciuto coi dischi che la maggior parte dei jazzisti della mia generazione ha ascoltato e sono tantissimi, sinceramente sarebbe una lista molto lunga da fare ma i musicisti che ho amato sicuramente di più sono Parker, Miles, Coltrane, Rollins, Cedar Walton, Monk, Clifford Jordan, Mingus, Bud Powell, Clifford Brown, Ornette Coleman, Dexter Gordon, Freddie Hubbard, Chet Baker, Sal Nistico, per citarne solo alcuni. Oggi ascolto di tutto, amo molto la Black Music, Earth Wind & Fire, Stevie Wonder, George Benson, Cool and the Gang ecc... e la musica classica, sopratutto i compositori russi.

Foto di Roberto Cifarelli (la prima e l'ultima), Antonio Baiano (la terza).


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