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Jerome Sabbagh: The Turn
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Non di rado il processo di elaborazione creativa parte dalla riformulazione di materiale preesistente, il quale assemblato in forma nuova può dar vita ad opere che assumono connotati affatto originali.
Ciò che il tenor sassofonista francese di stanza a New York dal 1995 Jerome Sabbagh ha fatto nel suo ultimo disco -The Turn-è stato potenziare con sensibilità contemporanea la carica espressiva di alcuni concetti sonori riconducibili alla grande tradizione moderna del jazz. Il disco cattura l'essenza del passato, parafrasa contenuti tradizionali, risveglia il potenziale ancora inespresso di istanze musicali vecchie anche di svariati decenni. Sabbagh non fa altro che ricordarci che il progressivo procedere diacronico della musica afroamericana è fatto di continui adeguamenti (attualizzazioni) di stilemi ereditati dai padri.
Nel riappropiarsi della storia, il sassofonista francese dà vita ad un'opera che palpita nel presente. Il risultato è lusinghiero e per certi versi spiazzante. The Turnpossiede tutto ciò che un bel disco deve avere: riconoscibilità del sound, buone idee, carattere, melodiosità e originalità. Non ambisce ad essere corollario e memoria storica di un glorioso passato, tutt'altro. Non è un progetto revivalistico. Affonda le radici nella storia ma procede nel segno dell'attualità.
I brani che più apertamente si alimentano di modernariato jazzistico sia nel sound che nel lessico sono le tracce dispari del CD. "The Turn" -primo brano del disco- dopo una meditata e sospesa introduzione strizza l'occhio armonicamente e metricamente alla shorteriana "Footprints," anche se di tutt'altra materia è fatto. "Banshee," terza traccia, è costruito su un riff jazz-rock al contrabbasso a tempo sostenuto che fa pensare alle atmosfere di "In a Silent Way" di Miles Davis, ma il tema dal profilo tagliente ne caratterizza i tratti salienti. "The Rodeo" -quinto brano-è un omaggio non molto sottile ad alcuni temi a tempo medium fast di Kind of Blue e in particolare a "So What" e "Freddie Freeloader." Chiude il ciclo il medium swing postboppistico "Once Around the Park."
Delle tracce pari, la numero sei -"The Cult"-racchiude i flussi di coscienza di Sabbagh in effetti ipnotici e psichedelici. La gravità del tema si muove in un'atmosfera sospesa e nebbiosa che diventa un free onirico e sussurrato, Sentitamente intimistiche sono le due ballad, "Long Gone" -sospirato brano con una bella, intensa e cantabile melodia-e la sognante "Ascent."
Chiude la scaletta "Electric Sun," costruito attorno ad un'idea quasi pop, rintracciabile nella forma canzone del brano, nella leggerezza espressiva, nella cantabilità del tema e nella linearità dell'accompagnamento.
A dare ordine al sound sono soprattutto il sassofono di Sabbagh -che ha un suono controllato, delicato e sciolto, possiede una timbrica discreta e decisa insieme, talvolta tagliente sugli acuti-e la chitarra di Ben Mondersoffice, ponderata e attenta ad accompagnare con gusto e senza saturare eccessivamente le atmosfere, che restano generalmente soffuse, anche in presenza di energici passaggi carichi distorti.
Pur erede di una feconda tradizione (in tiratura limitata esistono copie in vinile), The Turn è un disco attuale che non passa inosservato, è ricco di fascino e presenta tutti i crismi della bellezza.
Ciò che il tenor sassofonista francese di stanza a New York dal 1995 Jerome Sabbagh ha fatto nel suo ultimo disco -The Turn-è stato potenziare con sensibilità contemporanea la carica espressiva di alcuni concetti sonori riconducibili alla grande tradizione moderna del jazz. Il disco cattura l'essenza del passato, parafrasa contenuti tradizionali, risveglia il potenziale ancora inespresso di istanze musicali vecchie anche di svariati decenni. Sabbagh non fa altro che ricordarci che il progressivo procedere diacronico della musica afroamericana è fatto di continui adeguamenti (attualizzazioni) di stilemi ereditati dai padri.
Nel riappropiarsi della storia, il sassofonista francese dà vita ad un'opera che palpita nel presente. Il risultato è lusinghiero e per certi versi spiazzante. The Turnpossiede tutto ciò che un bel disco deve avere: riconoscibilità del sound, buone idee, carattere, melodiosità e originalità. Non ambisce ad essere corollario e memoria storica di un glorioso passato, tutt'altro. Non è un progetto revivalistico. Affonda le radici nella storia ma procede nel segno dell'attualità.
I brani che più apertamente si alimentano di modernariato jazzistico sia nel sound che nel lessico sono le tracce dispari del CD. "The Turn" -primo brano del disco- dopo una meditata e sospesa introduzione strizza l'occhio armonicamente e metricamente alla shorteriana "Footprints," anche se di tutt'altra materia è fatto. "Banshee," terza traccia, è costruito su un riff jazz-rock al contrabbasso a tempo sostenuto che fa pensare alle atmosfere di "In a Silent Way" di Miles Davis, ma il tema dal profilo tagliente ne caratterizza i tratti salienti. "The Rodeo" -quinto brano-è un omaggio non molto sottile ad alcuni temi a tempo medium fast di Kind of Blue e in particolare a "So What" e "Freddie Freeloader." Chiude il ciclo il medium swing postboppistico "Once Around the Park."
Delle tracce pari, la numero sei -"The Cult"-racchiude i flussi di coscienza di Sabbagh in effetti ipnotici e psichedelici. La gravità del tema si muove in un'atmosfera sospesa e nebbiosa che diventa un free onirico e sussurrato, Sentitamente intimistiche sono le due ballad, "Long Gone" -sospirato brano con una bella, intensa e cantabile melodia-e la sognante "Ascent."
Chiude la scaletta "Electric Sun," costruito attorno ad un'idea quasi pop, rintracciabile nella forma canzone del brano, nella leggerezza espressiva, nella cantabilità del tema e nella linearità dell'accompagnamento.
A dare ordine al sound sono soprattutto il sassofono di Sabbagh -che ha un suono controllato, delicato e sciolto, possiede una timbrica discreta e decisa insieme, talvolta tagliente sugli acuti-e la chitarra di Ben Mondersoffice, ponderata e attenta ad accompagnare con gusto e senza saturare eccessivamente le atmosfere, che restano generalmente soffuse, anche in presenza di energici passaggi carichi distorti.
Pur erede di una feconda tradizione (in tiratura limitata esistono copie in vinile), The Turn è un disco attuale che non passa inosservato, è ricco di fascino e presenta tutti i crismi della bellezza.
Track Listing
The Turn; Long Gone; Banshee; Ascent; The Rodeo; Cult; Once Around the Park; Electric Sun.
Personnel
Jerome Sabbagh
saxophone, tenorJerome Sabbagh: sassofono tenore; Ben Monder: chitarra elettrica; Joe Martin: contrabbasso; Ted Poor: batteria.
Album information
Title: The Turn | Year Released: 2014 | Record Label: Sunnyside Records
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About Jerome Sabbagh
Instrument: Saxophone, tenor
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