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John Cage: Imaginary Landscapes

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John Cage: Imaginary Landscapes
Nell'anno dei festeggiamenti della ricorrenza di nascita e morte di John Cage Stradivarius dà alle stampe due importanti capisaldi della discografia cageana—Imaginary Landscapes e Sixteen Dances —, con una registrazione realizzata nell'ambito dell'edizione di Traiettorie 2009 come iniziativa inserita nella giornata di studi dedicata a John Cage, promossa dall'Istituzione Casa della Musica di Parma. L'importanza di questa registrazione consiste nell'offrire in una sola sede l'intero ciclo dei "paesaggi sonori elettro-acustici" che Cage compose tra il 1939 e il 1952 interpretato dal Prometeo Ensemble diretto da Marco Angius con la regia del suono dell'interprete sonoro Alvise Vidolin.

I cinque Imaginary Landscapes presentano ciascuno una diversa e peculiare storia compositiva e, solo in parte, sono uniti da una stessa idea di paesaggio sonoro. Se ascoltati in ordine cronologico, i Landscapes rivelano una evidente tendenza di Cage ad amplificare man mano lo spazio elettro-acustico all'interno del paesaggio sonoro, così che da grezzo elemento prodotto dall'esecutore (nr. 1) l'elettronica diventa vero e proprio elemento con il quale Cage compone usando il suono/rumore prodotto dalle apparecchiature come materiale musicale a tutti gli effetti (come ad es. le 12 radio del nr. 4 o le 42 registrazioni a scelta del nr. 5).

Nel cd Stradivarius i cinque Landscapes non sono riprodotti in ordine cronologico, ma in un ordine [nr. 1, nr. 3, nr. 5, nr. 2 (versione marzo nr. 1), nr. 4 (versione marzo nr. 2)] di "affinità" acustica che conferisce senza dubbio un effetto "piacevole" all'ascolto. Evidenzio il piacevole perché rimango convinta che nel gioco dei rumori (percussivi e/o elettro-acustici) prodotti nei cinque paesaggi ci sia sempre e comunque di fondo una idea estetica che ricerca una qualche forma di piacevolezza. È una delle tante provocazioni di Cage, uomo del Novecento, uomo metropolitano. Già, perché i paesaggi sonori, anche se immaginari, con la storia, il presente, l'urgenza del momento storico in cui sono stati scritti hanno molto a che fare.

Il primo degli Imaginary Landscapes, per quattro esecutori, fu composto nel 1939 ed è uno dei primi pezzi, se non il primo in assoluto, elettroacustici mai composti. Cage usò un piano muted (stoppato), cimbali cinesi, 2 giradischi a velocità variabile sul primo dei quali era riprodotto un record di frequenza Victor [84522B] e un record di nota costante (Nr.24), sul secondo un altro record di frequenza Victor [84522A]. Si parte con dei fischi, una sinusoide elettro-acustica a cui fanno eco cimbali e piano. Sembra si tratti di una chiamata, tutta da decifrare. Un pezzo che pare tirato fuori da una sequenza iniziale di guerra. Cupo, magmatico, con un drammatico e feroce sibilo di fondo che attende risposta.

Non tarda ad arrivare. Scritto nel 1942, il terzo paesaggio sonoro è composto per un ensemble di sole percussioni. La struttura ritmica varia (3, 2, 4, 3) e gli strumenti usati sono barattoli di latta e un gong in sordina, in combinazione con dispositivi elettronici e meccanici come oscillatori, tavole rotanti a velocità variabile, la riproduzione di registrazioni di frequenza, una suoneria, una bobina di filo amplificata e un microfono amplificato. L'amplificazione di sibili, fischi e rumori re-immette in un clima di ancor più feroce di attesa, che sfocia ben presto in un assordante e (apparentemente) confuso rumore. Mi pare del tutto corretta la scelta di inserire in sequenza questo paesaggio sonoro dopo il primo.

Imaginary Landscape nr. 5 condivide con il quarto [vedi poi] il metodo compositivo dell'I Ching, ma anch'esso si aggancia "ipoteticamente" al precedente. Il pezzo, scritto nel 1952, è un collage di frammenti da registrazioni su nastro, in gran parte da dischi di jazz, poi una campana, tutti frammenti di breve durata. La prima realizzazione del pezzo è stata fatta con David Tudor e l'assistenza tecnica di Louis e Bebe Barron. La versione di Alvise Guidolin non manca di suggestione e mi pare di grande impatto. All'ascolto, in questo terzo (per ordine di riproduzione nel CD) paesaggio, la voce e i suoni jazz (ma che rappresentano? gioia? ritmo? evasione?) si frantumano e decompongono lentamente il rumore delle percussioni e dei precedenti paesaggi. Inframmezzata, spaccata, spezzata, sfracellata in mille rivoli, la musica (lo è?) pare (de)libera(ta)mente far perdere il senso dell'ascolto.

