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Helga Plankensteiner al Pinocchio di Firenze

Helga Plankensteiner al Pinocchio di Firenze

Courtesy Annamaria Lucchetti

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Jelly Roll Plays Morton
Firenze
Pinocchio Live Jazz
2.12.2023

All'interno di un programma che mescola sapientemente musicisti e stili diversi, è salita per la prima volta sul palco del Pinocchio Live Jazz di Firenze la sassofonista altoatesina Helga Plankensteiner, con il suo ultimo progetto Jerry Roll Plays Morton, dedicato interamente alle musiche dello storico pianista e compositore che diceva di aver "inventato il jazz."

L'idea di dedicarsi a uno dei più antichi autori di questa musica, che la Plankensteiner ha ironicamente dichiarato esser nata durante un dopoconcerto a Valdobbiadene innaffiato da abbondante vino omonimo, non è tuttavia così strana per un'artista che con i suoi Plankton dava evidenti colori del jazz delle origini alle composizioni, fossero esse originali, come nel primo album del 2013, o tratte dal Winterreise di Franz Schubert, come in Leader/Songs del 2018. Del resto, allora come adesso, compartecipava agli arrangiamenti il compagno Michael Losch, e se sono cambiati gli altri compagni d'avventura, non è molto diverso il colore scuro della formazione, stavolta garantito dal clarinetto basso di Achille Succi e dalla tuba di Glauco Benedetti —entrambi a loro volta coinvolti negli arrangiamenti —mentre dettare il ritmo spettava alla batteria di Marco Soldà.

Nella rilettura del quintetto, il repertorio del compositore statunitense —che ha attraversato una dozzina di brani, tra i quali "Creepy Feeling," "Freakish," "Honey Babe" e "New Orleans Bump" —conservava il suo spirito festoso ed estroverso, caratterizzato da ritmi di danza e, talvolta, di allegra marcetta tipico della New Orleans di quegli anni, ma vi aggiungeva una straordinaria nitidezza di suono, merito delle qualità strumentali dei tre fiati, del loro eccellente impasto timbrico e, soprattutto, dell'accuratezza degli arrangiamenti, mirati a scoprire aspetti reconditi di quella musica grazie al rallentamento di alcune parti o alla valorizzazione del dialogo tra le voci.

Da questo punto di vista, il concerto ha tratto indubbio valore dalla bellezza del suono del baritono della Plankensteiner (che occasionalmente ha anche cantato, perlopiù attraverso un megafono) e del clarinetto basso di Succi, tutto sommato i principali protagonisti —i due hanno anche duettato vocalmente nelle pause, presentando i brani con simpatica ironia —che tuttavia non hanno oscurato né la tuba di Benedetti —molto presente e che s'è tutt'altro che limitato a un lavoro ritmico —né la batteria di Soldà—anch'egli molto attivo nel pennellare colori sulle trame della formazione. Discorso a parte per Lösch, apparentemente dedito soprattutto a legare le varie voci, ma di fatto pronto ora a gettarsi nel blues sempre presente, ora ad ampliare le pause con passaggi obliqui e astratti.

Complessivamente, un concerto singolare: melodico e su materiale tradizionale, ma ricco di assoli liberi e modernissimi; immediato e piacevolissimo, ma interessante viaggio attraverso una musica un po' dimenticata o, comunque, sottovalutata; assolutamente sinergico e di gruppo, ma costellato di splendidi passaggi individuali. Una formazione che probabilmente non è facile ascoltare al di sotto della linea dell'Adige, ma che merita un viaggio anche in sud Tirolo.

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