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Paul Motian Band: Garden of Eden
ByInvece i tre chitarristi (Ben Monder, Steve Cardenas e il meno noto Jakob Bro) sono piuttosto discreti e le loro voci si intersecano senza chiasso, si amalgano sottovoce e ricamano deliziose trame che fanno respirare elegantemente la musica, sempre ben sorretta dalla batteria del leader, fine colorista e dicitore di ritmi mai troppo duri e rigidi. La scansione è assicurata anche dal basso preciso di Jerome Harris e il dialogo solistico e contrappuntuale è irrobustito dalle voci dei saxofonisti Chris Cheek e Tony Malaby, due musicisti emergenti della scena newyorkese che stanno dimostrando di essere sempre più meritatamente nel manipolo di quelli dai quali ci si aspetta che facciano da portabandiera per il jazz in divenire.
Anche la struttura narrativa dell'album è decisamente peculiare: scherzosamente potremmo pensare che deriva dall'immagine di un doppio panino imbottito. A fare da fette di pane esterne troviamo prima due composizioni di Charles Mingus messe all'inizio; una composizione di Monk e una di Parker messe alla fine. In mezzo tre composizioni firmate rispettivamente da Cheek, Cardenas e da Jerome Kern (un tratto da una commedia musicale degli anni venti). A fare da imbottitura abbiamo invece ben otto composizioni di Motian, divise equamente nella prima e nella seconda sezione. Manca solo un po’ di senape e qualche foglia di insalata…
I brani sono spesso brevi e discreti nella loro luce soffusa, gli strumenti si intrecciano senza mai distaccarsi troppo dalla trama, le frasi sono morbide e involute. I musicisti sono più impegnati a conversare fra di loro con i rispettivi strumenti e rinunciano volentieri agli assoli pensati in maniera tradizionale.
Da sinistra a destra nel mix abbiamo Cardenas, Malaby, Monder, Cheek e Bro, con Motian e Harris allineati in posizione centrale. Una disposizione teatrale che amplifica la natura dialettica di questa musica e la vena democratica del leader. Queste meditazioni collettive sono così attente alla compenetrazione delle opposte forze da far venire in mente un trattato sullo yin e lo yang, una lezione di spiritualità molto terrena che profuma di elementi assolutamente bio-naturali.
I cinque standard sono presi con passo felpato, senza stravolgimenti, con i sax che soffiano frasi piene di aria e di vento, le chitarre che ruminano ragnatele attorcigliate nella nebbia. La scansione bebop si nasconde dietro alla siepe alta che rende il panorama più misterioso, lasciando al ritmo una dimensione più plastica e multidimensionale, dove non conta più di tanto sottolineare le differenze quanto invece sfumare fra di loro i colori che hanno la consistenza materica dei pastelli. Nella conclusiva "Cheryl" si nota un leggero accenno di cambio di marcia, ma proprio per non infrangere l'arco espressivo che si è costruito sino a quel momento, questo brano dura esattamente due minuti. Non un secondo di più.
Spesso il mood è dolente, pensoso, riflessivo, con curiose reminiscenze che si perdono nel tempo, dalle parti della soffice malinconia che pervadeva un capolavoro come Sketches Of Spain di Miles Davis e Gil Evans. Altre volte la deriva è chiaramente spinta nella direzione di Ornette Coleman, con bizzarre circonvoluzioni tematiche che sanno di lunare e di lunatico. Musica al chiaro di luna, potremmo definirla, musica da camera in una stanza senza soffitto, con le stelle che stanno a guardare.
Track Listing
01. Pithecanthropus Erectus (Mingus); 02. Goodbye Pork Pie Hat (Mingus); 03. Etude (Motian); 04. Mesmer (Motian); 05. Mumbo Jumbo (Motian); 06. Desert Dream (Cheek); 07. Balata (Cardenas); 08. Bill (Kern); 09. Endless (Motian); 10. Prelude 2 Narcissus (Motian); 11. Garden of Eden (Motian); 12. Manhattan Melodrama (Motian); 13. Evidence (Monk); 14. Cheryl (Parker)
Personnel
Chris Cheek
saxophoneChris Cheek, Tony Malaby (saxofoni); Jakob Bro, Ben Monder, Steve Cardenas (chitarre); Jerome Harris (basso); Paul Motian (batteria)
Album information
Title: Garden of Eden | Year Released: 2006 | Record Label: ECM Records
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