Silvan Schmid è un giovanotto di Zurigo, in parte olandese d'adozione, che c'impiega tre quarti d'ora per farci capire come non si deve suonare la tromba (o più in generale come forse si dovrebbe evitare di fare musica). Un disco al negativo (anche come livello qualitativo), quindi, questo Augmented Space, dove l'aumento di spazio del titolo è quello che il giovanotto di cui sopra si concede per soffiare (spesso spernacchiare) dentro il bocchino del suo strumento regalandoci (si fa per dire) quattro piuttosto ampi brani (dagli otto minuti abbondanti al quarto d'ora) in cui non si avverte lo straccio di un percorso, un'evoluzione, uno sbocco. Per carità: liberissimo di scegliere questa via per proporsi sul mercato (anche qui si fa sempre per dire) discografico, però questo eccesso di libertà sembra proprio andare tutto a discapito (anche per la sostanziale assenzao comunque carenzadi dinamiche di cui dicevamo) della libertàsì, proprio quelladi chi ascolta.
Un contrasto in termini, un concetto forzato, la presunzione (o la stanchezza) del vostro recensore? Può anche essere, ma dobbiamo confessare che non ci siamo sentiti minimamente arricchiti, neppure di un'oncia, uscendo dai tre quarti d'ora di cui sopra. Per cui sarebbe disonestoo forse troppo "democristiano": un tempo non si diceva così?se dopo tutto ciò non facessimo le famose pulci al lavoro del trombettista svizzero: liberissimo lui di proporci la sua musica, liberissimi noi di dichiararla decisamente indigesta e inconcludente. Senza il timore di apparire ottusi censori del nuovo (anche perché siamo nel 2022, non nel 1972).
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Ecumenico ma (abbastanza) esclusivo, non sopporta la musica – e l’arte in generale – di routine, rassicurante e dozzinale, preferendo, se proprio deve, il brutto all’inutile. Un ideale spaccato dei suoi amori musicali (che non si limitano al jazz; e più o