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“Eternal Rhythm” ed il ’68 pan-etnico di Don Cherry

Oltre ad essere esteticamente sublime, Eternal Rhythm è un'opera paradigmatica per capire lo stretto legame che unisce relativismo culturale ed estetica del jazz.

Un disco profetico, che anticipa gli sviluppi delle società multietniche del terzo millennio. Lo informa un lungimirante concetto anti-eurocentrico, elaborato dagli antropologi e fatto proprio dai movimenti culturali del '68.

Tutte istanze rappresentate al meglio dal trombettista statunitense, artista dalla condotta artistica e di vita anticonformistica; un musicista fuori corrente, che oltre a risiedere per alcuni anni in una "comune," propugnò le istanze di riscatto del "terzo mondo," ne studiò a lungo le varie tradizioni musicali, impegnandosi a diffonderne i valori. Alla base vi era una posizione da intellettuale militante, per il quale la pratica musicale era paradigma di crescita umana protesa verso la pacificazione universale. Un pedigree al quale il Nostro rimase sempre a suo modo fedele, da rivelandosi sempre artista curioso ed aperto alle novità musicali.

Il suo "Eternal Rhythm" (1968) costituirà l'esito più felice di una ricerca musicale pan-etnica del jazz, volta ad abbracciare musiche di tutto il mondo, nel segno della parità di tutte le culture. Lo presiede un ambizioso progetto volto a inglobare i patrimoni scalari pentatonici delle tradizioni orali con l'improvvisazione collettiva, apportata dal miglior free-jazz del periodo: Kuhn e Sharrock; Thelin e Mangelsdorff; Berger e Rosengren solo per citarni alcuni. Una formazione che si immerge empaticamente nelle acque misteriche del lontano Oriente, con l'intento di rigenerarle con visionaria creatività ed un totale abbandono ancestrale verso la musica. Vi prevale un punto di vista "interno" alla tradizione trattata, che porta per primo il leader ad imbracciare strumenti "esotici" con slancio lirico, fino a plasmare il tutto con vivida visionarietà.

Al suo fianco musicisti simbiotici, chiamati a coniugare slancio etico, tecnica ed estro creativo, per dare vita ad una delle grandi meraviglie discografiche di tutto il jazz. Un gioiello multicolore, in cui vola alta la dionisiaca tromba di Cherry sul conturbante percussionismo di base. Vi regna sovrana una democratica disposizione timbrica del tappeto sonoro, dove l'armamentario strumentale del gamelan balinese riesce spesso a dominare l'impianto melodico del profilo musicale.

Ne discende una avvincente stratificazione di ritmi dominati da un orgiastico, ossessivo, rituale continuum sonoro prodotto da saron e gender, in cui di volta in volta si inseriscono strumenti di derivazione occidentale suonati secondo le modalità dell'Estremo Oriente. Un'ottica decisamente ribaltata rispetto al mainstream del jazz e free jazz, dove in genere gli strumenti etnici non danno sostanza, forma, architettura alla musica, solo valore decorativo. Una rivoluzione quindi pacifica, condotta attraverso la ricerca di universali in musica.

Su metri strategicamente delineati in modo irregolare si staglia una libera disposizione degli accordi, che fa di quest'opera il manifesto di una vera e propria astronave musicale, volta a svincolare le tecniche ed i suoni del jazz più canonico, per proiettarlo verso un linguaggio universale, libero e dinamicamente aperto a tutti i valori musicali. A fare da trait-d'union una trascinante densità sonora che cambierà il volto e la storia della musica del '900. Un'opera quindi che nasce nel segno culturale del '68, come anelito di ricerca spirituale: istanza non paragonabile all'attuale "world music"; fusione non di rado acritica tra musica pop plastificata e tradizioni pseudo-etniche, dove l'urgenza poetica ha lasciato il posto a logiche commercilali studiate a tavolino. Diverso il caso di Cherry, che l'anno dopo l'incisione di tale capolavoro lascerà gli Stati Uniti, per protestare contro i bombardamenti dell'amministrazione Nixon in Cambogia.

Per tutte queste le ragioni Eternal Rhythm è un documento indispensabile, vitalissimo e quanto mai attuale; un incommensurabile irraggiungibile archetipo, che spiega il nostro passato e illumina il miglior presente musicale. Un'opera fortemente imbevuta della fitta rete di relazioni extra-musicali degli anni '60, che fanno del jazz "un insieme di attitudini relative al mondo, e solo secondariamente un modo di fare musica" (Baraka).

Peccato sia da troppo tempo fuori catalogo!.

Don Cherry (cornetta, gender, saron, flauti, percussioni, voce); Albert Mangelsdorff, E. Thelin (trombone); Bert Rosengren ( sax tenore, oboe, clarinetto, flauti); Sonny Sharrock ( chitarra); Karl Berger (vibrafono, pianoforte); Joachim Kuhn (pianoforte); Arild Andersen (contrabbasso); Jacques Thoilot (batteria, saron, voce, gong).

Eternal Rhythm part. 1; Eternal Rhythm part. 2. (Don Cherry).

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