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Darcy James Argue's Secret Society: Infernal Machines
ByInfernal Machines, uscito negli Stati Uniti a fine 2009, è l'opera prima del giovane canadese [nato il 27 maggio del 1975]. Il titolo del disco, nota curiosa, allude alla definizione poco lusinghiera che nel 1906 John Philip Sousa, il noto compositore di marce e marcette, diede dei primi apparecchi radiofonici. E però, visto che di big band si sta parlando, uno dice Infernal Machines e subito vengono in mente Count Basie e Jimmie Lunceford, Artie Shaw e Benny Goodman, Chick Webb e Gene Krupa, l'era dello swing e le grandi orchestre. Un richiamo in un certo senso dovuto, genealogicamente parlando, anche se dal punto di vista filologico-musicale bisogna volgere lo sguardo altrove per capire da dove viene uno dei debutti più folgoranti che sia capitato di ascoltare negli ultimi anni.
A raccontarci qualcosa di più preciso su Darcy James è il suo curriculum studi. Gli anni a Boston con la Schneider e con Brookmeyer [titolare di una delle orchestre più originali e meno celebrate dei tempi nostri, la New Art Orchestra] piazzano di diritto la Secret Society nell'alveo della scuola "cool" di Claude Tornhill e Gil Evans, inventori di un "suono," alla fine degli anni Quaranta, che ha poi fatto proseliti in gran quantità: Miles Davis, Thad Jones, Gerry Mulligan, Don Ellis, George Russell; e più di recente Carla Bley, Maria Schneider, Sam Rivers e la Rivbea Orchestra, la giapponese Satoko Fujii.
I crismi del caso ci sono tutti: arrangiamenti sinuosi e raffinatissimi, orchestrazioni molto ricercate dal punto di vista timbrico, incastri eleganti tra le varie sezioni, pennellate di suono larghe e pastose, colori freddi e tenui, interventi solistici assai discreti e comunque sempre funzionali allo sguardo d'insieme. Dice tutto l'iniziale "Phobos," che si apre con un solo in riverbero di cajón [la "cassetta" sudamericana] al quale si sovrappongono prima un arpeggio di chitarra dal sapore post-rock, sporcato appena di elettronica, e poi un tappeto scuro disteso dai tromboni, a evocare paesaggi suggestivi e orizzonti misteriosi. Il brano decolla ritmicamente verso i tre e mezzo, sulle ali di un assolo di tenore che poco alla volta zittisce il resto della band, finendo per inciampare in un meditabondo piano elettrico. L'orchestra ritorna a pieno regime verso i sei minuti, chiudendo il cerchio con un crescendo maestoso che riporta, verso gli otto, all'arpeggio di chitarra iniziale e di nuovo al cajón.
Magistrale.
Come magistrali sono le successive "Zeno," "Transit," con quell'introduzione che fa tanto Mahler, "Redeye," forse il brano più evocativo dell'intero disco, la mingusiana "Jacobin Club," il minimalismo da big band di "Habeas Corpus" e l'obliquamente latina "Obsidian Flow". Ogni traccia un perché, ogni traccia un racconto, per una musica che possiede un'irresistibile carica affabulatoria, una straordinaria propensione alla narrazione.
Un disco che resterà. Un artista che promette meraviglie.
Track Listing
1. Phobos - 11:02; 2. Zeno - 7:14; 3. Transit - 7:01; 4. Redeye - 10:12; 5. Jacobin Club - 10:55; 6. Habeas Corpus - 10:57; 7. Obsidian Flow - 9:40. Tutte le composizioni sono di Darcy James Argue.
Personnel
Erica von Kleist
saxophoneErica Von Kleist, Sam Sadigursky, Rob Wilkerson, Mark Small e Josh Sinton (ance e flauto); Seneca Black, Laurie Frink, Tom Goehring, Nadje Noordhuis e Ingrid Jensen (tromba e flicorno); Mike Fahie, James Hirschfeld, Ryan Keberle, Jennifer Wharton (trombone), Sebastian Noelle (chitarra elettrica e acustica) Mike Holober (piano acustico ed elettrico), Matt Clohesy (basso elettrico e contrabbasso), Jon Wikan (batteria e percussioni), Darcy James Argue (composizioni e direzione).
Album information
Title: Infernal Machines | Year Released: 2010
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Live at 11:20
Comments
About Erica von Kleist
Instrument: Saxophone
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