Poi ancora fracasso percussivo. Il secondo paesaggio (marzo nr. 1, 1942, nella versione scelta da Angius e dal Prometeo Ensemble, che non ha tuttavia relazioni con l'altro Imaginary Landscape nr. 2), quarto nell'ordine proposto nel CD, è un pezzo scritto per quintetto di percussioni e presenta una struttura ritmica del tutto peculiare (3, 4, 2, 3, 5). Gli strumenti a percussione (lattine, conchiglie, cricchetto, una grancassa, dei cicalini, un gong ad acqua, un cestino in metallo e il ruggito del leone) sono combinati con una bobina di filo amplificata, attaccata ad un braccio fonografico. Si ritorna alle coordinate precedenti. Quasi negli oggetti quotidiani, nel rumore, nel fracasso e ancora in un sibilo a intermittenza, si potesse ritrovare il senso perduto e dare nuovo senso al paesaggio. Immaginario.

Più complessa è la versione di marzo dell'Imaginary Landscape nr. 4, composto nel 1951 per 12 radio e 24 esecutori con direttore, e viene proposto come ultimo paesaggio nel CD. La versione dell'Ensemble Prometo si avvale dell'esperienza di Alvise Vidolin capace di "sintetizzare" quanto Cage richiede nella partitura (due esecutori sono di stanza a ogni radio, uno per la composizione delle stazioni radio, il secondo per il controllo dell'ampiezza e del timbro) con particolare maestria. La struttura ritmica del lavoro è 2-1-3 ed è espressa in tempi cambiando. In questo paesaggio sonoro, infatti, la casualità è centrale sia in fase compositiva [si veda a tal proposito il saggio riprodotto nel volume Silenzio] e il cambiamento continuo è la cifra sonora del pezzo. Viene senza sosta cambiata stazione radio che funge da sorgente sonora senza mai soffermarsi su una e spostando così in continuazione il centro dell'attenzione sonora. Risultato: mal di mare. Sembra di navigare dentro le onde corte di frequenze disperse in mezzo all'oceano.

Sixteen dances del 1951 occupa la seconda parte del CD. Più breve dell'originale (che si prevede durare ben 53 minuti), questa versione torna alla musica, meglio alla danza, in una dimensione d'ensemble. Emerge finalmente anche la mano di Marco Angius e dell'Ensemble Prometeo che non è più solo percussioni, ma è piano (Ciro Longobardi), flauto (Matteo Cesari), tromba (Andrea Camilli), violino (Maddalena Pippa), violoncello (Claude Hauri) e poi anche quattro percussioni. Non ci sono più lattine, sibili ed elettronica. Ci sono bagliori di percussioni.

Cage elabora le sue Sixteen Dances "servendosi di una tabella in cui sono disposti, ordinati in file di sedici, sessantaquattro suoni, una specie di tavolozza matematica da cui l'artista attinge suono per suono, uno alla volta, stabilendo via via, come girasse tra le mani di un caleidoscopio, nuove relazioni" (dal booklet, G.P. Minardi). Danze mutevoli, anche qui, un po' sinusoidali, molto rapsodiche. Danze senza corpo fisico. Un'assenza che s'avverte. L'essenza delle sedici danze senza Merce Cunningham, senza coreografia, solo la musica, che da sola tenta di bastare al tutto, anche visivo.

Track Listing

01. Imaginary landscape nr. 1 (1939) – 6:24; 02. Imaginary landscape nr. 3 (1942) – 3:04; 03. Imaginary landscape nr. 5 (1952) – 3:04; 04. Imaginary landscape nr. 2 (1942) – 5:33; 05 Imaginary landscape nr. 4 (1951) – 5:52; Sixteen dances (1951): 06. I-IV – 8:26; 07. V-VIII – 10:52; IX-XII – 10:20; XIII-XVI – 13:50.

Personnel

John Cage
composer / conductor

Ensemble Prometeo diretto da Marco Angius. Alvise Vidolin (tape and live electronics).

Album information

Title: Imaginary Landscapes | Year Released: 2012 | Record Label: New Jazz Noises


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